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Lettera agli ottomila Sindaci :
17.06.2010

Lettera agli ottomila Sindaci italiani: "Non credete al Ministro Ronchi"
Egr. Ministro Ronchi, l'accusatio è manifesta
Da molti mesi il Ministro per le Politiche Comunitarie, Andrea Ronchi, ha dato il via a una vera e propria
campagna mediatica per difendere un “suo” decreto dall'accusa di privatizzare l'acqua e sconfessare il
referendum abrogativo “l'acqua non si vende” (www.acquabenecomune.org). Non c'è media e giornale dove
il ministro non sia intervenuto, qualche volta in contraddittorio con noi del comitato promotore del
referendum, e molto più frequentemente in solitaria.
Col primo giugno ministro e ministero hanno lanciato una “operazione verità” (testuale) intitolata “Acqua le
ragioni dell'intervento”, una sorta di “decalogo” di “veri” e “falso” sulla Legge che sarebbe mistificata da noi
referendari, dai movimenti dell'acqua bene comune e da tutti i difensori del servizio pubblico. Il testo, che è
una vera perla, è stato messo bene in evidenza sul sito del ministero.
Per ironia della sorte un'idea simile era già venuta alle multinazionali francesi dell'acqua Suez e Veolia che in
diverse occasioni (Forum internazionali e giornate mondiali dell'acqua) hanno divulgato pubblicazioni e
istruzioni ai loro dipendenti su come rispondere alle accuse dei movimenti sociali. Il caso vuole che le
risposte del ministro siano davvero molto simili a quelle delle multinazionali. Ma non c'è mistero. L'ideologia
è la stessa.
Anche se l'epoca è cambiata. Lo testimoniano le quasi 900mila firme raccolte in un mese e mezzo proprio
dalla campagna per l'acqua pubblica. E allora proviamo a fare chiarezza anche noi, sul “decreto Ronchi” e la
“liberalizzazione” dell'acqua.
E prima di procedere – come ha scelto di fare il ministro e come fanno le multinazionali nelle loro campagne
– al gioco del “vero” e “falso”, ricordiamo solo di cosa stiamo parlando perché rischiamo tutti (i media per
primi) di prendere da subito un abbaglio.
Il provvedimento
Il 9 settembre 2009 il Consiglio dei Ministri vara un decreto legge “salva infrazioni”: un “rapido assolvimento
di obblighi nei confronti dell'Unione europea per ovviare a procedure di infrazione per ritardato o non
corretto recepimento di direttive comunitarie”. Nel decreto c'è un po' di tutto. Come riporta il sito del
ministero, c'è la riforma dei servizi pubblici locali con l'apertura del mercato ai privati, misure per la difesa
del Made in Italy, regolamentazione degli spot telefonici e ancora, previsione di norme anti-mafia per l'Expo
2015, proroga delle convenzioni per la Tirrenia, obbligo di vendita di lampadine ed elettrodomestici a basso
consumo a partire dal 2010.
Il 17 novembre il decreto è in dibattito alla Camera e per la 28esima volta il governo decide di porvi la
fiducia con la consueta formula, annunciata dal ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito,
"velocizzare i tempi". Mancava una settimana alla scadenza, il tempo per discutere c'era. Ma il governo non
vuole discutere e si vota: 302 voti a favore e 263 contrari.

Il punto che riguarda l'acqua nel Decreto Legge 135/09 è l'art. 15 "Adeguamento alla disciplina comunitaria
in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica" (e notate bene “di rilevanza economica”) ed è
molto corposo (http://www.parlamento.it/parlam/leggi/decreti/09135d.htm).
È oggetto del primo quesito referendario della nostra campagna, che riguarda l’abrogazione totale dell’art.
23 bis della legge 133/2008 modificato appunto da questo art. 15.
Un solo articolo all'interno di un provvedimento omnibus che porta ad estreme conseguenze la
“liberalizzazione” per i servizi pubblici locali (in teoria solo quelli a rilevanza economica: trasporti, rifiuti...).
