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Acqua; Azienda Speciale o SPA ? di Nicola Capone
21.02.2010

Azienda pubblica o municipalizzata, Azienda speciale e S.P.A. a capitale
interamente pubblico:alcuni chiarimenti e prospettive politiche

La recente disputa all'interno del movimento per la ripubblicizzazione
dell'acqua, tra i sostenitori dell'azienda speciale e i promotori della
società per azioni (S.P.A.) a capitale pubblico, mette le sue radici in un
paludoso equivoco su cui è bene fare chiarezza.

Entrambi gli schieramenti pensano a forme di gestione del Servizio Idrico
Integrato (S.I.I.) – Azienda speciale e S.P.A. a capitale pubblico, appunto
– all'interno del diritto positivo vigente in materia.

Purtroppo a diritto positivo vigente non è possibile alcuna forma autentica
di gestione pubblica dell'acqua. E questo per un semplice motivo: dagli anni
Novanta in poi lo spazio giuridico riferito ai beni essenziali alla vita è
stato costruito intorno ad un principio: la loro rilevanza economica ed
imprenditoriale.

Sostenere che è possibile la ripubblicizzazione dell'acqua in questo
contesto legislativo è come dire che “dal letame possono nascere i fiori”.
Proposizione che può reggere solo all'interno dell'immaginario poetico o in
complesse pratiche da giardiniere.

Il legislatore italiano coerentemente al principio di rilevanza economica
introduce – con la Legge 142, art. 22, del 1990 e successivamente col d. lgs
267, art. 113, del 2000 – l'Azienda speciale, eliminando dal diritto
italiano l'Azienda pubblica o municipalizzata di giolittiana memoria (1903).

Occorre chiedersi, allora, quale differenza sussiste tra l'Azienda
municipalizzata e l'Azienda Speciale. Perché si definisce “speciale”
un'azienda? Cercherò di essere il più chiaro possibile.

L'Azienda municipalizzata agiva all'interno della Pubblica amministrazione
(P.A.), era diretta emanazione di essa, agiva come una sua interna
articolazione.

L'Azienda speciale, invece, è un ente strumentale. Ha autonomia giuridica
rispetto all'ente pubblico e, cosa ancora più importante per il nostro
ragionamento, ha autonomia imprenditoriale, cioè, si comporta come un
imprenditore il quale deve coprire i costi con i ricavi. Per sua stessa
natura, dunque, l'Azienda speciale deve far fruttare dei ricavi dalla
gestione dell'acqua. Per questo, pur rientrando ancora all'interno del
diritto pubblico, è fuori dalla pubblica amministrazione ed è in grado di
utilizzare la strumentazione privatistica del codice civile. Questa è la
caratteristica che rende l'azienda “speciale”.

Ma questo non è tutto: dopo la sua introduzione nel 1990 l'Azienda speciale,
con la legge Galli del 1994, diventa, potremmo dire, specialissima. Per
disposizione di legge, infatti, la tariffa – “corrispettivo del Servizio
Idrico Integrato” – non deve solo limitarsi a rendere possibile la copertura
dei costi con i ricavi, ma deve remunerare il capitale investito.

Questa disposizione, oggi trasfusa nel d. lgs. 152 del 2006, recita: «La
tariffa [...] è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica
e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari,
dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della
remunerazione del capitale investito».

Tutta la legislazione successiva non è che uno sviluppo progressivo,
potremmo dire, una razionalizzazione dello stesso principio: dalla Bassanini
(legge 127 del 1997) – che introduce la Società per azioni come opzione
alternativa all'Azienda speciale e prevede forme accelerate e semplificate
per la trasformazione di quest'ultima in S.P.A. – alla finanziaria
Berlusconi (legge 448 del 2001) – che ha trasformato in obbligo quello che
per la Bassanini rappresentava una mera facoltà – per finire al Decreto
Legge 135 del 2009 che prevede la scadenza di tutte le concessioni entro il
31 dicembre del 2010 e la successiva privatizzazione.

La S.P.A., dunque, portando la gestione dell'acqua non solo fuori dal
recinto della pubblica amministrazione ma fuori dal diritto pubblico, per
collocarla saldamente sul terreno del diritto privato, è la logica
conclusione del principio economicistico già contenuto nell'Azienda
speciale.

La vera discontinuità non sta nel passaggio dall'Azienda speciale alla
S.P.A., ma piuttosto in quello tra Azienda speciale, per sua natura
imprenditoriale, e l'Azienda pubblica o municipalizzata.

In estrema sintesi: l'Azienda speciale sta alla S.P.A. come il seme sta alla
pianta. Non si può pensare di sradicare una pianta e poi ripiantare il seme
da cui questa è venuta fuori.

