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Finché c'é guerra c'é speranza - intervista a Malcom Dando
22.04.2003

Il Prof. Malcom Dando, biologo, tiene attualmente il corso di Sicurezza Internazionale all’Università degli Studi per la Pace di Bradford (www.bradford.ac.uk/acad/peace). E’ considerato uno dei massimi esperti nel campo del disarmo biochimico, a cui ha iniziato a lavorare nel 1991, dopo essersi occupato per lunghi anni di disarmo nucleare. Attualmente lavora sei mesi l’anno al Centro di Ricerca per la Sicurezza Globale al Lawrence Livermore National Laboratory in California in qualità di Senior Fellow. "The New Biological Weapons" (Lynne Rienner, 2001) and "Preventing Biological Warfare" (Palgrave, 2002) sono le sue più recenti pubblicazioni sul tema delle Armi Biologiche. (segue)

Prof. Dando può farci un breve quadro sulla attuale situazione della proliferazione delle armi chimiche e biologiche?
Sappiamo che ci sono stati una serie di programmi offensivi biologici condotti da alcuni tra gli stati più importanti durante il secolo scorso, come quello Sovietico e quello Irakeno. Ce n’era uno precedente a questi in Sud Africa, ma non è ben chiaro in cosa consistesse. Ce ne sono 2 che sono diventati operativi recentemente, secondo informazioni secretate fornite dall’intelligence.
E poi ci sono dei forti sospetti che ci siano altri programmi operativi al momento.
Condotti da quali nazioni?
Abbiamo concreti motivi per pensare che almeno 2 nazioni, Iraq e Israele, abbiano un consistente arsenale costituito da armi biologiche a fini offensivi.
Altri stati sospettati di averne sono Corea del Nord, Iran, Siria, Libia, Cina, ma non è chiaro fino a che punto questi sospetti siano fondati.
Crede che siamo ad un punto di non ritorno?
Credo di poter affermare che siamo ad un punto in cui sia ancora possibile chiudere definitivamente tali programmi. Ma credo anche che questa possibilità si smaterializzerà ben presto se non facciamo qualcosa subito.
In che senso?
Il motivo per cui questa possibilità potrebbe sfumare rapidamente dipende sostanzialmente da due fattori: primo, dalla debolezza dell’attuale Convenzione delle Armi Biologiche, la BWC, e secondo dalla massiccia rivoluzione che è in corso nelle Scienze Naturali, che fornirà risultati e strumenti nuovi a cui potranno accedere con facilità molte più persone di adesso, e che potrebbero utilizzarli per scopi totalmente diversi rispetto a quelli per cui erano stati concepiti in origine.
Perché crede che l’attuale Convenzione non sia un deterrente efficace per la proliferazione di armi biologiche?
La Convenzione, formulata nel’72 e entrata in vigore nel’75, fu il primo trattato a proibire tutta una serie di armi di distruzione di massa. Proibisce la produzione e lo stoccaggio di tossine e microrganismi se non per fini pacifici e proibisce categoricamente lo sviluppo, la produzione e lo stoccaggio di ordigni progettati per la dispersione di tali agenti. Ma sostanzialmente non prevede ispezioni, commissioni di controllo che possano portare alla luce eventuali violazioni, che invece ai noi risulta siano state frequenti dal ’75 ad oggi. La Russia, ad esempio, per tutti gli anni ‘90 ha continuato a stoccare ingenti quantitativi di sostanze tossiche e a sviluppare sistemi per la diffusione di tali sostanze, in evidente contrasto con la BWC.
Per questi motivi nel 2001 si era giunti alla formulazione di un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione che prevedeva misure esecutive come visite, ispezioni, dichiarazioni annuali sull’andamento dei programmi di biodifesa da parte di ogni stato membro e delle industrie produttrici di agenti biochimici. Tutte misure che avrebbero dovuto partire molto gradualmente, per non mettere a rischio segreti militari o industriali dei paesi aderenti, ma che col tempo avrebbero invece aumentato la trasparenza dei programmi di biodifesa mondiali..
Che ne è stato del Protocollo?
Dopo tre lunghi giorni di trattative, in cui i delegati di più di 50 Paesi si espressero in favore del Protocollo, l’Ambasciatore americano Donald Mahley pose fine al processo di negoziazione con le seguenti parole: “Gli Stati Uniti d’America hanno concluso che il corrente approccio a un protocollo aggiuntivo alla BWC…non sia, a nostro avviso, capace di…rafforzare la fiducia in tale Convenzione…Noi non saremmo comunque disposti ad accettare il testo corrente anche se venissero apportate modifiche.” Ovviamente senza la partecipazione americana, pochi altri stati erano ancora disposti a sottoscrivere il documento. E così il processo venne interrotto.
