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Primo Emendamento (di Paola Carini)
7.10.2003

7 Settembre 2002. Ad un anno di distanza dalla tragedia del World Trade Center di New York, un totem alto più di tre metri e mezzo creato da Jewell Praying Wolf James e da altri intagliatori della nazione lummi, nello stato di Washington, giunge nel parco forestale di Sterling, a nord della città di New York. Dopo avere attraversato il continente e aver fatto tappa presso 25 tribù per ricevere la benedizione degli anziani la scultura lignea verticale, dipinta come da tradizione di rosso, giallo, nero e bianco, viene collocata nella foresta. In cima è raffigurata un’aquila e sotto un orso femmina, a simboleggiare gli uomini e le donne periti durante l’attacco, mentre un piccolo di orso, posto in fondo, rappresenta la speranza che una ferita così profonda possa, col tempo, guarire.

Nell’agosto del 2003, la stessa squadra di intagliatori lummi finisce un altro totem, alto circa quattro metri e venti, creato per onorare la memoria dei passeggeri e dell’equipaggio del volo 93 della United Airlines, dirottato dai terroristi e schiantatosi presso la cittadina di Shanksville, in Pennsylvania. Anche questo totem attraversa il continente percorrendo più di 3000 miglia dalla riserva lummi fino Shanksville, fermandosi in dieci diverse città, dove è accolto da canti e preghiere di veterani di guerra. Diversamente dalla prima, questa seconda scultura rappresenta un orso che abbraccia un essere umano e vuole essere un tributo al coraggio di coloro che tentarono di fermare i dirottatori.

I lummi appartengono a quell’area culturale che gli antropologi chiamano northwest coast (costa nordoccidentale) che corre lungo il Pacifico partendo dalla zona sudorientale dell’Alaska e dalla zona occidentale della Columbia britannica fino allo stato di Washington e all’Oregon. Specificamente, i lummi vengono inclusi nel raggruppamento denominato coast salish insieme ad altri trentasei gruppi tribali della Columbia britannica, della zona sudorientale dell’isola di Vancouver e della parte occidentale dello stato di Washington, dove salish indica la famiglia linguistica che li accomuna.

Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, i totem non erano oggetto di venerazione religiosa; generalmente venivano eretti per commemorare eventi storici o mitologici rilevanti per la famiglia o per il clan, oppure per raffigurare gli animali connessi a quel clan da un punto di vista araldico. Essi sono una tra le più alte espressioni della ricca arte figurativa nativo americana dell’area pacifica, ma nell’ottocento vennero abbattuti o abbandonati per ordine di preti e missionari che li credevano oggetti di culto pagani. Per i lummi, i totem intagliati dopo l’11 settembre sono espressione della tradizionale condivisione del dolore, secondo cui una persona o una famiglia non ne può portare il peso da sola. Quei totem sono il simbolo delle forze spirituali che la nazione lummi ha voluto indirizzare verso la nazione americana a seguito di un evento che ha sconvolto l’intero paese. Per i lummi non sono i totem ad essere sacri, ma i luoghi che hanno visto la tragedia compiersi.

Nel 1999 la nazione lummi assistette alla profanazione di Semiahmah, un antico luogo di sepoltura a nord della riserva distrutto per far posto ad un depuratore di effluenti. Ora la contea intende costruire nuovi ponteggi per l’attracco dei traghetti sull’isola di San Juan, altro tradizionale luogo di sepoltura, di pesca e di caccia non solo per i lummi ma per altri gruppi circostanti come i samish e i sooke. Ugualmente minacciata è Orcas Island, letteralmente l’isola delle orche, ricca di manufatti di notevole interesse. Ciò che i lummi chiedono è che la contea interpelli la tribù affinché i progetti non devastino aree sacre, in modo da evitare ulteriori scontri e profanazioni. Ad oggi, le tribù non possono appigliarsi ad una legislazione sufficientemente potente per difendere i propri territori sacri.

Ma cosa qualifica come sacro un territorio per i nativo americani? Non c’è una risposta univoca per tutte le tribù, ma spesso entrano in gioco conformazioni geologiche particolarmente rilevanti nelle pratiche spirituali o nelle credenze cosmogoniche delle popolazioni della zona, laghi, fiumi, eventuali luoghi di sepoltura o di preghiera usati da generazioni. Nel 1978 la legge americana ha tentato di darne una definizione giuridica con l’American Indian Religious Freedom Act, che però non è stato in grado di difendere numerosi luoghi sacri messi sotto assedio nel corso degli anni da dighe, miniere a cielo aperto, deforestazione (recentemente coperta dall’alibi di una efficace prevenzione anticendio, come lo stesso Presidente Bush ha dichiarato) e vari sfruttamenti di natura estrattiva.

