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Libertà di criticare
14.10.2003
Che succede in un Paese democratico, se le critiche e gli attacchi al governo da parte dell'opposizione vengono intese e denunciati dal governo e dai suoi giornalisti e portavoce come pura propaganda di odio e addirittura come preparazione di violenze, terrorismo, assassinii politici, di cui il governo stesso, la sua maggioranza e i suoi portaborse potrebbero essere vittime? Che succede, se in Italia ogni critica al governo della destra attuale viene da questa destra denunciata come preparazione di attentati, collegamenti col terrorismo, incitamenti all'odio omicida, facendo gli esempi dei tragici casi di D'Antona e Biagi?
Ebbene, succede questo: è partito un chiaro segnale che la libertà politica e civile è in grave pericolo, per il semplice fatto che fare l'opposizione diventa non solo difficile ma pericoloso, poiché ogni parola, ogni critica, ogni attacco politico o personale può essere indicato all'opinione pubblica che s'informa sui mass media, tutti o quasi in mano al governo e ai suoi imprenditori, quale un incitamento alla violenza. La conseguenza di una simile pratica è che per l'opposizione, i suoi uomini e i suoi giornali può diventare prudente, o addirittura saggio, tacere il più possibile e tutt'al più parlare blandamente e genericamente, per evitare d'essere linciati al primo grave episodio di violenza.
Ebbene, oggi in Italia questo appunto sta succedendo: vedi l'Unità di questi giorni e gli spaventosi attacchi diretti a essa e al suo direttore, in chiave minatoria e ricattatoria, da esponenti dell'alto establishment di Forza Italia, tra i quali, in prima fila, vale la pena di notarlo, alcuni ex comunisti, cioè, per usare il loro linguaggio, semplificatorio ma efficace, ex stalinisti. Ma perché poi ex?
In realtà, proprio questi erano i metodi della peggiore pratica comunista e stalinista: le vittime erano violentemente accusate d'aver favorito, con la propaganda più maligna, un clima terroristico, o addirittura d'aver tramato attentati.
Singolare è che questi ex stalinisti, così evidentemente coerenti con il loro passato, sotto specie di reagire a inauditi attacchi mettono in guardia, che non diventi bolscevica promotrice di omicidi, proprio l'Unità, un giornale d'opposizione diretto da un giornalista che è un vero liberaldemocratico, formato alla scuola del "Mondo" di Mario Pannunzio e della "Stampa": si indignano, accorati, che Furio Colombo indulga a campagne d'odio e di promozione della violenza: si direbbe che parlino guardandosi allo specchio.
A ogni modo, pare curioso che il vertice intellettual-propagandistico, diciamo così goebbelsiano, di Forza Italia sia costituito quasi per intero da personaggi ex comunisti (del Pci) ed ex socialisti della sinistra che si disse lombardiana (mi chiedo talvolta che cosa penserebbero oggi Riccardo Lombardi e Ugo La Malfa di certi loro allievi e seguaci, come giudicherebbero le loro nuove compagnie e lo zelo con cui le servono): ma curioso, in fondo, non è, poiché la parabola del rivoluzionario di sinistra che diventa reazionario di destra è ben nota e antica, la storia europea, dalle rivoluzioni di Francia in poi, ne ha fatto abbondante esperimento.
D'altronde, è anche vero che la polemica contro la destra assume, talvolta, toni un po' troppo apocalittici; forse, una dose maggiore di disprezzo potrebbe temperarne i toni. Ma anche in questo si manifesta l'astuzia (goebbelsiana, appunto) di quei propagandisti di destra: la tenacia e pertinacia della loro denigrazione di tutto ciò che non sia bolso neo conservatorismo pseudoliberale finisce, a lungo andare, con il renderli francamente odiosi (anche quando sarebbero, in effetti, soltanto ridicoli e spregevoli), traendo così nella trappola d'una verbale faziosità le persone più miti e i critici più disposti, per natura e cultura, a ragionare.
Essendo, quei propagandisti di destra, i più forti e i più ricchi di risorse nel campo della comunicazione di massa e d'élite, può esser facile, per loro, sembrar poi d'avere l'ultima parola.
Ma questi sono, brevemente tratteggiati, soltanto gli aspetti esteriori di un'odierna infelice situazione di degradazione politica. L'effetto concreto, cui si deve badare con attenzione, è quello cui si accennava all'inizio, il clima di timore che si sta creando, il restringersi degli spazi di libertà di critica e di parola, già praticamente ristretti dall'espropriazione quasi completa dei mezzi di comunicazione da parte della maggioranza di destra e del suo gruppo dominante, la lobby berlusconiana. Diventa pericoloso criticare aspramente la maggioranza (un esercizio ovvio in qualsiasi democrazia liberale) e per di più le critiche rischiano di restare chiuse nel silenzio dei media. Un vero progresso del liberalismo, non c'è che dire.
Ma qui, forse, una spiegazione dei comportamenti di quei propagandisti berlusconiani, c'è: costretti dalle circostanze a professarsi liberali, nessuno, o quasi, tra di loro è mai stato liberale, e del liberalismo vero non sa nulla, e per la lotta politica democratica ha il tipico odio di chi crede che il liberalismo consista essenzialmente in qualche varietà aggiornata di maccartismo.
Alexis de Tocqueville, il grande storico cui è capitata la disgrazia di esser citato continuamente e a sproposito da reazionari vestiti da liberali, scrisse del popolo francese prerivoluzionario: "essi non amavano la libertà, odiavano il padrone". Ebbene, alla doverosa ricerca di qualche attenuante morale per nostri preoccupati pensatori berlusconiani, si potrebbe forse dire di loro, rovesciando quella splendida frase: "essi non odiano la libertà, amano il padrone".

di Giovanni Ferrara

da http://www.libertaegiustizia.it/oggi/oggi01.htm

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