Le trattative non vennero più riprese?
Sì, durante la Conferenza successiva, la 5°, sempre nel 2001. Questa volta gli stati Uniti cercarono all’ultimo minuto di chiudere del tutto le negoziazioni in favore del Protocollo, gettando il meeting nel caos e non lasciando altra possibilità che quella di sospendere la conferenza fino al novembre dell’anno successivo.
Che motivazioni fornirono i delegati statunitensi per giustificare questo comportamento?
Loro dettero 3 motivazioni ufficiali: per prima cosa secondo loro il Protocollo non avrebbe comunque permesso di scoprire programmi offensivi segreti.
Cosa probabilmente vera…
Infatti. Ma nessuno pensa che ci siano misure investigative in grado di smascherare definitivamente e con assoluta certezza certe pericolose attività militari a fini offensivi. Il valore del Protocollo, ribadisco, non sta tanto in questo, quanto nell’accrescere nel tempo la sicurezza e la trasparenza delle attività di biodifesa di tutto il pianeta, favorendo la nascita di un’etica comune riguardo all’uso di armi biologiche e chimiche.
Veniamo alla seconda motivazione.
Dal loro punto di vista le misure di controllo previste dal Protocollo rappresentano una minaccia per la segretezza commerciale dell’industria, in particolare di quella farmaceutica, la Phrma, appunto.
In realtà il protocollo teneva conto di questo cruciale problema, che riguarda tutti, già nella sua prima bozza. Ci sono stati alcuni paesi che hanno inviato commissioni di controllo in numerosi siti industriali, in via sperimentale, per capire fino a che punto tali ispezioni avrebbero potuto urtare con la segretezza commerciale delle industrie stesse. Si è visto che è effettivamente possibile ottenere risultati soddisfacenti ai fini della trasparenza delle attività di biodifesa, nello spirito del Protocollo, senza per questo mettere a rischio i segreti industriali. E’ stato sufficiente cercare un dialogo con le industrie per arrivare ad un accordo. L’America invece, a differenza dei suoi maggiori alleati, non ha mai veramente cercato una collaborazione in tal senso con la propria industria.
Secondo lei con la Phrma sarebbe stato possibile trattare?
La Phrma all’inizio si è opposta categoricamente a qualsiasi tipo di controllo. Si oppose con un documento che venne presentato durante le negoziazioni precedenti alla stesura del Protocollo. Ma le sue posizioni si sarebbero potute modificare se ci fosse stato un impegno reale da parte del governo americano. Lo dimostra il fatto che successivamente venne redatto un altro documento dai rappresentanti della Phrma stessa congiuntamente a quelli della FAS (Federazione Scienziati Americani) con dei suggerimenti importanti su come tutelare i propri segreti industriali in vista di eventuali ispezioni, ma Washington non lo ha per niente preso in considerazione, mostrando un totale disinteresse nel voler lavorare a un Protocollo che potesse essere accettato dall’Industria Farmaceutica.
La terza ragione addotta per rigettare il Protocollo fu che il documento poteva compromettere i loro programmi di biodifesa e quindi la loro sicurezza nazionale. Cosa alquanto curiosa, visto che tutti i maggiori alleati americani possiedono programmi di biodifesa simili a quelli dichiarati dagli americani e hanno comunque concluso che il Protocollo non li avrebbe danneggiati in nessun modo. Inoltre, dopo che Nixon rinunciò definitivamente alla proliferazione e all’uso di armi biologiche a fini offensivi, i programmi di biodifesa americani vennero sostanzialmente desecretati. Quindi è difficile capire come certe misure di controllo possano seriamente comprometterli, a meno che la tradizionale apertura della Biodifesa americana non abbia recentemente subito sostanziali cambiamenti.
Quali furono le reazioni degli altri stati di fronte alle spiegazioni fornite dagli americani?
Ovviamente tutte queste ragioni vennero ritenute totalmente insoddisfacenti, soprattutto dagli alleati. Infatti gli europei all’inizio avrebbero addirittura voluto un Protocollo molto più restrittivo e lo avevano successivamente ‘annacquato’ per venire incontro alle esigenze degli americani. Ma neanche questo è servito.
Il problema è che siamo di fronte ad un amministrazione che si avvale di un punto di vista dottrinario e unilaterale. Hanno respinto “Kyoto”, “Roma”, il Tribunale dei Crimini Internazionali. In parte ciò è il risultato di un punto di vista unilaterale.
