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I giudici sono matti?
22.10.2003

I giudici sono matti? A Varese si parla di giustizia e ci si pone la domanda:” E’ vero che i giudici sono matti?”.
A rispondere sono Edmondo Brutti Liberati, segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati, Marco Travaglio, giornalista “guastatore”, Claudio Castelli, segretario di Magistratura Democratica, Fabio Roia, segretario di UniCost, Armando Spataro, segretario Movimento per la Giustizia, Piercamillo Davigo, rappresentante di Magistratura Indipendente, Alessandro Amadori, psicologo: il tutto moderato da Claudio Sabelli Fioretti, giornalista satirico che ha condito con grande abilità il convegno di analisi psico-giuridica e storica su una categoria antropologicamente diversa.

Brutti Liberati si chiede se è possibile considerare matti coloro che applicano la legge nel rispetto del principio di eguaglianza dei cittadini. Ed è proprio ai cittadini che fa appello il Presidente: per difendere l’ordinamento giudiziario nel suo complesso e per difendere la funzione indipendente della giustizia. Oggi è presente uno squilibrio tra le istituzioni: Bondi definisce i magistrati un’associazione a delinquere. L’ANM, sottolinea il Presidente, non è contro questo governo, ma tutela l’interesse dell’autonomia dell’esercizio del potere giudiziario. Invita i presenti a mobilitarsi per la giornata nazionale della giustizia il prossimo 22 novembre prevista in tutta Italia.

Travaglio, invece, considera i giudici essere proprio matti: sono matti perché oggi scelgono di fare i giudici; sono matti perché perseguono coloro che baciano un mafioso per concorso esterno in associazione mafiosa; sono matti perché si fanno uccidere piuttosto di guarire; sono matti perché si oppongono al trasferimento richiesto dal Ministro. Ma i più matti sono, secondo l’autore di Bananas, i giudici di Milano: hanno avuto da sempre occasione di trasferire al foro di Brescia il lungo processo di Previti per occuparsi di altre cose, ma si sono sempre opposti. Infine alle dichiarazione false e spontanee di Berlusconi imputato al processo Lodo Mondadori hanno reagito con facce stralunate, non capendo cosa stesse dicendo.

Claudio Castelli parla di controriforma che sovverte il principio di autonomia e indipendenza della magistratura. I processi si allungheranno e i magistrati non saranno più autonomi di procedere nella propria attività forense: dovranno studiare per superare i 7 concorsi previsti, saranno subordinati al volere del Procuratore e, infine, saranno volti alla ricerca di fori per aumentare i propri titoli. Carrierismo totale e solitudine, con diminuzione di poteri saranno le principali conseguenze: il Ministero avrà maggiori poteri, detratti dall’organo giudiziario. Potere disciplinare e potere di nominare le commissioni d’esame: saranno tutte potestà nelle mani del ministro, organo non indipendente, ma facente parte dell’esecutivo.

Roia, di UniCost, parla a titolo di una corrente moderata ma, come la definisce, non “molle”:” Siamo di sinistra per questo governo”. Il PM sarà controllato, venendogli a mancare ogni autonomia operativa a favore del Procuratore: il potere della magistratura deve essere diffuso, come prescrive la Costituzione e come già prescriveva gli Act of Statetement inglesi nel 1701. L’inefficienza sarebbe, secondo questo disegno, la normale conseguenza.

Spataro invita a mobilitarsi unitariamente contro la militarizzazione della Magistratura: verrà eliminata, secondo l’emendamento Bobbio, qualsiasi libertà di associarsi ad associazioni, partiti ed enti con natura associativa, escluso solamente associazioni a carattere sportivo o scientifico.

Ma un magistrato che partecipa a un evento sportivo con la maglietta della pace, manifestando la sua libertà di espressione del pensiero legittima, commette un illecito penale? Il provvedimento attacca diritti di libertà inalienabili e fondamentali dell’uomo: la sfiducia nella magistratura deriva dal fatto che, secondo Spataro, vi è una campagna denigratoria nei propri confronti non perché il magistrato interpreta la legge tramite la propria cultura facendo scelte applicative precise.

Davigo parla di sottoposizione alla legge da parte del Magistrato: ma quando la legge è indefinita, come la legge sull’immigrazione clandestina, cosa dovrebbe fare il giudice, si chiede. L’interpretazione estensiva viene eliminata dal provvedimento Bobbio: quindi, paradossalmente, considera Davigo, anche l’articolo 575 sull’omicidio commesso da un uomo, se esteso al caso in cui l’autore sia donna, sarebbe una violazione del provvedimento. Secondo il magistrato esiste una reale illegittima di certi provvedimenti normativi che vengono presi e attuati in corrispondenza con esigenza processuali di determinati casi in corso. Davigo riporta, poi, il rapporto del giudice malese, inviato dall’ONU in Italia, per provvedere a stilare un rapporto sullo stato della giustizia italiana: si evince che vi è molta preoccupazione per un principio di indipendenza della magistratura, facente parte della cultura italiana e internazionale e si raccomanda vivamente i politici di rispettare il corso processuale dell’attività giudiziaria e le sentenze emesse.

Per concludere interviene Amadori, psicologo, autore del libro “Mi consenta” e definisce i giudici non matti, ma savi. Se fossero matti, procede a dimostrare Amadori per assurdo, allora tutti i cittadini sarebbero matti se rispettassero le loro decisioni e così anche i parlamentari perché conferiscono ad essi il potere di applicare la legge. L’altro paradosso riguarda l’affermazione del fatto che non essendo i giudici eletti dal popolo non possono esercitare i poteri a loro affidati ex Costituzione: ma se così fosse anche gli ordini del proprio medico non dovrebbero essere rispettati dal paziente, perché il medico non è eletto dal popolo; così come il capo attuale del Governo non dovrebbe avere potere direzionale nelle sue aziende da lui possedute, perché non eletto.

Le affermazioni di Berlusconi hanno avuto effetto perché sono dette da una fonte, purtroppo, autorevole, sostiene Amadori, e ripetutamente con messaggi continui e brevi su tutto l’etero mediatico in suo possesso: per difenderci da questo occorre determinare nella coscienza collettiva il concetto che il giudice è umano, raccontando la sua persona, la sua attività, il suo compito, il suo lavoro. I canali della diffusione di questi concetti devono essere spontanei.

Alessandro Rizzo

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