4.09.2010
I NEGOZIATI ISRAELIANI-PALESTINESI A WASHINGTON: "C'E' SCETTICISMO NELLA POPOLAZIONE ANCHE SE ESITI POSITIVI AVREBBERO RIFLESSI BENEFICI SUI CAMPI" parla B.Taccardi C'è scetticismo tra i palestinesi riguardo i colloqui in corso a Washington tra Israele e Autorità nazionale palestinese. Ce ne parla Bruna Taccardi, capo progetto per “Play and work”, l’intervento di cooperazione che Peace Games, l’Ong dell’Uisp, sta portando avanti nel campo profughi di Shu’Fat, a Gerusalemme est. Sono 8 anni che la Taccardi lavora in Palestina, in questi giorni è in Italia, ma ritornerà a Gerusalemme dalla metà del mese. “Tra la popolazione nessuno ormai crede più in queste iniziative – spiega – Non c’è fiducia nello stato di Israele, ma neanche in Abu Mazen, che ha accettato di partecipare all’incontro senza porre delle condizioni precise, come quelle relative al diritto al rientro dei profughi. Peace Games opera in un campo profughi creato nel 1965. In un campo per rifugiati viene enfatizzato tutto il disagio sociale che può esserci in una realtà delicata come quella della società palestinese”. “L’opinione comune – prosegue - è che siano ormai appuntamenti di routine tramite i quali Israele cerca di presentarsi all’opinione pubblica internazionale come paese pacifico. Di fatto però la realtà è sempre la stessa: continua la costruzione del muro, continuano gli insediamenti dei coloni e i profughi continuano a vivere nei campi. In Cisgiordania questa visione è condivisa dall’intellettuale come dal contadino”. Il progetto Play and Work punta ad organizzare attività ludiche per i ragazzi del campo e attività di training per le donne, come corsi di formazione tecnica e artistica o corsi di lingua ebraica, per consentire loro maggiori opportunità di impiego. Grazie anche alla collaborazione con altre associazione esterne, il progetto consente un'interazione costante tra chi vive fuori e dentro il campo. “Sicuramente un esito positivo dei colloqui potrebbe avere degli effetti benefici sulla realtà dei campi profughi – aggiunge – Effetti non a breve termine. Noi siamo presenti lì per attenuare il disagio, per impedire che la situazione imploda. La vita in un campo profughi comporta già di per se un disagio, che a Gerusalemme è ancora più accentuato dall’ambigua realtà geografica e politica. A tutto ciò si aggiunge il sovrappopolamento”. (F.Se.)
fonte: UISP
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