21.10.2010
IMPRESA SOCIALE – PROSPETTIVA O DERIVA? Dopo il seminario tenutosi a Roma sull'impresa sociale abbiamo sviluppato una serie di riflessioni che vorremmo condividere a livello nazionale. Da tempo, su questi temi esiste un confronto tra le cooperative sociali di inserimento lavorativo del Friuli Venezia Giulia. Riteniamo di un certo rilievo gli argomenti ed i quesiti trattati all’interno di questo dibattito. Nelle varie discussioni e a cui abbiamo partecipato o , fino ad oggi, sul tema della legge sull'impresa sociale abbiamo assistito ad un grande scambio di opinioni sui temi, le modalità , le prospettive sulla gestione dei servizi alle persone. L'impressione è che l'oggetto reale del ragionamento sia il rapporto riforma/contro-riforma del modello di impresa del soggetto gestore dei servizi socio-sanitari-educativi. Di fatto un tentativo di ampliare gli strumenti già previsti dalla legge 381/91 attraverso la definizione di nuova soggettività , partendo dal presupposto implicito che il soggetto impresa cooperativa sociale stia diventando obsoleto nello scenario della riforma del welfare. È molto probabile che nel prossimo futuro assisteremo ad un ulteriore scorporo di servizi sanitari-assistenziali-educativi dal sistema a gestione pubblica diretta, anche attraverso la ricerca di nuove modalità di relazione pubblico-privato. Sempre più si andrà verso un'offerta di servizi mista, che diminuirà le distanze tra pubblico e privato nella gestione del welfare o se preferiamo nella coproduzione dei servizi alla persona. È ovvio che l'ampliamento previsto sia determinato anche dalla necessità di acquisire risorse dal privato, per realizzare ciò che il pubblico non può più realizzare solo con le proprie forze. Il mondo della cooperazione sociale rappresenta sicuramente, in questo scenario, una risorsa importante, per la sua presenza capillare nei territori, per i rapporti consolidati con le amministrazioni pubbliche e la cittadinanza sociale attiva, etc.. Sicuramente tutto questo non è sufficiente. Si intravede, nelle pieghe di questa vicenda, la necessità di riarticolare e ridefinire il soggetto privato eleggibile nel futuro rapporto di mix. Detto soggetto dovrà essere in grado di fornire in proprio le risorse economiche e finanziarie e gli strumenti tecnici necessari per promuovere ed attivare in autonomia processi per l'economia sociale, seguendo le linee guida indicate dall'ente pubblico. Dovrà inoltre garantire credibilità non soltanto nelle proprie capacità tecniche ma anche nella solidità patrimoniale e nella stabilità e controllo della governance. Nella condivisione di questo ragionamento, prende corpo la consapevolezza del deficit che ci riguarda. Ed questo ciò su cui vogliamo porre maggiormente l’attenzione. Tutto questo ragionamento ruota intorno ad un unico asse. Quello della gestione di porzioni di welfare, o ,come alcuni sostengono, della gestione di bene comune. Senza alcuna critica a questo livello di processo, nella piena condivisione dell’idea che l'accesso ai servizi per il cittadino è bene comune da tutelare e attualizzare, abbiamo attraversato con leggerezza, la questione della progressiva diminuzione delle risorse pubbliche. In altre parole si è ritenuto che le tecniche di reengineering economico-finanziario e la ridefinizione/ ri-articolazione del soggetto gestore, siano soluzioni adeguate e sufficienti per fronteggiare la riduzione delle risorse nel mantenimento degli attuali standard di servizio offerti ai cittadini, con diritto di accesso per tutti. Purtroppo, in tutto ciò, abbiamo elegantemente glissato sui processi di coinvolgimento e protagonizzazione della cittadinanza attiva e dei fruitori dei servizi, potenziali attori-risorsa della/nella trasformazione. Fino ad oggi i portatori di interessi a cui riconoscere un ruolo prioritario, venivano individuati nelle reti comunitarie/territoriali tra le associazioni di volontariato ed advocacy dei soggetti svantaggiati e dei cittadini, le organizzazioni mutualistiche, gli enti pubblici, le imprese radicate nel territorio, che esprimendo istanze etiche ed interesse, sceglievano di partecipare al progetto cooperazione sociale. L'innovazione proposta, nel tentativo di costruire nuovi strumenti, sembrerebbe indurre alla partecipazione a nuove tipologie di stakehoders, più orientati a dinamiche economiche remunerative, piuttosto che ad una evoluzione/articolazione del mutualismo verso economia sociale comunitaria con la finalità di portare a valore il rapporto tra qualità del prodotto (o servizio) e bene relazionale. Nel citare definizioni quali “economia sociale comunitaria”, non intendiamo collocare questa riflessione nel campo dell'utopia, ma semmai proporre pratiche concrete di ricerca e sperimentazione sensata per attribuire alla comunità ruolo di soggetto attivo e dialogante, nel processo di gestione dei propri bisogni. E ciò non necessariamente attraverso l'esclusione tout court del capitale privato. Il semplice fatto che la legge sull'impresa sociale sia stata calata dall'alto piuttosto che costruita dal basso , nei termini di integrazione o riforma della 381/91, la dice lunga. Nella fase di analisi ed elaborazione del disegno di legge, il legislatore avrebbe potuto coinvolgere/consultare la cooperazione sociale, ma ciò non è avvenuto, generando così un idea dell'impresa sociale che sembra, per alcuni aspetti, avulsa dalla realtà . E noi oggi costruiamo elaborazioni sul tema partendo da una legge già approvata e avulsa. Inoltre il dibattito tardivo (5 anni???) sul rapporto cooperative sociali / Impresa sociale sembra tutto orientato sulla gestione dei servizi, quindi argomenti per le cooperative sociali