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Terremoto L'Aquila, il lavoro finito in macerie
9.12.2010

Terremoto L'Aquila, il lavoro finito in macerie
Nel solo 2009 la provincia ha perduto 5.700 occupati, di cui 3.000 nella zona del cratere. Aziende del calibro di Selex e Alenia si sono trasferite e la cassa integrazione è schizzata al 473%. Sempre più urgente la deroga al patto di stabilità
di Sara Picardo
Cosa resta dell’Aquila dopo il sisma del 6 aprile del 2009? Macerie di palazzi non ricostruiti e di lavoro. "Se è vero che la ricostruzione della città e dei paesi del cratere non è mai ripartita è altrettanto vero che nulla è stato fatto per far rivivere il territorio dal punto di vista, fondamentale, dell’occupazione. Non c’è da sorprendersi se centinaia di persone hanno cambiato residenza e tante altre lo faranno nel futuro. Se non c’è lavoro, non c’è futuro". A parlare è Umberto Trasatti, segretario generale della Cgil provinciale. Che rincara la dose: "A un anno e 8 mesi dal sisma nulla è cambiato, anzi, se possibile, tutto è peggiorato".
I dati sulle ore di cassa integrazione impiegate all’Aquila sono allarmanti. Se prima del sisma la città e la sua provincia stavano vivendo un periodo di crisi industriale, il terremoto ha rappresentato il colpo di grazia, portando il capoluogo a superare di gran lunga ogni altro territorio in Italia per l’utilizzo dell’ammortizzatore sociale. A dicembre del 2008 le ore di cassa integrazione nella zona del cratere ammontavano a 850.000. Un anno dopo, le ore erano 7 milioni e 250.000, pari a un incremento del 736 per cento. Di queste ore, 3 milioni e 600.000 hanno riguardato il settore del commercio e dei servizi. Nel solo territorio dell’Aquila, una città universitaria e con la prevalente presenza nel centro storico di negozi, i dati del primo semestre del 2010 dicono che siamo già a 4 milioni in quanto a ore di cig utilizzate: un incremento del 473 per cento rispetto al primo semestre 2009, che conteneva già tre mesi di sisma. Ora, passate le 52 settimane stabilite per legge, la cig ordinaria sta diminuendo, mentre sta aumentando quella in deroga e quella straordinaria.
Ma il senso della rassegnazione non prevale: "La ricostruzione va fatta partire subito e deve essere partecipata, dal basso, e deve riguardare sia le case che il lavoro, per dare la speranza alle nuove generazioni e far rivivere il nostro territorio". Per questo, insieme agli altri sindacati e alle associazioni imprenditoriali – caso rarissimo in Italia, la manifestazione del 20 novembre scorso all’Aquila ha visto la partecipazione di Confindustria, con la Cgil e i comitati cittadini –, la Cgil ha avanzato una proposta per una piattaforma unitaria sul lavoro. "Abbiamo fornito dati e avanzato richieste, sia alla Regione che al governo – spiega ancora Trasatti –. Abbiamo suggerito strumenti da mettere in campo per riprendere le attività. È paradossale, nei comuni dell’area dal primo luglio 2010 paghiamo tutte le tasse e dal primo gennaio prossimo dovremo iniziare la restituzione di quelle non pagate nel 2009 e nella prima metà del 2010. Così dal 2011 diventeremo i cittadini più tassati d’Italia". Nel solo 2009 la provincia ha perso 5.700 posti di lavoro, di cui 3.000 nel cratere.