Quindi fa sorridere che il ministero ex-post scriva frasi del tipo: “il sistema disegnato dal decreto Ronchi
nasce dall’esigenza di adeguare il settore dei servizi pubblici locali, governato da leggi ormai anacronistiche,
alle attuali esigenze dei cittadini, della società e dell’economia del Paese. Una necessità ancora più evidente
relativamente alla gestione del servizio idrico integrato e al dissesto in cui versano le reti”.
Puro fumo negli occhi. Non c'è alcun sistema. Non c'è nessuna legge organica o riordino della materia. Sulle
reti, le perdite, la qualità del servizio non c'è una parola nella Legge. Ci sono un sacco di chiacchiere per
giustificarla, ma l'intervento di Ronchi è solo un articolo per spingere un po' più in là la privatizzazione dei
servizi pubblici. Non c'è riforma, non c'è dibattito, non c'è riordino legislativo. E infatti il ministro che
orgogliosamente rimane col cerino in mano è quello per “le politiche comunitarie”, invece di quello per
l'ambiente e la tutela del territorio o di quello per le infrastrutture. Non lo affiancano nemmeno. È rimasto
solo Ronchi a parlare di reti idriche, concessioni, tariffazioni… Tutta roba che non gli competerebbe ma gli è
caduta sul tavolo.
Vero o falso?
L'operazione “verità” del ministro è presentata in alcune affermazioni “vero o falso” con i relativi commenti.
La lista delle affermazioni è la seguente:
- Il decreto Ronchi privatizza l'acqua: falso
- Un intervento nel settore era necessario: vero
- Le tariffe aumenteranno in maniera indiscriminata: falso
- L'acqua resta un bene accessibile a tutti: vero
- Non è più possibile affidare la gestione dei servizi in house: falso
- Nessuno vigilerà sui gestori del servizio e sulle tariffe applicate: falso
E il primo dato davvero significativo per noi dei movimenti per “l'acqua bene comune” è il rovesciamento di
senso. Fino a sei/sette anni fa la privatizzazione veniva rivendicata come giusta ed efficiente. Adesso non
riescono più a dirlo, devono giustificarsi a priori, assicurare che nessuno vuole privatizzare. Non c'è niente
da rallegrarsi, purtroppo, perché se il senso comune si sta rovesciando a favore del pubblico (non del
partitico, lottizzato, burocratizzato…) è perché dove è esistita la privatizzazione in toto o in parte le cose
sono peggiorate e di molto. Ovunque. Lo dicono i numeri, quelli del governo, non i nostri. Guardare per
credere.
Quindi il nostro gioco del “vero o falso” comincia proprio da qui, dall'idea che “il mercato fa meglio”, l'ultima
spiaggia della privatizzazione all'italiana (mentre nel resto d'Europa hanno cominciato a ripubblicizzare).
Liberalizzare?
Il decreto Ronchi sancisce la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e apre un mercato
importantissimo alla concorrenza.
FALSO
Liberalizzazioni e concorrenza nulla hanno a che vedere con la gestione del servizio idrico. Il servizio idrico,
come tutti sanno, è un monopolio naturale.
Ciò significa che, in questo settore, non esiste la concorrenza, che presuppone l’esistenza di più gestioni tra
le quali i fruitori del servizio possono scegliere.
Il massimo che il mercato può offrire, in questo caso, sono le gare per aggiudicare il servizio. E qui emerge
un altro problema: siccome il servizio idrico necessita di elevati investimenti prolungati nel tempo, le gare
sono costruite con scadenze lunghe e revisioni brevi. Le concessioni durano 20-25 anni, mentre ogni 3 anni
si possono ricalcolare tariffe, investimenti e le altre grandezze del servizio. Le condizioni ideali perché grandi
potentati, magari multinazionali, possano fare “buone” offerte all’inizio e poi, grazie al fatto di detenere in
modo pressoché esclusivo le informazioni sui costi e le modalità di erogazione del servizio, poter rinegoziare
di fatto la situazione concordata. Basta andare a guardare le esperienze concrete: è sufficiente andare
oltreconfine, in Francia, dove il meccanismo della gara è molto utilizzato per vederne i risultati. Lì il numero
di procedure di gara è molto elevato, circa 580 in media all’anno, visto che il sistema è molto frammentato.
