4.10.2003
Rilancio del nucleare? Ma quando? di Gianni Mattioli e Massimo Scalia Nonostante qualche ricorrente annuncio – Bush rilancia il nucleare – negli USA l’ultima ordinazione di nuovo impianto risale al 1978 e anche negli ultimi tempi nulla è successo che modifichi lo sconsolato giudizio che si poteva leggere l’anno scorso nel rapporto reperibile al sito dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica: ”L’entrata in linea di sei nuovi reattori nel 2000 rappresenta solo il 3% circa della capacità aggiuntiva globale di produzione di elettricità nel 2000. Le proiezioni mostrano che questo andamento è atteso anche per il prossimo futuro, nel qual caso la quota di energia elettronucleare prodotta andrebbe in declino nel prossimo decennio”. Quale è la situazione? Attualmente sono in funzione nel mondo 438 reattori per 351 GW di potenza che forniscono circa il 16% della produzione di energia elettrica. Sono in costruzione una trentina di nuovi reattori in Cina, in alcuni paesi del Sud America e dell’Europa orientale, in Iran, in India e in Giappone. Tutt’altra la situazione negli Stati Uniti, in cui, come si è detto, dal 1978 non è stato ordinato più alcun nuovo impianto, e in Europa. Dopo la Svezia, sono uscite dal nucleare la Spagna, l’Austria e l’Italia, mentre nel ’98 la Germania ed in questi giorni il Belgio hanno programmato lo stop al nucleare ed il governo Blair blocca la costruzione di nuovi impianti. In Francia - dove da anni, tramontate le esigenze della “force de frappe”, ormai non si costruiscono più nuovi reattori - non si rinnovano gli impianti per il ciclo del combustibile ed è stata chiusa la filiera dei reattori veloci. In questo scenario, appaiono velleitari i proclami per il rilancio del nucleare della commissaria UE all’energia Loyola de Palacio, che neppure nel suo paese riesce a rimuovere lo stallo del nucleare, mentre la vicenda dell’11 settembre ha messo in maggiore evidenza l’enorme rischio che può concentrarsi sui reattori come obiettivi per il terrorismo. Ma ben prima era emersa – da tempo negli Stati Uniti e successivamente in Europa con l’accelerazione delle politiche di liberalizzazione – la scarsa appettibilità di investimenti poco flessibili e a rendimento molto differito. Il nucleare – sostengono molti osservatori – esige un’organizzazione molto centralizzata, un controllo tecnologico e sociale rigoroso, la possibilità di ripartire sulla collettività i costi aggiuntivi. Così la scelta per il nucleare viene oggi soprattutto da paesi centralizzati e con un forte controllo interno come l’Iran o la Cina, mentre nell’Unione Europea soltanto il governo conservatore finlandese annuncia l’intenzione di por mano ad un nuovo progetto. In realtà varie circostanze si presenterebero oggi a sostegno di un rilancio del nucleare, sia dal punto di vista della necessità di ridurre il rilascio di anidride carbonica, sia per ridurre la dipendenza dei paesi industrializzati dalle importazioni di petrolio e gas, ma questi fatti si scontrano con i problemi tuttora irrisolti per il nucleare. Come è noto, si tratta • del rilascio di microdosi di radioattività nel funzionamento di routine degli impianti; • del grave rischio di contaminazione radioattiva collegato con il problema della sicurezza degli impianti ; • dello smaltimento dei rifiuti radioattivi; • del rischio di proliferazione e di terrorismo (trafugazione di materiali radioattivi, individuazione di impianti nucleari come obiettivi). Questi problemi hanno visto negli ultimi quindici anni progressi tecnologici, così come è migliorata significativamente la gestione stessa degli impianti esistenti, tanto che l’aumento di capacità produttiva è stato equivalente negli Stati Uniti, dal 1998 ad oggi, alla realizzazione di nuovi nove impianti da 1000 MW e tuttavia i problemi citati hanno visto sì progressi, ma non quel salto di qualità decisivo, che cambi l’aspetto qualitativo del rischio e conseguentemente favorisca l’accettabilità del nucleare da parte dell’opinione pubblica. Più in particolare, per iniziativa americana, nove paesi (USA, Canada, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Brasile, Argentina, Sudafrica, Corea del Sud) uniti nel consorzio “Generation IV” indirizzano la ricerca su reattori raffreddati a gas, ad acqua e su reattori “a spettro veloce”, nei quali il raffreddamento a metallo liquido permette, come nell’originaria idea dei