23.09.2010
PD, LA FRONDA GENTILE di Antonio V. Gelormini Il problema non è la bussola della nave Pd, con la cui deriva prima o poi dovrà fare i conti la sua classe dirigente, quasi per niente rinnovata dopo il peccato originale della “fusione fredda” degli apparati. Il problema è il progetto innovativo mai realizzatosi. Quello di un partito sin dai primi vagiti sempre alle prese con uno stato d’emergenza. Un partito che continua a non avere tempo per mettere in pratica i propositi di rinnovamento della politica, basilari ai suoi principi fondativi. Il problema si è fatto evidente quando il segretario, Pierluigi Bersani, ha cercato nuovo vigore per la sua leadership e, indicando una nuova rotta al partito, ha cominciato a parlare di “Nuovo Ulivo”. Un brivido ha attraversato le schiene infiacchite di speranze piuttosto deluse. Non tanto per l’esortazione del segretario, quanto per l’immediato sgranarsi del rosario di adesioni, recitate da tutti gli artefici, più o meno consapevoli, del processo di “rinsecchimento” di quello stesso Ulivo. Quello che pur aveva portato Romano Prodi, per due volte, ad avere la meglio sul berlusconismo dilagante. Persino da Pierferdinando Casini, il più acerrimo tra gli allergici alla proposta ulivista originale, sono arrivati segnali di sospetta e improvvisa disponibilità . Motivo in più per rimanere guardinghi e provare a scoprire cosa bolle in pentola. La sensazione è stata quella di un maldestro tentativo, da un lato di giocare d’anticipo per parare in tempo utile l’assalto “sparigliante” del ciclone Nichi Vendola. Perché l’eventuale ticket con Sergio Chiamparino, alla prova delle primarie, potrebbe far scivolare in un’imbarazzante terza posizione le previsioni di performance del segretario Bersani. Dall’altro il perseguimento di un disegno per depotenziare l’appuntamento con le stesse primarie, col lancio contestuale del tarlo-assioma di un Vendola candidato non adeguato a sfidare Silvio Berlusconi. Ma anche l’applicazione di una tattica per rendere meno improbabile il percorso di avvicinamento all’Udc e alla cosiddetta area del Terzo Polo. Dove la strategia dei “tre moschettieri” (Fini, Casini e Rutelli), per rimanere fedeli alla trama, deve inevitabilmente poter contare prima o poi sulle doti politiche e guascone di un abile D’Artagnan. Ecco allora che la Fronda del “papa straniero” assume contorni meno improvvisati, più concreti e più lungimiranti, per contrastare nei fatti i piani del Cardinale Mazarino di turno. Perché nonostante “la logica interna”, come sostiene il sindaco di Torino, “rischi di far coincidere il partito con quel che resta del Pci, più una fetta dell’ex sinistra democristiana”, è dai tempi dell’angosciante e stizzita invettiva di Nanni Moretti che da quelle parti “non si riesce più a sentir dire qualcosa di sinistra”. La Fronda gentile raccoglie adesioni (75 firmatari del documento Veltroni-Fioroni-Gentiloni). E la reazione infastidita di Letta, Marini e D’Alema, insieme a gran parte della Direzione Pd, la dice lunga sull’istinto marsicano degli apparati a conservarne la latente connotazione gattopardesca. Il timore condiviso dai movimentisti è che, ancora una volta, il partito “senza tempo” si riproponga old style. Proprio quando a detta di Franco Marini: “per la prima volta lo schieramento di destra e il governo mostrano una difficoltà straordinaria con una divisione drammatica”. “Le posizioni critiche si esprimono negli organismi di partito”. Certo, ma che tipo di Nuovo Ulivo potrà mai nascere tra le zolle di un’allergia congenita e diffusa a un Pd grande, aperto e capace di essere perno di un’innovativa alleanza riformista? Non va tutto bene. E’ una moltitudine senza voce a riconoscersi oggi nell’adagio amareggiato di Walter Veltroni: “Al valore dell’unità ho consacrato l’esistenza e a volte sacrificato la capacità di innovazione del partito, per esempio dopo le primarie”. Anche allora il partito non aveva tempo. E ancor meno, per chi se lo ricorda, ce ne fu alla fine della prima Assemblea, quella che elesse proprio quei primi organismi di partito. C’è una frontiera di nuove generazioni non usa alla tattica, che comunica con i linguaggi della modernità e della creatività . Al di là di questa frontiera un’immensa prateria di speranze e di voglia di riscatto. Coltivare ciò che le unisce, anziché governare quanto potrebbe tenerle divise, è la sfida intuita dal Veltroni che pubblica i Vangeli con l’Unità e dal Vendola presidente, che pratica l’esercizio della rivoluzione evangelica di don Tonino Bello. Il sogno, perciò, non resti racconto intimo individuale. Il Pd ritrovi l’audacia dell’utopia. (gelormini@katamail.com )
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