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Infine, la proposta di Gianfranco Fini partorì un topolino.
17.10.2003

Un articolo di Sergio Segio e Sergio Cusani in esclusiva per www.welfareitalia.it
Tale, per molti aspetti, è risultato il disegno di legge sul diritto di voto amministrativo per gli immigrati voluto dal leader di AN.
Il progetto di legge costituzionale elaborato è scarno ed essenziale. Ma questo potrebbe costituire un pregio. Ciò che invece nell’articolato decisamente delude sono, in particolare, due delle pregiudiziali imposte a coloro che, dopo sei anni di presenza ininterrotta sul territorio italiano con un regolare e illimitato permesso di soggiorno, vogliano ambire ad esercitare il diritto di elettorato attivo e passivo in occasione di elezioni amministrative.
La prima configura un diritto elettorale per censo, laddove prevede che la persona immigrata debba dimostrate di possedere un certo livello di reddito.
La seconda è una dimostrazione di quanto il garantismo professato dal centro-destra sia sovente a senso unico, nella misura in cui viene prevista l’esclusione dal diritto di voto per l’immigrato che sia stato anche solo rinviato a giudizio (dunque non processato e condannato) per un qualche reato.
Entrambe queste pregiudiziali pongono, in sostanza, un doppio binario, una diversità dei requisiti richiesti a un cittadino autoctono e a uno acquisito. E questo riconferma una cultura e una pratica che vede e rende l’immigrato un cittadino di serie B.
Stante poi che le tasse pagate da un lavoratore immigrato e da uno italiano, a parità di condizioni, sono le medesime, e così pure ogni altro dovere civico e civile, le discriminazioni contenute nella proposta di legge sostenuta dal vicepresidente del Consiglio sono inaccettabili.
Pure, occorre riconoscere un merito non secondario a Gianfranco Fini, naturalmente assumendo che la sua proposta non abbia secondi fini oltre al suo contenuto specifico, vale a dire il riconoscimento del diritto di voto alle persone immigrate.
Al di là della formulazione tecnica dell’articolato di legge, che abbiamo visto essere deludente, e anche al di là della sua effettiva possibilità di essere approvato in tempi brevi dal Parlamento, il dibattito che il leader di AN ha aperto comunque contribuirà a rafforzare una cultura dell’accoglienza e della tolleranza a livello sociale e di opinione pubblica. E questo proprio per l’area politico-culturale che all’onorevole Fini fa riferimento, tradizionalmente refrattaria verso la multiculturalità e l’accoglienza solidale.
Assieme, il dibattito aperto da Fini comunque contribuisce a rendere più isolate e impresentabili alcune delle logiche xenofobe che spesso caratterizzano la proposta e la propaganda politica della Lega.
Terzo, ma non ultimo, virtuale aspetto positivo è che l’accelerazione sulla questione del diritto di voto agli immigrati imposta da Gianfranco Fini, comunque contribuirà a una diversa e maggiore determinazione sul punto anche da parte delle forze del centro-sinistra e del suo maggiore partito, vale a dire i DS. E ci pare ce ne sia bisogno, stanti gli eccessi di realismo politico e di prudenza che hanno sinora caratterizzato quel partito e quella coalizione.
Si ricorderà infatti che la legge in materia di immigrazione precedente all’attuale, la n. 40/1998, cosiddetta Turco-Napolitano, nella fase di gestazione parlamentare aveva stralciato, su decisione degli stessi proponenti, e infine abbandonato il capitolo appunto relativo al diritto di voto amministrativo.
Cinque anni dopo l’approvazione di quella legge che - anche questo ci sembra necessario ricordare - introdusse in Italia le orrende e disumane strutture dei Centri di permanenza temporanea, che sono veri e propri carceri in cui vengono rinchiuse persone immigrate senza che abbiano commesso alcun reato, si torna dunque a parlare di diritti per gli immigrati.
È comunque e indubbiamente un fatto positivo, un’inversione di tendenza. In mezzo, però, c’è stato il varo di un’altra normativa sull’immigrazione, la n. 189/2002, cosiddetta Bossi-Fini. Se pure quella legge, attualmente in vigore, ha alcuni caratteri di continuità con quella precedente, sicuramente ne ha approfondito e radicalizzato una visione dell’immigrato considerato al meglio come merce, braccia da lavoro, e non come essere umano e cittadino portatore di diritti a prescindere dalle esigenze del mercato del lavoro.
Il segno culturale della Bossi-Fini, insomma, è esattamente opposto a quello di riconoscere il voto e altri diritti alla persona immigrata. Una contraddizione di non poco conto.
Ci auguriamo allora che la contraddizione verrà risolta gettando nel cestino delle leggi e della storia la Bossi-Fini, al fine di sostituirla integralmente con una legge giusta e umana. È lo stesso auspicio che è venuto dai missionari comboniani, che in questi anni sono stati in prima (e spesso solitaria) fila nel reclamare e difendere i diritti delle persone immigrate.

*nella foto Sergio Segio e Sergio Cusani alla marcia della pace di perugia

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