Ebbene, in quasi il 90% dei casi, la gara ha confermato i precedenti gestori che risultano essere, nella
grandissima maggioranza, le 3 grandi multinazionali francesi del settore, Veolia, Suez e Saur.
Si dice allora che è bene istituire una buona regolamentazione, magari tramite un’ Authority, per evitare che
i grandi monopoli possano decidere su tariffe, investimenti, consumi ecc. Ora, anche prescindendo dal fatto
che finora si è andati in direzione assolutamente contraria (il CONVIRI è stato ridimensionato, le Autorità
degli ATO addirittura abolite entro l'anno), ci spiega il ministro Ronchi come una piccola pattuglia di studiosi,
certamente assai indipendenti (come si è soliti fare in questo Paese), riuscirà a convincere Suez, Veolia,
Acea, Hera ecc. a tenere basse le tariffe, fare tanti investimenti, accontentarsi di bassi profitti?

Lo vuole l'Europa?
La legge Ronchi detta una serie di norme sui servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti) di
adeguamento alla disciplina comunitaria.
FALSO
L’incipit del decreto Ronchi è menzognero. La norma non adempie ad alcun obbligo comunitario. Tale
disposizione non esplicita le fonti comunitarie di riferimento che dovrebbe “applicare”.
Essa si “auto-proclama” norma di attuazione di obblighi comunitari perché l'Europa demanda ai singoli Stati
membri la scelta in merito alla modalità di gestione del servizio idrico e degli altri servizi pubblici locali. Ma il
governo non ha legiferato, non ha detto: “il servizio idrico è di rilevanza economica”.
L'ultima parola sul servizio idrico in Italia spetta ancora ai Comuni (e per questo il Forum Italiano dei
Movimenti da oltre un anno chiede ai Comuni di inserire nel loro statuto la dizione di “servizio idrico privo di
rilevanza economica”). Il decreto, quindi, obbliga i Comuni a vendere le quote delle loro aziende di servizi
violandone le competenze e il ruolo. Forza il passaggio del servizio a esclusivo valore economico senza dirlo
chiaramente. Si nasconde dietro l'Europa.
Pubblica, privata o….?
Il discrimine non è la scelta tra pubblico e privato, ma tra chi (pubblico o privato non importa)
è efficiente e chi no.
FALSO
La gestione pubblica e quella privatistica si differenziano in modo sostanziale perché hanno obiettivi
alternativi: la prima è finalizzata a soddisfare interessi e diritti della collettività, la seconda a raggiungere il
massimo profitto. E anche il concetto di efficienza non è neutro: nel primo caso vuol dire pareggio tra costi e
ricavi, nel secondo massimizzazione dell’utile aziendale.
O l'acqua è un bene comune e un diritto umano universale, da conservare per le generazioni future o
diventa un bene economico soggetto alle regole della valorizzazione del capitale economico-finanziario.
Non si tratta di demonizzare il mercato e il profitto (che funzionano per altri beni e servizi). Si tratta di avere
solo chiaro che quando si parla di acqua e servizio idrico, e di beni comuni in generale, il mercato non c’è e
il profitto si costruisce, oltre che sulla domanda garantita, intervenendo in modo contrario agli interessi
generali: incremento delle tariffe, sottoinvestimenti, aumento dei consumi. Abbiamo presente che anche la
gestione pubblica può essere piegata ad interessi particolaristici, di natura lobbistica o clientelare. Ma
proprio per questo la nostra idea di gestione pubblica è strettamente legata a quella di partecipazione e
democrazia.

Parliamo di gestione pubblica partecipata, perché è quella corrispondente all’idea di bene comune. Vogliamo
andare al di là della gestione pubblica intesa come proprietà statale o dell’Ente locale, perché se essa è
premessa necessaria per soddisfare gli interessi della collettività, non ne è però condizione sufficiente.
Occorre costruire meccanismi di partecipazione dei lavoratori e dei cittadini in grado di intervenire sulle
scelte e gli obiettivi di fondo dell’utilizzo della risorsa idrica e della gestione pubblica del servizio: solo così si
potrà affermare realmente il fatto che l’acqua è bene comune e il servizio idrico rispondente agli interessi
generali.
