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OMC - Analisi del fallimento della ministeriale di Cancún
18.09.2003

Quattro anni dopo lo strepitoso fallimento di Seattle, anche a Cancún i 148 membri dell' OMC non sono riusciti a mettersi d'accordo sul testo d'una dichiarazione finale e la conferenza si e´chiusa su un nulla di fatto.

Tale mancanza d'accordo viene a dimostrare che i progressi nella messa in pratica della Dichiarazione di Doha del 2001 sono ancora molto scarsi, per non dire nulli: le prospettive apertesi due anni fa con il lancio dei negoziati dell' Agenda per lo Sviluppo (DDA in inglese) non si sono per il momento materializzate, e diviene estremamente improbabile prevedere una conclusione positiva dei negoziati entro il 1 gennaio 2005 (termine ancora formalmente in vigore).

Il fallimento di Cancún non significa ancora il blocco dell´agenda di Doha, ma rappresenta certamente un passaggio a vuoto: i negoziati continuano ma con molto piombo nelle ali.

Se Seattle aveva rappresentato il fallimento di un modello di commercio internazionale nel quale i "grandi" (in primis Usa ed UE) imponevano il ritmo ed i temi della liberalizzazione commerciale, Doha era stata invece un gran passo in avanti nel tentativo di "democratizzare" l' OMC, mettendo al centro del dibattito temi d' interesse dei PVS ed una riforma del funzionamento dell'organizzazione che la rendesse piu' equilibrata.

In questo senso, e' chiaro che Cancún rappresenta un passo indietro: un accordo non s'e' trovato perche' i "grandi" hanno concesso troppo poco e gli altri membri dell' OMC si sono irrigiditi sulle loro posizioni.

L'agenda dei negoziati e' estremamente articolata, ma il dibattito a Cancún si e' centrato attorno ai temi seguenti:

1. Agricoltura: il commercio agricolo e' molto meno liberalizzato di quello in beni industriali, soprattutto per le resistenze di UE, Usa e Giappone a smantellare gli imponenti sussidi pagati ai loro agricoltori, che naturalmente falsano la concorrenza.

Sotto accusa in primo luogo i sussidi all'esportazione, ma anche i sussidi interni, che assumono forme diverse. In sintesi, possiamo dire che l'UE e' la prima erogatrice di sussidi all' esportazione,mentre tutti e tre i grandi (Usa, UE e Giappone) sono assai generosi nella concessione di sussidi interni (a sostegno dei prezzi o dei redditi).

I paesi esportatori agricoli (gruppo di Cairns) e, in generale, molti PVS sono invece a favore dell'eliminazione di tali sussidi, un fatto che cambierebbe completamente il sistema dei prezzi agricoli internazionali,aprendo di fatto il settore agricolo al commercio.

Ma l'alleanza tra questi due gruppi e' comunque difícilmente sostenibile,perche' le ragioni dietro le loro posizioni sono in realta' diametralmente opposte.

Una volta di piu' Usa ed UE si sono dimostrate estremamente riluttanti a fare concessioni in materia di sussidi (temono pesanti conseguenze politiche interne) ed il cammino tracciato a Doha - eliminazione progressiva dei sussidi all'esportazione - non si e' ancora materializzato.

A Cancún Usa ed UE hanno continuato a scambiarsi accuse (io riduco solo anche tu lo fai e viceversa).

Cio' che ha fatto fallire i negoziati e' stato pero' il sorgere d'una solida alleanza contraria (il G-22), diretta da Brasile, India, Cina e Sudafrica, che ha imposto il rispetto degli impegni presi a Doha.

Il clima delle riunioni si e' via via sempre piu' politicizzato, e quando l'UE ha proposto l'eliminazione dei sussidi esterni non totale, ma solo sui prodotti d'interesse dei PVS, tale oferta non e' stata presa in considerazione. L'UE propone anche una riduzione sostanziale, anche se non totale, dei sussidi sia interni che esterni ed una riduzione tariffaria che permetta un maggiore accesso alle importazioni agricole.

A cambio si chiedeva ai PVS una riduzione delle loro tariffe all'importazione, da essi rifiutata in assenza d'un movimento deciso in materia di sussidi. Insomma, in agricultura non ci si e' affatto avvicinati ad un accordo.

2. Temi di Singapore: si tratta dell'estensione del regime OMC a quattro nuovi settori legati al commercio, ma non puramente commerciali (Investimenti, Concorrenza, Facilitazione Commerciale, Trasparenza degli Appalti pubblici). I grandi ci tenevano molto, i PVS tendono a rifiutare quest' estensione delle prerogative dell' OMC, temendo un' ulteriore riduzione del loro spazio di sovranita'. Anche qui s'e' formato un blocco alternativo, il G-15, diretto dagli stessi Paesi del G-22.

Nonostante l'opposizione di molti membri dell'OMC, la proposta di testo finale comprendeva il lancio di negoziati nelle quattro materie, rimasto in sospeso a Doha.

Di fatto, si stabiliva un collegamento tra concessioni agricole e lancio dei negoziati sui temi di Singapore.