Questa è l’unica ragione?
Questa è la ragione ‘filosofica’. Le motivazioni concrete vennero fuori nell’autunno del 2001, quando venimmo a conoscenza di cosa realmente gli americani stavano – e starebbero tuttora - facendo nei loro programmi di difesa militare. La vera ragione per respingere il Protocollo è che i loro Defence Programs sarebbero stati difficilmente giustificabili nell’ambito della Convenzione, poichè non è chiaro quanto oltre si siano spinti nella zona grigia di Difesa-Offesa.
Siete a conoscenza di cosa avvenga, al momento, all’interno dei programmi di biodifesa americani?
I tre esempi di cui siamo a conoscenza si possono trovare nella letteratura corrente.
Ce li può esporre brevemente?
Per lungo tempo ci sono stati pochissimi programmi di biodifesa sottoposti a segreto militare, come dicevo, principalmente condotti dall’US Army Medical Research Institute for Infectious Diseases. Solo una piccola parte era secretata e comunque si trattava principalmente di analisi di componenti potenzialmente dannosi già esistenti, non di ‘sperimentazione’ di nuovi agenti. Attualmente sappiamo che sia il Dipartimento della Difesa che la CIA conducono programmi di biodifesa segreti. Alcuni sono sicuramente progetti di difesa legittimi, ma dal 2001 siamo a conoscenza di almeno 3 programmi che possono aver violato la BWC.
Quali?
Uno, condotto dalla CIA, mirato alla costruzione e testing di una particolare bomba a grappolo, sul modello di quella sovietica, per spargere a largo raggio agenti biologici. Un altro, condotto dal Pentagono, consiste nel provare se è possibile costruire un tipo di arma biologica sofisticata con materiali reperibili in commercio senza destare sospetti, per vedere se i terroristi potrebbero effettivamente percorrere questa strada con successo. Per questo è stato incaricato personale specializzato che ha comprato il materiale, costruito una facility per produrre spore batteriche non patogene successivamente disidratate e poi usate come arma.
Il terzo progetto è stato amministrato da un’altra unità del Pentagono, la Defence Intelligence Agency, ma non si sa bene se sia stato effettivamente realizzato.
In che cosa consisteva?
Consisteva nell’ingegnerizzazione genetica del Bacillus Anthracis, per ricreare una spora di cui i russi sarebbero in possesso e presumibilmente resistente ai vaccini attualmente prodotti in America. Ma non è tutto. Dalle investigazioni sulle lettere all’antrace inviate negli US l’anno scorso è risultato che le spore provenivano direttamente da alcuni laboratori americani. Si è così venuti a conoscenza di un programma tuttora attivo finalizzato alla produzione di spore di antrace che dovrebbero in teoria servire solo per la difesa. Ma non è chiaro a che punto sia il programma, si sa solo che la produzione di questi agenti va avanti da molti anni. La produzione totale raggiunta è stata quantificata tra i 10 e i 100 grammi di spore di antrace disidratate. Ora, poiché ogni singolo grammo di antrace contiene milioni di dosi letali, è difficile convincersi che la quantità di spore prodotte sia servita solo per scopi pacifici.
Che fine hanno fatto le spore in eccesso?
Non sappiamo se sono state distrutte o se siano tuttora conservate da qualche parte.
E’ tutto molto oscuro e contraddittorio. Nel 1986 gli Stati Uniti presero ufficialmente l’impegno di dichiarare annualmente tutti i loro programmi di biodifesa e le loro facilities. Ma Nessuno dei programmi di cui ho parlato è mai stato menzionato nelle dichiarazioni redatte dagli americani.
Come hanno reagito gli altri stati aderenti alla BWC di fronte a queste ‘scoperte’?
E’ stata sollevata la questione se si tratti solo della punta dell’iceberg. Se questi progetti esistevano ci si deve chiedere se ne esistevano anche degli altri e se continuano ad esistere.Quindi il punto che cercavamo di rimarcare è che portare avanti questo tipo di progetti può creare fraintendimenti negli altri stati e cioè può trasmettere l’idea che alcuni non perseguano soltanto obbiettivi di difesa ma di offesa, o comunque che ci si stia muovendo più nella direzione dei programmi di offesa che di difesa.
Lei ha parlato di un’inversione di tendenza nella storica apertura della Biodifesa statunitense. Quando è avvenuto questo dietrofront e per quale motivo?