Ecco perché non possiamo definire le idee direttive di un movimento politico
nella prospettiva del diritto positivo vigente in materia.

Questo di fatto toglie agli enti locali la possibilità di scegliere
l'azienda municipalizzata, unico ente formalmente e sostanzialmente
pubblico.

Tornare all'Azienda speciale oggi significa dover necessariamente lottare
contro la S.P.A. domani e così fino a quando avremo esaurito tutte le nostre
forze senza mai risolvere il problema. Ci saremo in tal modo condannati alla
stessa pena inflitta a Sisifo per aver sfidato gli dèi: spingere un masso
dalla base alla cima di un monte. E raggiunta la cima, ogni volta, vedere il
masso rotolare nuovamente alla base del monte. Ogni volta, e per l'eternità,
Sisifo doveva ricominciare da capo la sua scalata.

Per questi motivi dovremmo denunciare con forza e lottare perché in Italia
venga reintrodotta, per legge di Stato, l'Azienda pubblica o
municipalizzata.

Ne sono certo, se domandassimo ai nostri amici in contrasto tra azienda
Azienda speciale e S.P.A. quale opzione proporrebbero avendo la possibilità
di scegliere tra Azienda municipalizzata, Azienda speciale e S.P.A., non ho
dubbi, risponderebbero: Azienda municipalizzata!

Ma già sento la replica: per legge la municipalizzata non si può fare!
Ma io mi domando: perché ciò che per legge non si può fare noi non dobbiamo
neanche volerlo?

Noi dobbiamo volere ciò che ci è stato tolto da potenti comitati d'affare
mediante una legge ingiusta espressione della volontà del più forte.
Per questo ritengo che la disputa tra sostenitori dell'azienda speciale e i
promotori della s.p.a. sia un abbaglio.

La legge del più forte ci dice che non possiamo ostacolare con mezzi e
parole coloro che violentano il nostro territorio: ma noi lo dobbiamo
volere.

La legge del più forte ci dice che non possiamo prendere parte alle
decisioni che riguardano le grandi opere pubbliche: ma noi lo dobbiamo
volere.

La legge del più forte ci dice taci, noi dobbiamo affermare il diritto alla
vita, il diritto alla partecipazione democratica, il diritto della natura a
sussistere come bene comune e universale.

Se i più forti, utilizzando strumentalmente la legge, hanno occupato le
istituzioni democratiche e repubblicane e corrodono il corpo morale ed
economico del nostro paese con una legislazione criminogena vuol dire che
siamo stati chiamati ad una lotta senza quartiere, siamo chiamati ancora
dalla nostra storia ad un nuovo risorgimento della coscienza civile ad una
nuova resistenza per lo stabilimento nei rapporti sociali, politici ed
economici della dignità dell'uomo.

Il ragionamento giuridico non può determinare l'indirizzo del movimento
anche perché la rilevanza economica non è un principio di natura giuridica,
ma politica.

La natura economica o non economica di un servizio non può essere
determinata per legge ma solo dalle scelte amministrative, organizzative in
definitiva politiche di un ente.
Il fatto che per legge si definisca economico il servizio di un bene quale
l'acqua – questo sì, per sua natura non economico – è un abuso.

Ragion per cui non giuridicamente ma politicamente dobbiamo contestare il
principio. Aver ingenerato confusione fra gli attivisti del movimento
intorno alla definizione di Azienda pubblica o municipalizzata, Azienda
speciale e S.P.A. a capitale interamente pubblico è la prova del limite del
ragionamento meramente giuridico.

Avremmo dovuto riflettere meglio su tutto questo, avere il tempo di
chiarirci, aspettare che passassero le elezioni politiche prima di lanciare
il referendum – che rischia di essere cannibalizzato dalla propaganda.

Tra l'altro il referendum è abrogativo, e noi, possiamo tagliare, sminuzzare
scandagliare quanto vogliamo ma dentro la legge attuale l'azienda pubblica
non la troveremo.

Occorre lottare insieme per la reintroduzione, mediante legge dello Stato,
dell'Azienda municipalizzata. Riprendiamo la legge di iniziativa popolare,
perfezioniamola facendo sì che la rilevanza economica sia abiurata dal
sistema giuridico vigente in materia.
Se saremo capaci di volere questo allora potremo anche averlo!

Fraterni saluti
Nicola Capone
Segretario generale delle Assise della Città di Napoli e del Mezzogiorno
d'Italia
Aderente al CO.RE.RI.

p.s. Propongo di fissare una data per una pubblica assemblea e discutere con
serenità di tutto questo, con l’obiettivo di unificare il fronte di lotta
per la ripubblicizzazione dell’acqua.






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