Giudicate insoddisfacenti le concessioni agricole (specie quelle sul cotone, richiesti dai paesi africani ed osteggiate dagli Usa, forti sovvenzionatori di tale produzione), anche il tavolo di Singapore e' saltato (ad opera degli africani) e Cancún e'definitivamente fallita.

Gli altri temi dell'agenda (tariffe industriali, implementazione degli accordi precedenti, trattamento speciale per i PVS)sono rimaste in ombra.

Su tutti questi temi si ricomincera' a negoziare a Ginebra partendo dal testo di Doha.

Di fatto, due anni d'intensi negoziati sono andati in fumo, l'unico accordo raggiunto, prima di Cancún, e' quello sui prezzi dei farmaci in eccezione al sistema TRIPS di protezione della proprieta' intellettuale.

Pare difficile pensare che differenze cosi' nette tra le parti possano ridursi a breve termine.

Il negoziato deve ritrovare lo spirito di Doha, unica possibile soluzione all' impasse di oggi.

Numerosi studi dimostrano che una liberalizazzione nelle linee di Doha costituirebbe un importante volàno per la crescita economica mondiale, e che i primi beneficiari sarebbero i paesi in via di sviluppo, che non escono quindi vincitori da Cancún, nonostante le grida al cielo di molti loro governi e nel mondo delle ONG.

E' peró senz' altro vero che alcune lezioni sono chiare - i paesi ricchi devono fare molto di piú: la chiave dello sviluppo sono le concessioni commerciali, non la cooperazione allo sviluppo, i cui effetti sono limitati. Tali concessioni da parte dei grandi non possono che essere maggiori di quelle richieste ai paesi piú poveri,non siamo in un gioco a somma zero ;

- in particolare, deve portarsi avanti una riflesione seria sull' anomalia agricola: i favolosi sussidi pagati agli agricoltori dei paesi ricchi devono venire fortemente ridotti, perche' sono una palla al piede sia in termini d' efficienza economica che di giustizia internazionale. I nostri governi devono intraprendere un dibattito con un settore abituato a ricevere molto (troppo) ed a lamentarsi moltissimo, giocando su fattori emotivi e non razionali. La questione e' estremamente complessa, perche' l'alleanza "impossibile" tra chi vuole piu' sussidi (fuori l'OMC dall'agricoltura) e chi li vuole eliminati (i paesi esportatori) costituisce la scusa perfetta per fare nulla o fare troppo poco. Contrariamente a quanto molti credono, il manifestante suicida sudcoreano non era a favore di piu' liberta' nel commercio agricolo,ma del mantenimento dei sussidi. E' divenuto un eroe di entrambe le parti: i paradossi della confusione.

- l' apparizione di un fronte alternativo ai paesi ricchi, centrato attorno ai grandi paesi emergenti (India, Brasile, Cina e Sudafrica, si parla dei nuovi non allineati), puo' rappresentare una novita' positiva per equilibrare il mondo del commercio internazionale. Il problema e' che tale alleanza dimostra la sua validita' in negativo (per bloccare i negoziati) ma data la varieta' degli interessi dei suoi membri avra' molte difficolta' a trasformarsi in un'alleanza in positivo, nel contesto d'un'organizzazione ad alleanze variabili piuttosto che fisse;

- il rifiuto dell'estensione delle competenze OMC a settori non strettamente commerciali rappresenta una chiara vittoria per chiunque pensi che l' OMC vada limitata nei suoi poteri, non rafforzata. Anche se alcuni temi di Singapore potrebbero tornare sul tavolo negoziale molto presto (Facilitazione commerciale, Appalti), le opposizioni su Investimenti e Concorrenza sono molto vaste. Cancún non rappresenta ne' la conclusione del negoziato di Doha, che deve ripartire, ne' il collasso del sistema multilaterale, ma piuttosto la dimostrazione che i tempi delle imposizioni dei piu' potenti sono davvero finiti. Esiste, sia nel Sud che nel Nord del mondo, un' opposizione orizzontale all'estensione senza limiti del liberalismo economico, e con tale diffidenza bisogna fare i conto sul serio, non bastano concessioni di facciata. Una liberalizzazione squilibrata e' un male da arginare, la comunita' internazionale ha l'obbligo d' adoprarsi davvero per la definizione di regole piu' equilibrate, che beneficino tutti.

Il problema e´ che tali concessioni (pensiamo all'agricoltura europea) si scontrano con il mantenimento di favolose rendite di posizione, per difendere le quali molti giocano la carta della confusione, anche nella societa' civile che tende a fare degli eroi dei personaggi alla Bove' che sono l'emblema della conservazione totale dei privilegi di pochi a scapito del benessere dei piu'.

Un altro rischio derivante dall' indebolimento del fronte multilaterale e' quello d' un rafforzamento parallelo della diplomazia commerciale bilaterale (accordi regionali).

Cio' porterebbe ad un'emarginazione progressiva dei paesi meno appetibili per tale tipo d' accordi (i piu' poveri ed i piu' piccoli), che riescono invece ad ottenere concessioni solo all' interno d'un sistema multilaterale efficace. Questo sarebbe un altro regalo avvelenato del fallimento dell' OMC.

Stefano Gatto

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