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IL MONDO DI MAFIOPOLI di Lucio Garofalo
23.05.2010

IL MONDO DI MAFIOPOLI
Durante la colonizzazione del selvaggio West americano, il Popolo degli
uomini venne massacrato dall'esercito yankee nel corso delle sanguinose
"guerre indiane". La tribù pellerossa dei Sioux Dakota Hunkpapa era guidata
dal grande capo e sciamano indiano Toro Seduto. In realtà il suo nome era
Bufalo Seduto, o Tatanka Yotanka nella lingua dei nativi americani. Egli
divenne famoso in seguito alla storica vittoria ottenuta nella battaglia del
Little Big Horn contro le truppe comandate dal tenente colonnello George
Armstrong Custer, soprannominato "capelli gialli", grande capo dei "visi
pallidi".
Molto tempo dopo, nel mondo della mafia siciliana, esattamente a Cinisi,
sovrastava e tuonava don Tano Seduto, come a Corleone troneggiava don Totò
Seduto, mentre altrove spadroneggia qualche altro don Seduto sul trono. Ma
la mafia non è tramontata con l'arresto dei boss più spietati, cioè Riina e
Provenzano, braccati e latitanti per anni, improvvisamente catturati
allorché si sono rivelati inutili come arnesi ormai vecchi.
La rivoluzione antropologica della mafia
Quella che è morta e sepolta è senza dubbio la mafia più arretrata,
anacronistica e tradizionale, la mafia rurale messa sotto processo dalle
inchieste dei giudici Falcone e Borsellino, uccisi proprio dai sicari della
cosca più feroce e sanguinaria, all'epoca vincente, quella dei Corleonesi.
Al contrario, oggi la mafia è più ricca e potente che mai, non è scomparsa
solo perché non ammazza più come sua abitudine, con metodi brutali e
truculenti, vale a dire usando le armi, minacciando e terrorizzando la
gente, compiendo stragi cruente per eliminare fisicamente i suoi nemici,
siano essi tenaci e audaci sindacalisti come Placido Rizzotto, intrepidi
attivisti politici come Peppino Impastato, giudici onesti e integerrimi come
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ci sono altre mafie che continuano a massacrare le persone, ricorrendo ad
eccidi eclatanti e indiscriminati: la Camorra dei Casalesi, la 'Ndrangheta
calabrese o alcune mafie straniere. La mafia siciliana evita di ammazzare
perché si è in qualche modo "evoluta" e "civilizzata", per meglio dire si è
"mimetizzata", in quanto non vuole più esporsi alle eventuali ritorsioni
dello Stato, non intende più essere visibile per offrire l'impressione di
non esistere più. Infatti rinuncia a mostrarsi, preferisce ripararsi dietro
una facciata apparentemente più civile e rispettabile. Ciò significa che
Mafiopoli non esiste più? Niente affatto. La mafia ha solo imparato a
dissimularsi meglio.
Essa continua ad agire indisturbata, molto meglio di prima, in una veste
moderna e aggiornata. L'assetto del potere di Mafiopoli si è modificato
profondamente, riciclandosi in forme nuove e più sofisticate. Anche la
mafia, quella arcaica e primitiva, ha subito un processo di rivoluzione
capitalistica che ha generato una mutazione antropologica e culturale, la
stessa che Pasolini ha descritto a proposito dell'odierna civiltà edonistica
e consumistica di massa. Dunque, la mafia si è ristrutturata e globalizzata,
diventando una holding company estremamente potente, una corporation
tecnologicamente avanzata, un'impresa finanziaria multinazionale. Insomma,
la mafia è a capo di un vasto Impero economico mondiale ed è oggi la prima
azienda del sistema capitalistico italiano, una grossa compagnia
imprenditoriale che può vantare il più ricco volume di affari del Paese.
Mafia S.p.A.
La mafia è diventata una complessa e potente società finanziaria privata,
che potremmo chiamare Mafia S.p.A.: una Società per Azioni. Azioni
criminali! Come criminale, o quantomeno immorale, è l'intero apparato
economico capitalistico, le cui ricchezze sono di origine perlomeno dubbia.
"Dietro ogni grande fortuna economica si annida un crimine", scriveva Honoré
de Balzac. Questa citazione mi serve per chiarire come la natura della
proprietà privata, del grande capitale, delle immense rendite economiche,
sia sempre illecita e sospetta, se non di origine criminale, in quanto
discende da un atto iniquo di espropriazione violenta del prodotto, ossia
del valore materiale creato dal lavoro collettivo. La matrice reale del
sistema capitalistico è di per sé violenta e disonesta, come tenta di
dimostrare Roberto Saviano nel suo best seller, Gomorra.
"Gli affari sono affari" per tutti gli uomini d'affari, siano essi
personaggi incensurati, approvati moralmente e socialmente, siano essi
figure losche e notoriamente riconosciute come criminali. Belve sanguinarie
o meno, assassini e delinquenti o meno, pregiudicati o incensurati, gli
uomini d'affari sono sempre poco onesti, in molti casi astuti e crudeli,
cinici e spregiudicati per necessità, per indole o vocazione individuale.
