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Il riformismo radicale e il dialogo sui contenuti-Paul Ginsborg
20.04.2003
PAUL GINSBORG
da Repubblica - 18 aprile 2003
Michele Salvati ha sostenuto su queste pagine la necessità di un riassetto dell´Ulivo: da una parte una nuova forza moderata, il Partito democratico, dall´altra tutti quelli che credono in un riformismo "radicale". Questo secondo schieramento potrebbe fare appello a un arcipelago abbastanza esteso: una parte consistente della base dei Ds, i comunisti italiani, i verdi, quei rifondatori che si mostrano insofferenti della pregiudiziale antigovernativa di Bertinotti, frange cattoliche e ambientaliste della Margherita, e soprattutto gran parte dei giovani e meno giovani che hanno animato i movimenti e le manifestazioni dell´ultimo anno.
Non so quanto possa risultare facile mettere insieme tutte queste forze, come dubito che sia praticabile la nascita del Partito democratico auspicato da Salvati. Ma la domanda che pongo qui è un altra, preliminare ma ugualmente cruciale: esiste un riformismo radicale e in che cosa consiste? Tutti parlano di programma, quando in realtà la discussione sui contenuti è limitata e spesso sbagliata nei modi, grandi kermesse troppo vuote di autentico dibattito e proposte concrete. Personalmente sono convinto che esista un nuovo riformismo radicale in via di formazione, ma che esso non costituisca un corpus di pensiero ermeticamente chiuso, impermeabile a quel riformismo moderato in cui Salvati si identifica. Credo anzi che uno degli errori commessi in questi mesi da parte dei dirigenti dei partiti, sia stato cercare di etichettare subito tutti e tutto, spesso ricorrendo a schemi vetusti, stereotipi e insulti. L´identità individuale moderna, al contrario, è multipla. Un individuo può benissimo essere moderato per estrazione familiare e posizione economica, ma esprimere un orientamento radicale quando si tratta di pace o di povertà nel mondo, della difesa della scuola e della sanità pubblica. In questa stagione terribile e drammatica, le opinioni politiche non sono fisse ma fluide, potenzialmente molto ricettive a proposte che risultino convincenti.
Una parte dei movimenti italiani attuali ha cercato di affiancare a forme di difesa della democrazia, quali la salvaguardia del pluralismo dell´informazione e dell´indipendenza della magistratura, un progetto di rinnovamento della democrazia stessa. Il nostro punto di partenza è che a livello globale fra il Nord e Sud, tra ricchi e poveri, tra chi ha il potere e chi non lo ha, le cose semplicemente non possono andare avanti così. L´odio che questi rapporti ingenerano rischia di distruggere il mondo. Basta la visione di un film come quello di Michael Winterbottom Cose di questo mondo, in questi giorni sugli schermi, l´odissea di due ragazzi che partono da Peshawar in Pakistan per emigrare a Londra (uno di loro muore nel viaggio), per essere pervasi da un profondo senso di vergogna e di rabbia. È da questi squilibri (per usare un eufemismo) fra Nord e Sud, risultato di una lunghissima storia di sfruttamento, dominio e abbandono che dobbiamo partire, facendone il perno di tutte le nostre azioni.
Queste ultime possono assumere varie forme: riservare alla cooperazione allo sviluppo una percentuale molto più elevata del Pil in una nuova versione della cooperazione stessa, basata su forme di partnerariato stabile e diffuso, che coinvolgano potere politico, organizzazioni non governative e società civile in programmi di sviluppo sostenibile (sociale, economico, ambientale). E ancora, insistere sul rafforzamento e la riforma democratica delle Nazioni Unite, non limitandosi all´accettazione del loro status attuale, esprimere una denuncia ferma e pacata del nuovo imperialismo americano, senza abbandonarsi ad un antiamericanismo viscerale. Bisogna trovare il coraggio di portare l´Italia fra le avanguardie delle nazioni europee su questi temi. Bisogna anche avere il coraggio di confrontarsi con franchezza con la gente sul tema dell´emergenza mondiale, di fare appello al lato migliore delle persone, e non semplicemente alla loro convenienza economica. E se qualche professionista della politica liquida con sufficienza una proposta simile, significa che ha capito ben poco della fase storica attuale.
