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Elezioni, sussirri e grida.....
4.10.2003

Elezioni, sussurri e grida di Antonio Padellaro
da l'Unità - 4 ottobre 2003

Quanti voti è costato alla Casa delle libertà il blackout di sabato notte? Quanti ne ha riconquistati, lunedì sera, Silvio Berlusconi nel suo proclama a reti unificate sulle pensioni? Quanti ne sono rimasti all’Ulivo? I sondaggisti più accreditati, Swg, Abacus, Datamedia, Mannheimer vivono giornate febbrili. È la classica ossessione da vigilia elettorale di chi, nelle segrete stanze, è chiamato ad architettare astute propagande, avvincenti programmi, strepitose candidature. Tanto più che tra otto mesi la nomenclatura dei partiti potrebbe trovarsi di fronte a un groviglio elettorale senza precedenti. Amministrative. Europee. Forse anche le politiche anticipate. Tutto, del resto, è già diventato elettorale. Le fucilate dei franchi tiratori sulla Gasparri. I soldi della Finanziaria che non ci sono, ma che Tremonti dovrà ugualmente distribuire tra Bossi, Fini e Follini. Le disavventure di Trantino in Telekom Serbia. Le sentenze natalizie della Corte Costituzionale sui processi del presidente del Consiglio.
Sullo scontro prossimo venturo, e sul modo migliore per vincerlo c’è discussione nel centrosinistra. Pochi giorni fa, gli stratreghi dell’Ulivo hanno riunito politologi ed esperti di flussi elettorali. Ne hanno ricavato alcune indicazioni di fondo. Il fallimento del governo Berlusconi avrebbe già sottratto alla Casa delle liberta tra i due e i tre milioni di elettori. Una massa di voti che, tuttavia, non traslocherà sulla sponda opposta, se non in misura trascurabile. Questo perché, spiegano, centrodestra e centrosinistra rappresentano blocchi sociali diversi e culture politiche assai poco permeabili tra loro. Chi, per esempio, ha deciso di non votare più per Forza Italia lo fa deluso dalle mancate promesse di Berlusconi. Non certo perché ha cambiato idea, poniamo, sulle restrizioni agli immigrati o sui soldi pubblici alla scuola privata. Sono soprattutto elettori che nel 2001 erano sicuri che il proprio tenore di vita si sarebbe elevato, e che oggi si ritrovano, invece, più poveri, più frustrati, più soli. Non per questo rinunceranno a radicati pregiudizi sulla sinistra. Spesso ancora più viscerali, se possibile, di quelli abituali sulla bocca del premier. Gente, insomma, che per nessuna ragione al mondo darebbe il proprio voto «ai comunisti». Se così sarà, avremo un forte astensionismo di destra. Se così sarà, l’attuale maggioranza parlamentare diventerà minoranza nel paese ( ma forse lo è già).
Per il centrosinistra, due dirette conseguenze. Snaturare l’opposizione per corteggiare i cosiddetti moderati del centrodestra può, a questo punto, rivelarsi un errore. Si rischia, cioé, di scontentare i vecchi elettori (la sinistra più militante e appassionata) senza acquistarne, in cambio, di nuovi. In un quadro di stabilità per il centrosinistra, l’alleanza con Rifondazione comunista non dovrebbe provocare contraccolpi negativi tra gli elettori dell’Ulivo.
C’è un terzo suggerimento. Poiché la maggioranza si sta squagliando da sola, l’opposizione, dicono gli esperti, più che a dare battaglia deve preoccuparsi di compattare le truppe e di non commettere errori. Ovvero: lista unica. Ovvero: abbassare i toni.
Certo, una strategia attendista ha il vantaggio di essere semplice e poco dispendiosa. A patto però che Berlusconi se ne stia buono e tranquillo a osservare la propria rovina. Non sembra proprio che ne abbia l’intenzione. Nei prossimi mesi l’opposizione deve aspettarsi di tutto e di più. Nuovi Igor Marini pronti a scagliarsi contro i leader dell’Ulivo con falsi dossier avvelenati. Nuovi pacchi bomba, recapitati magari alla vigilia di un corteo sindacale. Tanto per dimostrare che il terrorismo resta un parente stretto della sinistra. Poi c’è l’ordigno televisione. Parliamo dell’uso illegittimo e violento del teleschermo. Manipolare le notizie. Truccare le carte. Gettare fumo negli occhi. Un’arma letale, se posseduta da uno soltanto. Berlusconi ne farà uso totale e plebiscitario. Al comizio a reti unificate dell’altra sera ne seguiranno molti altri, dicono i giornalisti bene introdotti a palazzo Grazioli. Anche la corte del padrone, naturalmente, avrà tutto lo spazio che desidera. Qualche strapuntino, invece, all’opposizione. Se si comporta bene. Tutti gli altri, fuori della porta.
Lo sa bene Massimo Fini, un intellettuale non di sinistra ma con il grave torto di essere un uomo libero. Un capataz Rai gli toglie la sua trasmissione alla vigilia della messa in onda. Gli spiega che qualcuno in Rai, molto in alto (non certo il presidente Annunziata) ha deciso così: no, quel Fini lì non va bene. Pollice verso, come al Colosseo con i gladiatori. A Viale Mazzini, invece, niente leoni, ma pecore belanti. Fini spiega sull’Unità qual è la legge infame di questi tempi orrendi: o chini la testa o ti uccidi a forza di umiliarti. Che i giovani imparino a piegare la testa. A ingoiare tutto. A ubbidire. Colpiscine uno per educarne cento. Non si diceva così una volta?
Il rovescio della medaglia è Carlo Andrea Bollino. Il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale. L’uomo chiamato blackout. Dopo un disastro del genere, chiunque, in qualunque altro paese, si sarebbe già dimesso. Il professor Bollino invece si pavoneggia in tutti i tg. Sprizza energia. Impartisce lezioni. Corregge. Bacchetta. Non per niente è amico del ministro Marzano. Se continua così, alla prossima catastrofe lo faranno presidente dell’Enel. Questa è la loro Italia capovolta. Si può restare in silenzio a osservare?

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