Del resto, le mafie non sono altro che imprese economiche criminose. La
mafia è fondamentalmente un'organizzazione imprenditoriale che esercita i
suoi affari e le sue attività illecite con un obiettivo primario: il
profitto economico. Per raggiungere il quale è disposta anche a servirsi dei
mezzi più disonesti, a ricorrere al delitto più atroce. Per vincere la
competizione delle società rivali è pronta a ricattare e corrompere, ad
eliminare fisicamente i suoi avversari. Parimenti ad altri gruppi
imprenditoriali, come le compagnie multinazionali che uccidono gli attivisti
politici e sindacali che in America Latina o in Africa si oppongono
all'ingerenza economica e imperialistica occidentale.
In altri termini, il delitto e la sopraffazione appartengono alla natura più
intima dell'economia borghese, in quanto componenti intrinseche di un ordine
retto sul "libero mercato", sulle sperequazioni e le ingiustizie che ne
derivano. La logica "mafiosa" è insita nella struttura medesima del sistema
economico affaristico dominante, a tutti i livelli e in ogni angolo del
pianeta, ovunque riesca ad insinuarsi l'economia di mercato e l'impresa
neocapitalista. Ciò che eventualmente può variare è solo il differente grado
di "mafiosità", cioè di irrazionalità e di aggressività terroristica
dell'imprenditoria capitalista. C'è chi elimina direttamente e brutalmente i
propri nemici, come nel caso di tante "onorate" società riconosciute come
criminali, c'è chi invece impiega sistemi meno rozzi, più eleganti e
raffinati, ma altrettanto spregiudicati, cinici e pericolosi.
Non vedo, non sento, non parlo
In dirittura d'arrivo un ragionamento finale, ma non esaustivo, vorrei
riservarlo al fenomeno dell'omertà sociale. Mi permetto di suggerire
anzitutto una definizione sommaria assunta da un comune dizionario:
"l'omertà è la solidarietà col reo, è l'atteggiamento di ostinato silenzio
teso a coprire reati di cui si viene direttamente o indirettamente a
conoscenza". Il termine omertà è di origine incerta, con molta probabilità è
riconducibile all'etimo latino humilitas, cioè umiltà, adottato
successivamente nei dialetti dell'Italia meridionale e modificato in umirtà.
Da questa fonte vernacolare potrebbe scaturire l'odierna voce italiana.
Nel gergo mafioso chiunque infranga il codice dell'omertà, o tenti di far
luce su una verità, viene disprezzato come "infame" e "presuntuoso". Il
codice dell'omertà, consuetudine tipica del sistema mafioso, rappresenta da
un punto di vista psicologico la salvaguardia dell'ambito familiare, la
tutela dell'onore del clan di appartenenza. La famiglia mafiosa impartisce
ai suoi membri il culto del silenzio, della reticenza, quale requisito
essenziale della virilità. L'infausta catena omertosa si configura come una
delle basi su cui si erge il lugubre potere della mafia. Per estensione, il
codice omertoso si impone ovunque sia egemone una realtà di stampo mafioso,
nell'accezione più ampia del termine, cioè nel senso di un potere
costrittivo, violento e terroristico.
Dunque, l'uso intelligente e raffinato del linguaggio, se necessario urlato,
il parlare ad alta voce, può esprimere un gesto di rottura e di rivolta
contro il silenzio dell'omertà mafiosa in senso lato, può ispirare anche un
modello di educazione basato su codici di comportamento meno oscurantistici,
più liberi e democratici. Personalmente credo molto nel potere e nella
priorità della parola, intesa ed esercitata non solo come veicolo di
comunicazione, ma anche come metodo di critica e denuncia della realtà, come
strumento di interpretazione e trasformazione del mondo, che non è l'unico
esistente.
Il linguaggio contiene in sé la forza necessaria a mutare lo stato di cose
presenti, a migliorare le nostre condizioni di vita e la realtà circostante.
Potenzialmente la parola vale molto più di un pugno nello stomaco e può
contribuire a spezzare le catene dell'oscurantismo e dell'indifferenza
sociale derivanti dal codice omertoso. Il linguaggio della verità può
giovare e concorrere alla causa della libertà e della giustizia sociale,
rompendo o rettificando situazioni e comportamenti che ci opprimono e ci
indignano.
La parola, come testimonianza di un altro modo di vivere, di intendere e
costruire i rapporti interpersonali improntati ai principi della
solidarietà, della libertà e della convivenza democratica, è senza dubbio
una modalità alternativa, "eversiva" e destabilizzante rispetto all'ordine
oppressivo ed omertoso imposto dalla mafia. L'uso della parola rinviene un
senso concreto ed acquista maggior vigore e consapevolezza nella misura in
cui può servire a violare il potere coercitivo della malavita organizzata,
provando a vincere la diffusa e coatta mentalità mafiosa.
Lucio Garofalo

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