reattori veloci, l’impiego dei neutroni veloci per creare nuovo combustibile o per distruggere le scorie a lunga vita. Si tratta di progetti con piccole e grandi innovazioni, interessanti dal punto di vista ingegneristico, che certamente, se sottoposti alla metodologia “Rasmussen” per il calcolo della probabilità di incidente, darebbero un risultato migliore dei reattori attuali, ma non spostano le valutazioni negative che insorgono a fronte dell’incidente grave, tuttora non eliminabile. Ciò spiega perché “Generation IV” valuti in diversi anni il tempo perché da questi progetti si passi alla realizzazione di prototipi, e non preveda, prima del 2030, lo sviluppo industriale dei progetti. Idee interessanti per la sicurezza sono state avanzate, in particolare, da Carlo Rubbia, che propone un intelligente sistema per bloccare immediatamente la reazione a catena, ma risolve solo parzialmente il problema dello smaltimento rapido del calore, che rappresentò il rischio più grave nell’incidente di Three Miles Island. Nel progetto avanzato da Rubbia – su cui attualmente esiste un gruppo di lavoro in sede europea -, interessante è anche la possibilità di ridurre la gravità del problema delle scorie, sia riducendone la quantità , sia trasformando materiali radioattivi a lunga vita in materiali a vita più breve. Si tratta di linee di lavoro su cui è tuttora aperta la valutazione sul grado di efficacia che potranno conseguire. Lo stesso Rubbia ha dichiarato che la soluzione dei problemi della sicurezza nucleare richiede tuttora che “si investa seriamente nella ricerca” e nega “assolutamente” un ruolo privilegiato per il nucleare rispetto all’energia solare e all’idrogeno. Certamente il problema dei rifiuti rappresenta il maggior ostacolo allo sviluppo della energia nucleare e ciò fa dire all’ AIEA che “anche se esistono soluzioni tecnologiche per il trattamento in sicurezza dei rifiuti, permane critica la accettabilità e la fiducia da parte dell’opinione pubblica”, come prova l’opposizione delle popolazioni alla localizzazione di impianti di stoccaggio, dagli USA all’Italia, dove si tratta di mettere in sicurezza appena 26.000 metri cubi di scorie! Anche dal punto di vista della disponibilità di uranio, va osservato che nel caso di uno scenario di alta crescita nucleare con l’attuale tecnologia nella seconda metà del secolo le riserve già potrebbero non essere sufficienti e sarebbe necessario ricorrere a quelle tecnologie (il ciclo del plutonio) oggi messe da parte, come si è detto, dagli stessi francesi che le avevano perseguite con decisione, a causa della complessità dei problemi che esse aprono. In definitiva, quale prospettiva per il nucleare? A breve, medio termine, appare improbabile un reale interesse delle imprese elettromeccaniche – e più in generale degli investitori – dei paesi industrialmente avanzati per investimenti e realizzazioni significative: dalla sistemazione dei rifiuti al rischio del terrorismo, alla complessità finanziaria, troppi sono i fattori che continueranno a mantenere la situazione stagnante, tanto da far sorgere da più parti la preoccupazione per la perdita di competenze nelle discipline legate all’ingegneria nucleare e alla radioprotezione, a causa dell’impressione tra i giovani che l’area nucleare offra prospettive di carriera piuttosto povere. Non saranno le preoccupazioni sul clima o sull’approvvigionamento energetico – sentenzia AIEA - a rilanciare il nucleare, senza la promozione di maggiore innovazione per nuovi tipi di reattori e per il ciclo del combustibile, che garantiscano più sicurezza, eliminino rischi di proliferazione e costino meno. Oggi il ricorso alle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica cresce ad un ritmo assai più rilevante del nucleare: nel 2001 la sola energia eolica è cresciuta di una potenza pari a 6500 MW, contro i 1750 MW nucleari. Per di più, la straordinaria sinergia che si può stabilire tra energia solare ed eolica con l’impiego dell’idrogeno, fa dell’accoppiamento idrogeno-fonti rinnovabili la strada pulita e affidabile su cui procedere: sole e vento possono fornire l’energia per produrre idrogeno a partire dall’acqua in quantità illimitata e ovunque, idrogeno da utilizzare poi per qualsiasi impiego secondo le necessità delle utenze. In nome di quale razionalità , allora, si potrà rilanciare il nucleare?
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