"Secondo l’Inps – prosegue il sindacalista della Cgil –, ad agosto i lavoratori in mobilità sono aumentati del 60 per cento. Quindi: o il governo mette in campo strumenti straordinari e operativi per favorire la ripresa o la città rischia lo spopolamento". La Regione dice che sono "solo" 1.500 i residenti in meno dopo il sisma. Ma la verità è che migliaia di persone che risiedono all’Aquila vivono altrove. Sono stati gli anziani, insieme ai single, i più penalizzati.Vivono ancora nelle caserme e negli alberghi, visto che il piano case ha privilegiato le famiglie. "Non è stato preso in considerazione il reddito – spiega Trasatti –, così i benestanti hanno la casa assegnata e le persone sole no. Anche per il lavoro gli strumenti adottati sono stati parziali e a rischio di far aumentare le discriminazioni, come la cosiddetta zona franca urbana attivata dalla Regione Abruzzo. Sgravi contributivi alle piccole imprese in costruzione, che se attuati creerebbero una concorrenza sleale verso le vecchie piccole attività. Senza contare che queste misure possono avere una loro utilità se concepite come aggiuntive. Da sole non si vede come possano funzionare".
La Cgil ha chiesto al governo di aiutare le aziende preesistenti a ripartire, finanziando i contratti di programma in essere e favorendo una programmazione dal basso dello sviluppo."C’è bisogno di strumenti che ci consentano di continuare a mantenere l’occupazione sul territorio – argomenta il dirigente della Camera del lavoro aquilana –. Abbiamo un contratto di programma con Finmeccanica, ma se basta per alcune, non può certo servire per risollevare realmente le sorti di tutte le realtà produttive. È questo il motivo per cui chiediamo al governo di concedere alle nostre aziende di andare in deroga al patto di stabilità, perché i Comuni non hanno attualmente alcuna capacità di spesa. Ma non solo: chiediamo anche che nei territori colpiti dal terremoto continui l’esenzione fiscale. Altri territori colpiti da catastrofi hanno restituito solo il 40 per cento delle tasse in 20 anni, non si capisce perché noi dovremmo restituire tutto e subito".
Fino a oggi, le risposte che i sindacati hanno ottenuto a questo proposito dal commissario della Regione sono state vaghe e mai esaustive: "Ci dicono che hanno presentato le richieste al governo e che bisogna attendere. Ogni sei mesi è così, aspettano che andiamo lì a chiedere l’elemosina, ma è ora di finirla. Bisogna dare certezza agli interventi, così sarà più facile avviare una ricostruzione vera e far ripartire gli investimenti. Questo tipo di governance commissariale ha evidenziato i suoi limiti, ora dobbiamo dare la gestione agli enti locali attraverso un’apposita legge. Stiamo raccogliendo le firme per una proposta di legge popolare che lo faccia e permetta di ripartire subito con la ricostruzione".
Ma il sindacato non si limita alle iniziative di protesta: "Dopo solo 20 giorni dal sisma – ricorda Trasatti – abbiamo contribuito a far riprendere l’attività a molte fabbriche, grazie all’aiuto dei lavoratori: le prime sono state quelle del settore farmaceutico. Un notevole successo, tanto da indurre Farmindustria a tenere l’anno scorso all’Aquila la sua assemblea nazionale e a sottolineare alla presenza dei rappresentanti del governo che quelle aziende erano ripartite con assenteismo zero, nonostante molti dei dipendenti stessero negli alberghi sulla costa e facessero centinaia di chilometri per andare al lavoro. Per questo non possiamo tollerare che – come è successo lo scorso maggio – venga Gianni Letta a inaugurare in città un call center e ci dica che questo è un evidente segnale della ripresa. Perché la crisi continua a essere ancora molto grave".
Aziende del calibro della Selex e dell’Alenia, dopo il sisma sono andate in altri siti e ora bisogna investire per farle rientrare e ripartire a regime. L’azienda del comparto gommaplastica Vibac e l’Abruzzo Engineering, società impegnata nel settore del cablaggio, in house alla Regione (400 persone complessive in organico), sono la prima in cassa integrazione a zero ore e la seconda in liquidazione. Insomma: per l’Abruzzo servirebbe un intervento condiviso ben più ampio di un call center. Altrimenti, non ci sarà alcuna rinascita.
fonte (www.rassegna.it )

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