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Smemorati di Lucio Garofalo
26.01.2010

Smemorati di Lucio Garofalo
Il ricordo della Shoah è celebrato da molte nazioni e dall'ONU in ossequio
alla risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005.
Come si sa, il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita dal
Parlamento italiano con la legge 211 del 20 luglio 2000, in ottemperanza
alla proposta internazionale di dedicare il 27 gennaio alla commemorazione
delle vittime dell'Olocausto. La scelta della data rievoca il 27 gennaio
1945, quando le truppe dell'Armata Rossa liberarono il campo di
concentramento di Auschwitz, rivelando al mondo intero l'orrore del
genocidio nazista.
Il ricordo della Shoah è celebrato da molte nazioni e dall'ONU in ossequio
alla risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005. Il concetto di olocausto, dal
greco holos, "completo", e kaustos, "rogo", come nelle offerte sacrificali,
venne introdotto alla fine del XX secolo per indicare il tentativo nazista
di eliminare i gruppi di persone "indesiderabili": Ebrei ed altre etnie come
Rom e Sinti, cioè gli zingari, comunisti, omosessuali, disabili e malati di
mente, Testimoni di Geova, russi, polacchi ed altre popolazioni di origine
slava.
Il vocabolo Shoah, che in lingua ebraica significa "distruzione", o
"desolazione", o "calamità", nell'accezione di una sciagura improvvisa e
inattesa, è un'altra versione usata per indicare l'Olocausto. Molti Rom
usano l'espressione Porajmos, "grande divoramento", o Samudaripen,
"genocidio", per definire lo sterminio nazista. Sommando agli Ebrei queste
categorie di persone il numero delle vittime del nazismo è stimabile tra i
10 e i 14 milioni di civili, e fino a 4 milioni di prigionieri di guerra.
Oggi il termine "olocausto" è usato anche per esprimere altri genocidi,
avvenuti prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, e designare
qualsiasi strage volontaria e pianificata di vite umane, come quella causata
da un conflitto atomico, da cui discende la voce "olocausto nucleare".
Talvolta la nozione di "olocausto" serve per descrivere il genocidio armeno
e quello ellenico, che provocò lo sterminio di 2,5 milioni di cristiani da
parte del governo nazionalista ottomano dei Giovani Turchi tra il 1915 e il
1923.
Tuttavia, con questo articolo mi preme resuscitare la memoria di altre
terribili esperienze storiche in cui furono consumati orrendi eccidi di
massa troppo spesso ignorati o dimenticati dai mass-media e dalla
storiografia ufficiale. Mi riferisco in modo particolare allo sterminio
perpetrato contro gli Indiani d'America e a quello contro i "Pellerossa" del
nostro Sud, i briganti e i contadini ribelli del Regno delle Due Sicilie.
Dopo la scoperta del Nuovo Mondo ad opera di Cristoforo Colombo nel 1492,
quando giunsero i primi coloni europei, il continente nordamericano era
popolato da un milione di Pellerossa riuniti in 400 tribù e circa 300
famiglie linguistiche. Quando i coloni bianchi penetrarono nelle sterminate
praterie abitate dai Pellerossa, praticarono una spietata caccia ai bisonti,
il cui numero calò drasticamente rischiando l'estinzione. I cacciatori
bianchi contribuirono allo sterminio dei nativi che non potevano vivere
senza questi animali, da cui ricavavano cibo, pellicce ed altro. Ma la
strage degli Indiani fu opera soprattutto dell'esercito statunitense che per
espandersi all'interno del Nord America cacciò i nativi dalle loro terre
attuando veri e propri massacri senza risparmiare donne e bambini. I
Pellerossa furono letteralmente annientati attraverso uno spietato
genocidio.
Oggi i nativi nordamericani non formano più una nazione, essendo stati
espropriati della terra che abitavano, ma anche della memoria e
dell'identità culturale. Infatti una parte di essi si è progressivamente
integrata nella civiltà bianca, mentre un'altra parte vive ghettizzata in
centinaia di riserve sparse nel territorio statunitense e in quello
canadese.
Un destino comune, anche se in momenti e con dinamiche diverse, associa i
Pellerossa ai Meridionali d'Italia. Questi furono definiti "Briganti",
vennero trucidati, torturati, incarcerati, umiliati. Si contarono 266 mila
morti e 498 mila condannati. Uomini, donne, bambini e anziani subirono la
stessa sorte. Processi manovrati o assenti, esecuzioni sommarie, confische
dei beni. Ma i Meridionali erano cittadini di uno Stato molto ricco.
Il Piemonte dei Savoia era fortemente indebitato con Francia e Inghilterra,
per cui doveva rimpinguare le proprie finanze. Il governo della monarchia
sabauda, guidato dallo scaltro e cinico Camillo Benso conte di Cavour,
progettò la più grande rapina della storia moderna: cominciò a denigrare il
popolo Meridionale per poi asservirlo invadendone il territorio: il Regno
delle Due Sicilie, lo Stato più civile e pacifico d'Europa. Nessuno venne in
nostro soccorso. Solo alcuni fedeli mercenari Svizzeri rimasero a combattere
fino all'ultimo sugli spalti di Gaeta, sino alla capitolazione.
