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Assumersi la responsabilità di sbagliare
6.02.2010

ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ DI SBAGLIARE
Confesso la mia debolezza. Mi sono ancora indignato quando in televisione ho visto in occasione della cerimonia d’apertura dell’anno giudiziario seduto fra il Presidente della Repubblica e quello della Camera un prelato, forse il cardinale vicario di Roma o il nunzio in Italia, non m’intendo del cerimoniale delle apparizioni delle autorità religiose, civili e militari.
Eppure dovrei essere vaccinato anche perché con il Concordato craxiano le due autorità, entrambe, sovrane sono impegnate alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese, e gli esiti di questa collaborazione sono evidenti nella scuola, nella sanità, nella gestione del territorio nel prevalere del privato sul pubblico all’ombra della promozione degli interessi confessionali.
In verità non ho pensato a questo. Ho pensato alle cerimonie che il prossimo anno dilagheranno nella penisola per celebrare il centocinquant’anni della formazione di quel Regno nato “scomunicto” per essersi costituito anche sulle ceneri dello Stato pontificio. Scomunicati furono i molti cattolici che, non solo non si erano opposti, ma avevano approvato la privazione del papa del suo stato. Oggi magari i loro nomi vengono esaltati come precursori, ma allora ad Alessandro Manzoni, che aveva votato per Roma capitale, fu negata la sepoltura canonica.
Sarebbe potuto succedere anche a De Gasperi che novant’anni dopo si assunse la responsabilità di rischiare la consegna di Roma ancora una volta nelle mani dei senza Dio - magari comunisti e non più liberal massoni – quando si oppose all’alleanza dei democristiani con i neo-fascisti nelle elezioni amministrative del 1952. Si salvò perché i tempi erano diversi, ma per un laico cattolico opporsi apertamente al volere del papa imponeva ancora una buona dose di coraggio per assumersi la responsabilità di “sbagliare”.
Non sono certo mancati o mancano cattolici “adulti”, noti e meno noti, ma bisogna riconoscere che oggi di quel senso di responsabilità non ce n’è molto in giro.
Camuffata da disinteresse per le dinamiche istituzionali intra ecclesiastiche o ammantata della virtù dell’obbedienza, la deresponsabilizzazione dei battezzati nei confronti della gestione della comunità ecclesiale è molto diffusa. Si preferisce lasciarla a quelli che si considerano “funzionari del sacro” chiamati a gestire una “tradizione” ridotta troppo spesso ad un’antiquata semplificazione d’intuizioni profonde, minuziose definizioni, complicate elucubrazioni del passato. Per la loro formazione culturale trovano difficoltà a cogliere tempestivamente quanto di nuovo e in modo sempre più accelerato si elabora o si produce nelle società e nelle culture, nelle quali l’annuncio deve essere storicizzato, “incarnato”.
E’ necessario sollecitarli a superare tali difficoltà non considerandoli irrecuperabili perché prigionieri di un’istituzione ormai impenetrabile, come fa chi se ne sta a distanza, e non circondarli di timore reverenziale come fa chi nasconde perfino il proprio disagio di fronte ai loro errori.
Se il Vangelo ci fa liberi, come ricorda il documento di convocazione del convegno Firenze 2, per essergli fedeli bisogna assumersi la responsabilità di dire SÌ SÌ NO NO, perché il resto viene dal maligno che ci vuole schiavi del peccato ... anche di quello di omissione.
Marcello Vigli
Gruppo di controinformazione ecclesiale - Roma

fonte: http://www.cdbitalia.it

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