Un altro fondamento del riformismo radicale, questa volta in chiave più domestica è la necessità di reinventare il pubblico piuttosto che abbandonarlo. In tutta l´Europa il neoliberismo ha avuto gioco facile nello smantellare tranche consistenti del settore pubblico e dei servizi pubblici. Il vecchio pubblico era lassista ed inefficiente, autoreferenziale e corporativo. In Italia, ma anche in India e molte altre parti del mondo, era (ed è) clientelare e spesso corrotto, con una scarsissima cultura di servizio agli utenti. Il nuovo pubblico passa attraverso l´introduzione di un ethos diverso, la preparazione non solo tecnica ma morale del personale, la fine del «posto» nel pubblico impiego visto come una sorta di proprietà privata, l´offerta di un servizio di qualità, sanitario, amministrativo, televisivo a tutti i cittadini. Passa anche attraverso la celebrazione e la difesa dei luoghi pubblici come indicatori del grado di civilizzazione di una nazione. Era Galbraith a sostenere, nel lontano 1958, che dove c´era squallore pubblico e opulenza privata non c´era civiltà.
A questi due elementi di base che trattano di contenuti - la ricollocazione dell´Italia nei rapporti fra Nord e Sud del mondo, e la reinvenzione del concetto e della realtà delle cose pubbliche - è necessario aggiungerne altri due, che trattano di metodo. Bisogna prima di tutto distinguere tra il riformismo passivo e quello attivo. Il riformismo passivo considera i cittadini entità atomizzate, incapaci di contribuire a un processo riformatore, pronti ad accogliere con gratitudine i provvedimenti che arrivano dall´alto. La funzione del governo diventa principalmente tecnica.
Il riformismo attivo, al contrario, prevede che cittadini e associazioni si facciano carico, ove possibile, del processo riformatore. Parte da una visione della cittadinanza, e di conseguenza della democrazia, in costante movimento, in cui le persone crescono attraverso il loro contributo alla res pubblica, che a sua volta cresce di conseguenza. Era Riccardo Lombardi a parlare della necessaria autoalimentazione delle riforme. Le decine e decine di esperimenti di democrazia partecipata o deliberativa in atto in tutta Europa, soprattutto a livello locale, testimoniano della validità e potenzialità di questa visione. Naturalmente, tutto questo senza alcuna costrizione e nel più grande rispetto dei bisogni e delle possibilità dei singoli individui.
Il secondo punto di metodo riguarda i modi di fare politica nell´Italia di oggi, e la necessità di cambiarli radicalmente. Dall´esterno, la politica viene percepita quasi esclusivamente come carriera e potere. I nostri rappresentanti non sono visti come persone che veramente ci rappresentano, ma come persone che una volta elette spariscono dentro i palazzi e lungo i corridoi del potere. Invece incontrarci regolarmente, e magari spegnere i cellulari durante gli incontri, non guasterebbe. La partecipazione dei cittadini non dovrebbe sostituire la delega, perché il risultato sarebbe una democrazia assembleare monca. Ma la delega dovrebbe poggiare su basi e riferimenti ben più solidi, primo fra tutti l´impellente necessità di inventare forme partecipate e di massa per scegliere candidati al livello locale. Non basta. Bisogna cambiare anche quelli che Claus Offe ha definito i microprocessi della democrazia. I ritmi e i rituali della politica ufficiale sono intollerabili - riunioni che cominciano in ritardo, con tempi lunghissimi e disordinati, leader e leaderini che si parlano addosso per un tempo interminabile, ovunque un narcisismo incontrollato, ovunque tanti uomini e poche donne. Bisogna ripensare tutta questa sfera - i rapporti di genere al suo interno in primo luogo. Questa sì sarebbe una riforma radicale di vero peso culturale nella storia politica della nazione.
La mia lista è assai incompleta, ma intende costituire almeno un inizio, un´idea di come sia possibile rinnovare la nostra democrazia. Reputo più utile parlare di queste cose che esclusivamente di personalità e di schieramenti. E non mi sembrano argomenti tanto bislacchi da non poter essere discussi e elaborati insieme a tutti coloro che si oppongono all´attuale governo.
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