di tipo A. E la cooperazione sociale di tipo B dov'è finita? O meglio dove finirà ? Per il momento sembra inerme ed esclusa dal dibattito. Non tanto che qualcuno abbia posto il veto alle cooperative B di partecipare, ma l'oggetto del dibattito ha semmai attratto prioritariamente l'attenzione delle cooperative sociali di tipo A. La crisi che il comparto B sta attraversando ha prodotto sicuramente smarrimento e forse anche un po' di miopia, schiacciando le cooperative B in una progettualità con scarse prospettive tra “resistenza passiva e pessimismo generalizzato”. In quest'ultimo periodo abbiamo perso l'occasione di elaborare la crisi in atto per comprendere quali siano le nuove linee guida per la tenuta e l'evoluzione del comparto. La crisi a cui ci riferiamo è oggetto molto concreto e si identifica in: · riduzione dei contratti nel mercato pubblico protetto (gare riservate e convezioni dirette) · aumento della difficoltà di mantenere un livello di concorrenzialità nel settore privato (verso clienti privati o negli appalti pubblici aperti) · aumento dell'aggressività sul mercato degli appalti delle cooperative multiservizi. La caduta dei ricavi delle cooperative sociali B comporta la riduzione delle opportunità offerte nei territori a favore delle fasce vulnerabili. Dette opportunità permettevano l'attivazione di progetti abilitativi per cittadini svantaggiati finalizzati all'assunzione di autonomia. In questo modo vengono attivati e sostenuti i processi di uscita (anche parziale) di gruppi di persone dalle situazioni generate da risposte assistenziali passivizzanti totalmente a carico dei bilanci pubblici e delle famiglie. Quanto sta accadendo, non può essere oggetto di semplificazione. Risulta piuttosto necessaria una analisi, per comprenderne le cause e gli effetti nel breve medio periodo. Dobbiamo anche aprire una riflessione articolata sulla trasformazione del soggetto organizzazione mutualistica cooperativa sociale B nella crisi epocale che stiamo attraversando. Ad oggi esistono segnali precisi che: · crescita economica · aumento dei consumi · società della massima occupazione · welfare state siano “categorie” che hanno disegnato e strutturato quel modello economico/sociale nel quale si è sviluppata la cooperazione sociale B, ma che oggi sono fortemente in crisi. Il lavoro vivo sta diminuendo con una progressione inarrestabile e l'economia della gestione dei servizi, pur non potendo sopperire al calo della produzione, funge da area pseudo-ammortizzatore dell'occupazione senza controlli, con le conseguenze di un aumento della concorrenza e diminuzione della contrattualità (delle imprese e dei lavoratori). Il nostro approccio deve evidenziare le criticità su tutti i livelli per un'analisi oggettiva della fase attuale, al fine di individuare e definire nuovi modelli economici di economia sostenibile, capaci di mixare proventi del mercato tradizionale con quelli che sono o saranno, i supporti pubblici (defiscalizzazioni, decontribuzioni, start-up, una tantum, voucher, budget di salute, etc..). Dobbiamo modificare la nostra metodologia di lavoro, spesso eccessivamente statica, per collocarci nell'ambito della progettualità sociale/dinamica dal basso per uscire da quel vicolo cieco dell'imprenditorialità sociale del presente assoluto. Per fare un esempio concreto in questi giorni con alcuni colleghi si dialogava rispetto al project financing per la costruzione di un nuovo carcere. Ci chiedevamo e discutevamo se avesse senso, e se fosse opportuno che, in qualche forma, la cooperazione sociale partecipasse alle cordate imprenditoriali in concorso. Ovviamente, come possiamo immaginare, di fronte a tale quesito hanno preso forma due correnti di pensiero oltranziste, di segno opposto. Certo che si : - solo se partecipiamo possiamo esserci e continuare a fare intervento sociale Certo che no : - la gestione del sistema carcerario è fuori da territorio sociale è spetta agli apparati repressivi dello stato, noi non possiamo commistionarci. La via di mezzo sembra non esistere. Rompere gli schemi sembra impresa impossibile. Forse è questa, invece, l'impresa sociale che stiamo provando a delineare . Che in qualche modo proponga in questa dinamica, un piano di evasione dagli schemi reclusivi. Possibile che in un proiect financing per un carcere non possiamo proporre degli investimenti per strutture e azioni oltre il carcere, finalizzate ad offrire opportunità (casa, lavoro, attività ,...) affinché la fruizione delle misure alternative possa essere estesa a molti più carcerati. Ma in questo modo non si tenta di costruire accesso al diritto di cittadinanza diminuendo la spesa pubblica? Questo modus operandi con tutte le sue mediazioni e contraddizioni è un generatore di ricchezza e trasformazioni e colloca l'impresa sociale nel tessuto comunitario in cui le stesse organizzazioni autogestite dovrebbero essere considerate bene comune. Nel dibattito su l'impresa sociale sarebbe interessante aggregare alle buone di pratiche di gestione dei servizi le pratiche di integrazione sociale. Con questo non intendiamo assolutamente escludere, anzi, la dialettica sostenibile con le normali imprese “for profit”, al fine generare nuove propulsioni di una vera economia sociale di mix. Crediamo che queste argomentazioni dovrebbero aprirsi a un dibattito serrato, intenso ed urgente, tra le cooperative di tipo B e, quanto prima, promuovere un confronto costruttivo con le cooperative di tipo A. Stefano Mantovani - Cooperativa Sociale Noncello - Pordenone Sergio Della Valle – Cooperativa sociale L'Agorà - Pordenone Michela Vogrig – Consorzio C.O.S.M. - Udine
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