I vincitori furono spietati. Imposero tasse altissime, rastrellarono gli
uomini per il servizio di leva obbligatoria (facoltativo nel Regno delle Due
Sicilie); si comportarono vigliaccamente verso la popolazione e verso il
regolare ma disciolto esercito borbonico, che insorsero. Ebbe inizio la
rivolta dei Briganti Meridionali. Le leggi repressive furono simili a quelle
emanate a discapito dei Pellerossa. Le bande di briganti che lottavano per
la loro terra avevano un pizzico di dignità e di ideali, combattevano un
nemico invasore grazie anche al sostegno delle masse popolari e contadine,
deluse e tradite dalle false promesse concesse dall'"eroico" pirata,
mercenario e massone, Giuseppe Garibaldi.
Contrariamente ad altre interpretazioni, non intendo assolutamente comparare
il fenomeno del Brigantaggio meridionale post-unitario alla Resistenza
partigiana del 1943-1945. Per varie ragioni, anzitutto perché nel primo caso
si trattò di una vile e barbara aggressione militare, di una guerra di
rapina e di conquista che ebbe una durata molto più lunga della guerra
civile tra fascisti e antifascisti: l'intero decennio dal 1860 al 1870.
I briganti meridionali furono costretti ad ingaggiare un'aspra e strenua
resistenza che ha provocato eccidi spaventosi, in cui vennero trucidati
centinaia di migliaia di contadini e di briganti, persino donne, anziani e
bambini, insomma un vero e proprio genocidio perpetrato contro le
popolazioni del Sud Italia. Una guerra conclusasi tragicamente, dando luogo
al fenomeno dell'emigrazione di massa dei contadini meridionali. Un esodo di
proporzioni bibliche, paragonabile alla diaspora del popolo ebraico.
Infatti, i meridionali sono sparsi nel mondo ad ogni latitudine e in ogni
angolo del pianeta, hanno messo radici ovunque, facendo la fortuna di
numerose nazioni: Argentina, Venezuela, Uruguay, Brasile, Stati Uniti
d'America, Svizzera, Belgio, Germania, Australia, e così via.
Se si intende equiparare ad altre esperienze storiche la triste vicenda del
brigantaggio e la feroce repressione sofferta dal popolo meridionale, credo
che l'accostamento più giusto sia quello con la storia dei Pellerossa e le
guerre indiane combattute nello stesso periodo, vale a dire verso la fine
del XIX secolo. Guerre sanguinose che hanno causato stragi e delitti
raccapriccianti contro i nativi nordamericani. Un genocidio ignorato o
dimenticato, come quello consumato a discapito del popolo dell'Italia
meridionale.
Nel contempo condivido solo in minima parte il giudizio, forse oltremodo
drastico e perentorio, probabilmente unilaterale, che attiene al carattere
anacronistico, codino e antiprogressista, delle ragioni storiche, politiche
e sociali, che furono all'origine della lotta di resistenza combattuta dai
briganti meridionali. In politica ciò che è vecchio è quasi sempre retrivo e
conservatore. E' in parte vero che dietro le imprese e le azioni di
guerriglia compiute dai briganti si riparavano gli interessi di un blocco
reazionario, filo-borbonico, sanfedista e filo-clericale. Tuttavia,
inviterei ad approfondire le motivazioni e le spinte che animarono la
strenua resistenza dei briganti contro gli invasori sabaudi.
Non intendo annoiare i lettori con le cifre sui numerosi primati detenuti
dalla monarchia borbonica e dal Regno delle Due Sicilie in ampi settori
dell'economia, dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione e via discorrendo,
né mi sembra opportuno esternare sciocchi sentimenti di nostalgia verso una
società arcaica, dispotica e aristocratico-feudale, quindi verso un passato
di barbarie e oscurantismo, ingiustizia ed oppressione, sfruttamento e
asservimento delle plebi rurali del nostro Sud. Ma un dato è certo: la
dinastia sabauda era senza dubbio più rozza, retriva e ignorante, meno
moderna e progredita di quella borbonica. Il Regno delle Due Sicilie era uno
Stato molto più ricco e avanzato del Regno dei Savoia, tant'è vero che
costituiva un boccone appetibile per le maggiori potenze europee del tempo,
Francia e Inghilterra in testa. Questo è un tema estremamente vasto,
complesso e controverso, che esige un approfondimento adeguato.
Concludo con una rapida chiosa circa le presunte tendenze progressiste
incarnate nei processi di creazione e unificazione degli Stati nazionali nel
XIX secolo e nella costruzione dell'odierno Stato europeo. Non mi pare che
tali processi abbiano spinto e assicurato un autentico progresso sociale,
ideale, morale e civile, ma hanno favorito uno sviluppo prettamente
economico ad esclusivo vantaggio delle classi dominanti e possidenti.
Intendo dire che l'unificazione dei mercati e dei capitali, prima a livello
nazionale ed ora a livello europeo, non coincide con l'integrazione dei
popoli e delle culture, siano esse locali, regionali o nazionali. Ovviamente
le forze autenticamente progressiste e rivoluzionarie, devono puntare a
raggiungere il secondo traguardo.

Lucio Garofalo

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