Quando sia avvenuto e perché non è chiaro. Sembra sia cominciato sotto l’amministrazione Clinton. A quel tempo si assisteva da una parte a una crescente preoccupazione legata alla possibilità che alcuni gruppi terroristici potessero essere in possesso di armi biologiche, e dall’altra a un mutamento del ruolo dei Servizi Segreti dovuto alla fine della Guerra Fredda. Tutto ciò potrebbe avere contribuito all’adozione di nuove politiche militari sempre più ‘unilateraliste’.Anche se ritengo che l’attuale amministrazione Bush sia particolarmente votata ad una politica unilaterale, credo che tutte le amministrazioni post Guerra Fredda siano andate sempre più nella direzione di una politica basata su questo principio.
Quindi secondo lei si può ammettere che l’America ha sufficienti responsabilità nei riguardi dell’attuale situazione della proliferazione delle armi chimiche e biologiche…
Sì. Ma ci sono anche altri stati che contribuiscono a questa situazione.
Ad esempio?
…Sarei molto sorpreso di sapere che l’Iraq abbia definitivamente interrotto le sue ricerche nel campo delle armi biochimiche dopo il 1991. Credo che le difficoltà che hanno avuto nello spiegare, nel dire la verità su quello che hanno fatto e su quello che stavano facendo dipenda dal fatto che stavano ancora portando avanti programmi offensivi molto pericolosi.
Ci sono possibili strade per scoraggiare gli stati che continuano a produrre e a studiare armi chimiche e biologiche scelte alle azioni di forza come a quelle cui stiamo assistendo?
La prima cosa da fare è senz’altro quella di chiudere definitivamente tutti i programmi finalizzati all’attacco. La seconda quella di evitare la cattiva comprensione su tutto ciò che riguarda i programmi di difesa e terza cosa è mettere delle restrizioni e maggiore cautela su tutto ciò che riguarda le Scienze Naturali. Al momento il nostro più grande problema sono i programmi offensivi condotti dai singoli stati, ma in poco tempo ci saranno moltissime persone in grado di accedere ai risultati ottenuti nel campo delle Scienze Naturali e che potrebbero farne un cattivo uso.Quindi credo che dovremmo iniziare pensare a politiche efficaci per affrontare la situazione futura. Congiuntamente, dobbiamo fornire un’appropriata educazione agli scienziati e un adeguato codice di condotta volto a regolare le attività di ricerca di cui si occupano.Io credo che ci dovrebbero essere delle restrizioni su ciò che gli scienziati possono effettivamente fare e su ciò che possono pubblicare. E’ su tutto questo che dobbiamo riflettere per evitare che la situazione attuale peggiori paurosamente. Ma al momento io non credo che le attuali decisioni politiche abbiano mostrato di aver realmente afferrato la natura profonda del problema. Credo anche che sia di fondamentale importanza che giornali come il suo si occupino di tali argomenti fornendo un tipo d’informazione accurata, che permetta alla gente di acquisire una visione più ampia e profonda della situazione.
Lei che ha una visione dall’alto del problema, che da tanti anni lavora in favore del disarmo biochimico, può darci un’idea di quello che sarà la guerra del futuro?
Sappiamo dalla storia che tutte le precedenti rivoluzioni scientifiche e tecnologiche hanno avuto la loro maggiore applicazione in campo militare. Basta pensare a quello che ha rappresentato la rivoluzione nucleare, come questa cambiò la situazione strategica del mondo. L’unica differenza sta nel fatto che la rivoluzione che sta avvenendo nelle Scienze Naturali fornirà un ventaglio di possibilità enorme su come utilizzare la scienza per scopi maligni. A partire dalla metà di questo secolo saremo nella situazione in cui molta gente potrà interferire con patrimonio genetico, processi cognitivi, sviluppo di tutti gli aspetti che riguardano i processi vitali, che potranno facilmente essere manipolati nel bene e nel male. Se si pensa che il problema riguardi solo l’uso di agenti patogeni si è completamente fuori strada. Bisogna rendersi conto che il problema è ben più ampio, che comprende ad esempio una vasta gamma di possibilità di manipolazioni del comportamento umano, di interferenza col sistema nervoso centrale (in conseguenza ai risultati farmacologici ottenuti nell’ambito delle neuroscienze), di distruzione del sistema immunitario e molto altro ancora. E’ a tutto questo che bisogna pensare quando cerchiamo di immaginarci la guerra del futuro, a meno di una rapidissima inversione di tendenza delle politiche governative attuali.

tratto dal sito

www.articolo21liberidi.org

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