Per cominciare a farlo non c'è poi granché da inventare, basterebbe ripartire dall'articolo 43 della
Costituzione.
Cosa resta pubblico?
Oggi in Italia la gestione pubblica è assolutamente preponderante e l'acqua è e resta un bene
pubblico.
FALSO
È evidente e noto a tutti che la proprietà del bene acqua è pubblica e non cedibile, anche se poi il
meccanismo delle concessioni (dall’acqua minerale alla produzione di energia idroelettrica) spesso mette a
repentaglio il suo utilizzo per finalità pubbliche.
In ogni caso, la privatizzazione è in primo luogo la gestione a fini privatistici del servizio idrico, che è in
corso ormai da 15 anni. Dalla metà degli anni ’90 alla gestione svolta da soggetti di diritto pubblico (Aziende
speciali, Consorzi tra Comuni) si sostituisce progressivamente la gestione tramite società di capitali, in
particolare S.p.A., che, com’è noto, sono soggetti di diritto privato e, come recita il codice civile, vengono
costituite “per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.
È qui che si passa da un’idea di servizio pubblico, finalizzato al soddisfacimento degli interessi collettivi e
imperniato su una logica economica di pareggio costi-ricavi anche con il ricorso alla fiscalità generale, ad
un’impostazione mercantile, che assume come priorità la realizzazione del profitto e si finanzia con le tariffe
e il ricorso al mercato e alla Borsa.
È qui il discrimine e il passaggio di campo, che porta i sevizi presunti “a rilevanza economica” a differenziarsi
dagli altri servizi pubblici che garantiscono fondamentali diritti di cittadinanza, come sanità, istruzione,
sicurezza.
Poi, si può discutere sul grado di privatizzazione: le S.p.A. a totale capitale pubblico sono dette spesso
“privatizzazioni formali” mentre le S.p.A. miste e quelle private, definite “sostanziali”, sono maggiormente
piegate a una logica legata al profitto. Per questo non si può sostenere che il servizio idrico non sia
privatizzato perché sono solo 7 le S.p.A. totalmente private che finora gestiscono il servizio sul territorio
italiano: è più chiaro e rispondente alla realtà evidenziare che dei 110 soggetti che gestiscono il servizio
idrico nei 69 Ambiti territoriali che hanno affidato il servizio tutte sono società di capitali, 106 S.p.A. e 4 srl.
Poi, delle 106 S.p.A., 65 sono a totale capitale pubblico, 34 miste pubblico-privato (ma comanda il privato
con patti parasociali in fotocopia) e 7 totalmente private.
Chi vincerà le gare?
La gestione pubblica potrà rimanere: basterà che le Spa a totale capitale pubblico vincano le
gare.
FALSO
Fermo restando che anche le SpA a totale capitale pubblico costituiscono una forma, seppure blanda, di
privatizzazione, è necessario sottolineare che la vera innovazione del decreto Ronchi è proprio quella di
ridimensionare drasticamente la presenza delle attuali 65 SpA a totale capitale pubblico, che dovranno
cedere almeno il 40% del proprio capitale a soggetti privati entro la fine del 2011 pena la decadenza delle
concessioni loro affidate. Perché il servizio idrico, alla fine del 2011, possa ancora essere affidato a SpA a
totale capitale pubblico bisognerà affrontare una vera e propria corsa ad ostacoli, passando per il parere
preventivo da parte dell’Antitrust, che dovrà accertare che non sussistono le condizioni per far ricorso al
mercato, a riprova dell’ispirazione del decreto Ronchi.
Poi, certo, una volta reso residuale il loro ruolo, le SpA a totale capitale pubblico potranno partecipare alle
gare, che, come visto prima, costituiscono il meccanismo più efficace per consegnare il servizio idrico alle
grandi aggregazioni dominate dai soggetti privati e dalle logiche finanziarie.
Più investimenti, meno perdite, tariffe più basse?
