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Il totalitarismo di oggi non ha lo stesso volto di ieri
17.10.2003

BOLOGNA Un’altra ricorrenza storica, la deportazione degli ebrei del ghetto romano; un’altra occasione per riflettere sugli intrecci che sempre più spesso legano storia e politica. Con un’attenzione particolare a chi, come il presidente del Consiglio, più di una volta ha dato di alcuni avvenimenti storici una lettura che è arrivata a stravolgerli. Il professor Paolo Prodi - docente di storia moderna all’università di Bologna, da due anni a capo della Giunta centrale degli studi storici - lancia un grido di allarme: il rischio della perdita di memoria comporta quello di un appiattimento sul presente, con conseguenze pericolose per la democrazia.

Berlusconi ha inaugurato un rapporto a dir poco disinvolto con la storia: dal Mussolini che non ha mai ucciso nessuno, al più recente paragone con De Gasperi. Dice di rappresentare l’opinione della maggioranza degli italiani, è così anche in questo caso?

Il rischio c’è. Ho sempre detto che Berlusconi le elezioni le ha vinte sul piano antropologico prima che politico, perché non hanno fatto che verificare un mutamento dell’opinione pubblica: che comprende anche una visione appiattita sul presente, pericolosa per tutta la democrazia. Ma come storico vorrei chiarire una cosa. Molto spesso noi "artigiani" della storia tendiamo a presentarla come memoria del passato. Ovviamente c’è una parte di vero in tutto questo, ma la memoria da sola non basta: perché quello che la storia fa, è insegnarci a capire che le cose in passato sono state diverse da quelle che sono e che in futuro saranno ancora diverse. Purtroppo anche nel nostro modo di vedere la II guerra mondiale, la Resistenza, c’è stato non il difetto di ideologizzazione, come spesso si dice, ma quello di avere accentuato l’aspetto della memoria, quindi di avere "monumentalizzato" la storia. Rischiando di farle perdere la presa sui giovani.

Ma non è appunto la memoria che può avvicinare i giovani a certi temi?

La memoria ci deve mostrare il mutamento nella realtà storica, guai se si fissa in fotografia, come diceva Marc Bloch, la memoria è casomai un film di cui possediamo nella realtà attuale gli ultimi fotogrammi. La memoria cioè è lo strumento per capire la "dinamica" della storia. E allora guai se guardiamo ai totalitarismi del secolo scorso come a un fatto attuale: questo ci impedisce di cogliere nuovi tipi di degenerazione della democrazia, che magari sono più pericolosi dei vecchi totalitarismi ma che non hanno niente a che fare con loro.

Si riferisce a chi parla di "regime" per il governo Berlusconi?

Chi vede le "facce" del fascismo in queste degenerazioni attuali della democrazia forse commette un errore e induce in errore, cioè non mostra le vere nuove minacce della democrazia. Questo non vuol dire che non bisogna studiare i totalitarismi, ma che bisogna farlo come un fenomeno che è avvenuto in una determinata epoca e che può assumere in futuro aspetti completamente diversi. Oggi ci sono mezzi di persuasione occulta che non esistevano al tempo del fascismo, sono ben altri gli strumenti per influenzare le coscienze.

In particolare le dichiarazioni su Mussolini sono frutto di ingenuità o si rifanno in qualche modo a un filone storico revisionista?

Un filone preciso no. Piuttosto c’è una cultura - e mi rifaccio alla vittoria "antropologica", di cui dicevo prima - il rischio non è tanto quello di un revisionismo, quanto il venir meno di una frontiera tra storia e fiction. Questo spiega anche la forza di questo persuasore occulto: nel senso che basta fare un’affermazione perché questa riceva un contenuto non di verità, ma di verosimiglianza, e ciò ottunde molto la capacità di critica. Insomma la cosa più grave è la mancanza di scientificità, basta dire una cosa perché sia creduta.

C’è questa sorta di "confusione" tra dati storici e affermazioni fatte per "convenienze del presente", da parte di Berlusconi. Tutte casualità, o intravede un progetto complessivo?

In apparenza c’è una contraddizione tra un andamento "confuso", diciamo così, di questo governo e delle finalità che vuol conseguire. Prendiamo l’università e la ricerca: abbiamo da un lato il giudizio che la memoria sia qualcosa di ingombrante, e che non valga la pena di spender soldi per gli storici, per gli archivi. Ma a una lettura più attenta si vede che la perdita della memoria è fondamentale per moltiplicare l’effetto dell’appiattimento sul presente. Farei quasi un’equazione: meno memoria c’è, meno si ha capacità critica, credendo che ciò che c’è ora ci sia da sempre. La trasformazione del cittadino in suddito è legata anche alla privazione della memoria storica, perché è grazie alla concezione dinamica della realtà, della politica e della storia che la democrazia ha potuto affermarsi in Occidente: fino al Rinascimento le forme politiche erano statiche, il Regno, la Repubblica... forme perenni. La politica moderna invece è fondata proprio sul principio che la politica si può cambiare.

Intervista al prof. Paolo Prodi, Docente di Storia moderna a Bologna

da www.unita.it

 

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