19.04.2003
Caro Direttore,è con molta apprensione che mi accingo a scrivere queste riflessioni. Provo alluntempo tristezza e speranza. Speranza (e anche gratitudine) per l’impegno che i soldati degli Stati Uniti e dell’Inghilterra stanno profondendo per dare democrazia ad un Paese e ad un popolo afflitti dalla dittatura e dal dispotismo. Tristezza perché non sono bastate le risolute prese di posizione degli alleati per far desistere Saddam dai suoi progetti criminali e terroristici, né sono bastate le molteplici dichiarazioni di Kofi Annan e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Non sono bastate le manifestazioni di piazza a favore della pace che si sono ripetute in tutto il mondo. Sono caduti a vuoto persino i molteplici accorati appelli del Papa per pervenire a una soluzione pacifica di questa crisi internazionale. Niente e nessuno è riuscito a fermare con le buone quella testa matta di Saddam.
Sono addolorato per i morti che già si contano a decine da entrambe le parti. Sono addolorato per i civili iracheni, sui quali continuano a piovere le bombe cosiddette "intelligenti", e per i militari statunitensi e britannici, che si sono dovuti sacrificare portando e ricevendo morte.
Mi chiedo quante guerre saranno ancora necessarie perché i governanti comprendano finalmente che la vera pace si può raggiungere soltanto con gli strumenti della cooperazione e del dialogo. Quanti morti sono ancora necessari perché tutti capiscano che fuori dal contesto dell’ONU esiste solo la legge della giungla, la legge del più temerario? I poteri economico-politici mondiali hanno tutto l’interesse a dettare le loro regole senza interferenza democratica, mentre l’Assemblea Generale dell’ONU è l’unico posto dove i singoli Stati possono e devono far sentire la loro voce.
E’ inutile negare l’evidenza: siamo stati trascinati in un tunnel, da dove non siamo in grado di vedere l’uscita. Il pericolo da evitare ora è quello di innescare un processo irreversibile, una spirale di violenza senza fine in cui agli attacchi terroristici si debba rispondere con la violenza della guerra, e all’occupazione di un Paese si risponda con nuovi attentati terroristici.
In questo contesto, il mio partito ed io continuiamo a sperare che sia possibile finire al più presto la guerra con la cacciata di Saddam. Soprattutto, una volta cessata la voce delle armi, sorveglieremo la situazione per evitare che le solite lobby, nella spartizione della ghiotta "torta" della ricostruzione, antepongano al benessere del popolo iracheno i loro interessi economici.
Ho cercato di immaginare come le future generazioni considereranno gli avvenimenti che noi stiamo vivendo in questi giorni: ciò che per noi adesso è cronaca, tra qualche decennio sarà invece considerata storia. Spero che i nostri nipoti traggano insegnamento dal passato. Gli antichi romani dicevano: "historia magistra vitae", la storia è maestra di vita. Però un’amara postilla aggiungeva: "sed discipulos non habet!", ma non ha discepoli! Mi auguro con tutto il cuore che stavolta gli antichi non abbiano ragione!
Antonio Di Pietro
|