La politica torni nei luoghi del disagio. Nelle ultime ore sono successi due fatti molto diversi tra loro ma che forse meritano una riflessione comune. Mi riferisco all’operaio disoccupato che si è impiccato nel garage della sua abitazione nel napoletano e alla dura contestazione alla sede della Cisl da parte di un gruppo di operai meccanici iscritti e non iscritti alla Fiom.
Cos’è che, a mio avviso, accomuna episodi tanto diversi? Un grave senso di fallimento e di smarrimento
Quello che è successo ieri a Treviglio, dove durante un corteo di lavoratori iscritti e simpatizzanti della Fiom hanno preso a bersaglio una sede sindacale, è un fatto estremamente grave, da non sottovalutare e da condannare senza ambiguità , come ha giustamente dichiarato il segretario generale della Fiom Landini.
Ma oltre alla condanna non è possibile non riflettere sul grave clima che è andato surriscaldandosi negli ultimi mesi all’interno delle relazioni industriali.
Dobbiamo cambiare passo e tornare ad una corretta dialettica sindacale ed industriale. E, al contempo, dobbiamo denunciare senza indugio che c’è stato chi nel governo in questi mesi ha soffiato sul fuoco, ha lavorato per la divisione tra i sindacati e tra il mondo del lavoro: contrapponendo di volta in volta giovani e anziani, garantiti e non, nord e sud.
Quello di cui ci sarebbe bisogno oggi, oltre al richiamo all’unità nel mondo del lavoro, è che ognuno ritorni ad essere responsabile e propositivo a partire dai propri ruoli. Siamo tutti chiamati, anche in una fase economica oggettivamente complessa, a lavorare per non far sentire soli ed isolati coloro che in questo momento vivono la loro condizione di debolezza fuori dai riflettori e lontano dalla politica.
Non dobbiamo "abituarci" ai lavoratori costretti, per far sentire la loro voce, a salire sui tetti o sulle gru. Non possiamo "abituarci" a quei lavoratori o anche piccoli imprenditori che arrivano a togliersi la vita per denunciare la loro solitudine.
Si dirà che ogni tragedia personale è un caso a sé e che oltre al licenziamento o al fallimento dell’impresa c’erano anche disagi personali e familiari. Non c’è dubbio. Ma quanto incide nei problemi quotidiani ed esistenziali di ognuno di noi anche il trovarsi di fronte al fallimento della propria azienda ed alla perdita del proprio posto di lavoro? Quanto incide sentirsi "fuori" dalla società del mercato e della produzione?
La politica non può non interrogarsi anche su questo e tentare di dare alcune risposte. Innanzitutto credo che, per provare a svelenire il clima tra i sindacati, sia indispensabile avviare seriamente un percorso che porti ad una rapida elaborazione di regole condivise in tema di certezza della rappresentanza e di strumenti capaci di garantire l’espressione democratica dei lavoratori. E’ possibile farlo in tempi brevi, anche a partire dalle piattaforme sindacali unitarie del 2008 e dalle proposte di legge depositate in Parlamento.
Il governo dovrebbe smetterla con l’alimentare le divisioni e provvedere a nominare subito un ministro dello sviluppo economico che affronti i dossier aperti e la smetta col dire che in Italia va tutto bene: è il peggior messaggio che si può dare a chi vive in una condizione di disperazione.
All’opposizione spetta il compito di stare nei luoghi del disagio, di affondare le proprie radici nella crisi e di prospettare una possibile via d’uscita dalla crisi. Ed a partire da questo lavorare per una coalizione capace di governare il Paese.
Il declino del potere e dell’ideologia berlusconiana non avverrà senza strappi e senza traumi, ci aspettano mesi complessi nei quali dovremo rimettere al centro la politica e la responsabilità quale argine alla scesa in campo di nuovi -e vecchi- populismi, come successe dopo le vicende di Tangentopoli.
Paolo Nerozzi
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