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Raccogliamo la sfida di Berlusconi - Epifani sull'Unità
1.10.2003
"Con l’apparizione televisiva il presidente del Consiglio ha sfidato il sindacato e gli interessi che rappresenta», «con quel sistema comunicativo violento e forgiato su elementi di falsità è come se avesse voluto lui alzare la sfida per nascondere le difficoltà del governo e i grossi problemi del Paese».
Per Guglielmo Epifani il premier punta allo scontro sociale per accreditarsi come «l’uomo delle riforme», ma quella sfida «grava sulla pelle e le condizioni di chi lavora».

Il sindacato raccoglie il guanto, si prepara ad esprimere «la forza di una grande mobilitazione, unitaria per fortuna», dice il segretario generale della Cgil. Lo sciopero generale e le assemblee nei luoghi di lavoro sono già decisi. «Nessuno si illuda, non sarà un fuoco di paglia». Ancora: «Se alla manifestazione di sabato immaginavamo di avere venti-trentamila persone ne avremo molte, molte di più». Quanto al confronto che inizia oggi, Epifani ha pochi dubbi: «Il dialogo è possibile se Berlusconi fa marcia indietro. Ma quello che ha detto in tv è un diktat, prendere o lasciare». E sul presidente di Confindustria che ha promosso l’intervento del premier «farebbe bene a pensare agli interessi delle imprese», «ma evidentemente quel collateralismo tramontato nel cuore della maggior parte delle imprese italiane non è tramontato ancora per il presidente D’Amato».

Il premier interviene in tv a reti unificate, a Cgil, Cisl e Uil viene negata la diretta per la manifestazione di sabato. Come commenta?
«Con uno sdegno che cresce nei confronti di questa progressiva involuzione del servizio pubblico. Dopo che il presidente del Consiglio avvalendosi di una norma che gli consentiva di parlare al Paese a reti unificate se ne è servito per fare un’apologia della sua scelta e di se stesso avevamo chiesto unitariamente alla Rai che ci fosse la sensibilità di trasmettere in diretta la grande manifestazione di sabato. Il Cda a maggioranza non ha colto questa proposta e questo è segno di gravissima involuzione e anche di paura».

Perché paura?
«Paura delle ragioni che, in una libera dialettica a parità di mezzi di informativi, le posizioni del sindacato possono avere o determinare nella pubblica opinione. È un gesto di arroganza e di paura. Mentre invece ancora una volta va apprezzato il coraggio e il comportamento di Lucia Annunziata che ha assunto una posizione assolutamente coerente e rispettosa dei valori di quello che dovrebbe essere il servizio pubblico radiotelevisivo».

Lei parla di paura, in molti in queste ore parlano di «spettro del ‘94»: sarebbe alla base della scelta del premier di giocare d’anticipo. Fa paura il sindacato unito?
«Certo consapevolmente o inconsapevolmente con l’apparizione televisiva il presidente del Consiglio è come se avesse sfidato il sindacato e le persone che rappresenta. Perché in fondo c’eravamo lasciati nel pomeriggio con un confronto molto fermo ma rispettoso del ruolo e delle prerogative di ognuno. Ora con quel sistema comunicativo così inusitato, che conteneva anche una grande carica di violenza, con un discorso forgiato su elementi di falsità evidenti è come se il presidente del Consiglio avesse voluto alzare lui la sfida. Segno secondo me delle difficoltà del governo che è diviso al proprio interno, è appena incappato in questa brutta vicenda del black-out, che sta preparando una Finanziaria in cui non c’è né idea e aiuto allo sviluppo né equità sociale. Per nascondere tutto questo Berlusconi punta tutto ad alzare lo scontro».

Sta dicendo che il conflitto il premier lo sta cercando?
«Sì, lo sta cercando, per presentarsi come l’uomo che sfida il sindacato, come l’uomo delle riforme, quando in realtà più che una sfida al sindacato carica sulle spalle di tutti i lavoratori dopo il 2008 un inaccettabile innalzamento dell’età di pensionamento. È una sfida che grava sulla pelle e le condizioni di chi lavora».

Il sindacato raccoglie la sfida ma non è facile, soprattutto dopo il mega-spot. Come pensate di contrastare un impatto tanto forte?
«Siccome il governo ha scelto la strada della drammatizzazione dei contenuti, noi dobbiamo esprimere la forza di una grande mobilitazione consapevole e serena, unitaria per fortuna, un grande risultato della pazienza con cui tutti e tre i sindacati si sono opposti alla scelta del governo. Dobbiamo lavorare perché sia ristabilita quella verità che il messaggio del premier ha teso ad offuscare: il governo è costretto a fare questa scelta perché ha fallito in termini di finanza pubblica e di rispetto degli equilibri di compatibilità. E avendo sforato gli accordi presi con Ecofin pensa di rimediare attraverso un intervento drastico sul sistema previdenziale. In questo caso i lavoratori sono vittima delle responsabilità e dei ritardi dell’azione di governo. Il risultato sarà dal 2008 l’innalzamento da tre a cinque anni dell’età di pensionamento».

Che il governo puntasse a questo era chiaro da un pezzo, il sindacato ha però atteso, solo oggi le prime proteste: che segnali avete, c’è tra i lavoratori la percezione della pesantezza delle misure prospettate?
«Da questo punto di vista Berlusconi ha fatto un favore perché ormai sulla previdenza il bombardamento era quotidiano ma si parlava e non si faceva mai nulla. Con la drammatizzazione della diretta televisiva la gente ha capito. Cresce la protesta: se sabato immaginavamo di avere venti-trentamila lavoratori ne avremo molti, ma molti di più. Tutti verranno a Roma a dare una prima risposta con il sindacato italiano e europeo alla Finanziaria e all’attacco ai diritti previdenziali. Continueremo per tutto il tempo necessario per rimuovere le decisioni del governo. Nessuno si illuda, non sarà un fuoco di paglia».

Avete stime per sabato?
«No, ma i numeri della partecipazione si stanno moltiplicando per dieci, per venti. Sarà una risposta non solo sulle pensioni ma anche alla Finanziaria. È di puro galleggiamento, non porta un’idea di sostegno allo sviluppo, non è un caso che su questo sia stata criticata anche da Confindustria. Non sono sono neanche convinto che ci sia una riduzione di tasse per le imprese italiane anzi penso esattamente il contrario...»

Eppure D’Amato ha promosso l’intervento del premier.
«Vorrei dire a Confindustria che scioccamente ancora una volta applaude, che farebbe bene a pensare agli interessi delle imprese perché da questo intervento sulle pensioni avremo un sistema rigido che non tiene neanche conto delle loro esigenze di flessibilità. Mi sarei aspettato una Confindustria più critica, ma forse quel collateralismo tra D’Amato e Berlusconi che è tramontato nel cuore della maggioranza delle im prese italiane non è tramontato ancora per il presidente di Confindustria».

I centristi e anche l’ala «sociale» di An insistono col dialogo: è ancora possibile?
«Lo è se il governo fa marcia indietro, se riconosce di aver sbagliato e apre un confronto vero col sindacato. Ma se tutto è già deciso non c’è spazio per trattativa seria, c’è solo un diktat, prendere o lasciare. Questo è quello che in sostanza Berlusconi ha detto ieri sera agli italiani e al sindacato».

da www.unita.it
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