Il rappresentante al Congresso dello stato del West Virginia, il democratico Nick Rahall, ha recentemente presentato un disegno di legge, il Native American Sacred Lands Protection Act, che stabilisce che ogni agenzia governativa consideri la storia orale nativo americana riguardo ad uno specifico territorio come evidenza scientifica della sua eventuale qualità sacra; inoltre esso impone la consultazione delle tribù prima della messa in atto di qualsiasi progetto che possa alterare l’importanza culturale o religiosa del luogo.

Ed è grazie a un’altra legge di Rahall che si è potuta salvare la Valley of the Chiefs, nel Montana, dalle perforazioni petrolifere. Sostanzialmente, con The Valley of the Chiefs Native American Sacred Site Preservation Act, si è riusciti ad impedire al Ministero degli Interni di rilasciare permessi e stipulare contratti con le compagnie interessate al petrolio di quella zona.

Al momento sembra difficile che questo nuovo disegno di legge di Rahall abbia vita facile al Congresso, a causa della dura opposizione dei repubblicani. Se passasse, le compagnie minerarie che operano in California, quelle petrolifere che perforano in Alaska e le imprese edilizie interessate alle costruzione di infrastrutture nelle Black Hills, per citare alcuni esempi, molto probabilmente non potrebbero più sfruttare quelle aree. Il contraccolpo economico sarebbe imponente, almeno quanto lo è la pressione (il cosiddetto lobbying) di queste compagnie sui politici al Congresso e sullo stesso Presidente.

Ma quante sono le aree sacre a rischio, oggi, a 25 anni di distanza da quella prima legge che avrebbe dovuto garantire il diritto sostanziale alla libertà religiosa anche per i nativo americani?

Due dozzine. Senza contare quelle già perdute come il monte Graham, in Arizona, monte sacro per gli apache ora sede di un osservatorio internazionale alla cui costruzione hanno partecipato anche l’italiano Osservatorio di Arcetri e la Specola Vaticana.

Il Zuni Salt Lake, letteralmente il lago salato degli zuni, nel New Mexico, è usato per scopi religiosi quando durante l’estate si prosciuga e i leader spirituali ne vanno a raccogliere il sale per le loro cerimonie. Oggi è minacciato dagli scavi di una miniera di carbone a cielo aperto che si vuole aprire a nord del lago, usando la falda che lo alimenta per i processi estrattivi e danneggiando di conseguenza il lago stesso.

Nell’angolo nordorientale delle Black Hills, la catena montuosa più antica del nord America e luogo sacro per molte tribù delle pianure, c’è un piccolo rilievo chiamato Bear Butte, da centinaia di anni luogo di preghiera per arapaho, cheyenne, lakota e altre nazioni provenienti dal vicino Canada. Oggi c’è chi vorrebbe le Black Hills attraversate da strade e viadotti.

Ci sono i luoghi sacri dei lummi che, trovandosi all’interno di un’antica foresta nel Parco Nazionale di Snoqualmie non sono direttamente minacciati, ma il cui accesso e fruizione a fini religiosi è diventato quasi impossibile.

E poi i luoghi di pesca al salmone della nazione yurok lungo il fiume Klamath; le Badlands, Medicine Wheel, e il Missouri River nelle Grandi Pianure; il Medicine Lake della nazione pitt river, in California; il monte Boboquivari della nazione tohono o’Odham in Arizona. E molti, molti altri siti in pericolo.

In tanti si domandano se in quelle terre sacre arriverà prima una legislazione come quella di Rahall, un atto dovuto dopo la prolungata negazione del diritto ad esprimere il proprio credo ai nativo americani, oppure gli interessi corporativistici.

Altri dimenticano, più o meno opportunisticamente, che il Primo Emendamento della Costituzione americana garantisce la libertà di espressione, la libertà di stampa e anche la libertà di religione in quanto diritti fondamentali dell’individuo. Di ogni individuo. Nella democratica America.

Paola Carini

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