Con la riforma vengono poste le premesse proprio per una rapida e progressiva ripresa degli
investimenti necessari per il settore e, in particolare, per la ristrutturazione della stessa rete
idrica. Più efficienza porterà nel medio periodo a tariffe più basse.
FALSO
Qui siamo alla pura fantasia o alla pura mistificazione. Intanto bisognerebbe rispondere di cosa è già
successo da 15 anni in qua, da quando è iniziato e si è affermato il processo di privatizzazione del servizio
idrico. Negli anni 1996-2006 le tariffe sono cresciute di più del 60%, mentre l’inflazione, sempre nello stesso
periodo, è stata di poco superiore al 25%. Gli investimenti dall’inizio degli anni ’90, quando assommavano a
circa 2 mld euro/anno, sono letteralmente crollati (-2/3) ai circa 6-700 mil euro/anno dall’inizio degli anni
2000. con quello che ne consegue in termini di mancata ristrutturazione delle rete idrica e delle perdite ad
essa connesse.
Va aggiunta poi l’allarmante, e per fortuna irrealistica, previsione di incremento dei consumi nell’ordine di
quasi il 20% per i prossimi 15 anni. Ciò è dovuto a due fattori di fondo. Il primo è il meccanismo tariffario,
fissato con un decreto ministeriale del 1996 e confermato nell’impianto della ”riforma” Ronchi, che
costituisce il secondo grande pilastro della privatizzazione del sistema. Tale meccanismo sancisce che le
tariffe devono coprire integralmente i costi di gestione del servizio, gli investimenti, nonché riconoscere un
7% di profitto garantito sul capitale investito ai soggetti gestori.
Il secondo è la possibilità per i soggetti gestori di intervenire nel poter definire tutte queste grandezze. E ciò
ha “naturalmente” portato a considerare unica variabile indipendente il profitto garantito al 7% sul capitale
investito, subordinando a ciò tariffe, investimenti e consumi. Le prime crescono sensibilmente, i secondi
hanno una flessione pesante, gli ultimi diventano ambientalmente insostenibili: e tutto ciò non solo
continuerà, ma con il decreto Ronchi avrà un’ulteriore accelerazione negativa.
In realtà, per far ripartire gli investimenti è necessario un Piano nazionale straordinario, slegandoli dal
finanziamento tramite la tariffa e costruendo un efficace intervento di finanza pubblica a loro supporto. Una
sorta di “grande opera pubblica”. Solo per questa via si riuscirà ad affrontare l’annosa problema delle perdite
della rete e, assieme alla ripubblicizzazione della gestione, contenere le tariffe e disincentivare i consumi.
L’acqua resta un bene accessibile a tutti?
FALSO
La mercificazione dell’acqua e la sua conseguente trasformazione in bisogno (invece che diritto) rende reale
il pericolo di estromissione delle fasce sociali meno abbienti e costruisce una relazione più stretta tra reddito
delle famiglie e possibilità di avere accesso all’acqua potabile. Non è uno spauracchio, ma semplicemente la
registrazione di quanto è già avvenuto dove il processo di privatizzazione si è spinto più avanti e che è
destinato a realizzarsi se il disegno di Ronchi e del governo andrà avanti. Da questo punto di vista, basta
dare un’occhiata al sistema inglese, dove, assieme ad una gestione totalmente privatizzata, esiste peraltro
una forte e “preparata” autorità di regolazione pubblica, l’OFWAT. Ebbene, proprio in questa situazione, oltre
a forti aumenti tariffari e a una situazione di rilevanti sottoinvestimenti, si è arrivati a un record negativo di
“water poverty”, l’indicatore che misura l’insostenibilità del costo della fornitura d’acqua rispetto al reddito
percepito: le famiglie inglesi che si trovano in questa situazione sono ormai circa il 10% del totale. In Italia,
per altro, 8 milioni di cittadini non hanno ancora uno stabile e dignitoso accesso all'acqua potabile. Quanti
diventeranno?

Segreteria Operativa Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
e-mail: segreteria@acquabenecomune.org / Sito web: www.acquabenecomune.org
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Tel. 06/6832638; Fax. 06/68136225

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