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Investire sulll'Onu
24.10.2003

Iraq: l'Italia investa sull'Onu

C'è una cosa più utile, saggia e lungimirante che l'¹Italia può fare per
aiutare il popolo iracheno a ritrovare rapidamente il proprio futuro:
sostenere l'intervento diretto e imparziale delle Nazioni Unite. Invece di
prolungare la costosissima missione dei nostri tremila soldati a
Nassiriya
a fianco delle truppe d'occupazione, l'Italia deve destinare tutte le
proprie risorse umane e finanziarie per rafforzare il ruolo vitale
dell'Onu in Iraq. Invece di restare agli ordini del comando americano,
l'¹Italia deve mettersi a disposizione e agire di concerto con il
Segretario Generale dell'¹Onu. Invece di sprecare ulteriori soldi in una
missione militare dai contorni confusi e discutibili, l'Italia deve
investire nel ridare credibilità all'unica autorità sopranazionale che
può
rispondere ai bisogni vitali di una popolazione stremata da decenni di
guerre e dittature e che può aiutare gli iracheni a recuperare
velocemente
capacità di autogoverno e autodeterminazione. Invece di agire ancora una
volta da sola, l'Italia anche in qualità di Presidente di turno
dell'Unione Europea- deve lavorare perché questa diventi la posizione e
l'iniziativa comune dell¹Europa: un¹Europa che si impegna a ricostruire
l'Iraq e la pace in Medio Oriente ma anche il diritto e la legalità
internazionale violate.
La Risoluzione 1511 adottata dal Consiglio di Sicurezza sull'Iraq affida
alle Nazioni Unite un ruolo ancora limitato e insufficiente. E' questo il
limite più profondo del debole compromesso raggiunto lo scorso 16 ottobre
al Palazzo di Vetro. Al punto che, in ben tre paragrafi della
Risoluzione,l'azione dell'Onu viene esplicitamente subordinata all'esistenza di
circostanze favorevoli. Segno che, allo stato attuale, le potenze
occupanti non sono nemmeno disponibili a garantire quel minimo di
agibilità necessaria per un ritorno significativo dell'Onu sul campo.
Da qui la necessità di dare una mano all'Onu. Nonostante tutti i suoi
limiti la Risoluzione 1511 apre degli spazi ad una ripresa di iniziativa
della comunità internazionale e noi abbiamo la responsabilità di usarli
per dare una mano concreta al popolo iracheno. Impossibile chiamarsi
fuori. Nessuno può permettersi di lasciare gli iracheni in balia delle
forze d¹occupazione, dei colpi di coda degli amici di Saddam Hussein o
del caos che oggi sembra trionfare. Così come nessuno può illudersi di
costruire ordine e sicurezza in Iraq trasformando con una risoluzione le
truppe d'occupazione in una forza di pace e di stabilizzazione. Nessuno
può illudersi di venire a capo della guerriglia irachena con strumenti
militari. Servirebbero molti più soldati sul campo (che nemmeno gli
americani possono permettersi di mantenere e che nessuno per ora sembra
seriamente intenzionato a prestare). E anche se ce ne fossero abbastanza
non basterebbero. Perché non esiste uno strumento militare capace di
risolvere quel groviglio di problemi politici che affliggono l'Iraq.
Per questo l'Italia e l'Europa devono innanzitutto porsi l'obiettivo di
mettere in atto tutti quegli interventi concreti che sono necessari per
favorire il rapido rientro delle Nazioni Unite in Iraq e la realizzazione
di quelle missioni che la stessa Risoluzione 1511 elenca: assicurare la
necessaria assistenza umanitaria alla popolazione, promuovere la
ricostruzione economica, favorire una rapida transizione politica in modo
che il popolo iracheno possa determinare liberamente il proprio futuro
politico e controllare le proprie risorse naturali, favorire il dialogo
nazionale e la costruzione del consenso che dovrà portare alla stesura
della nuova costituzione e alla convocazione di elezioni democratiche,
accelerare gli sforzi per costruire istituzioni locali e nazionali
democratiche e rappresentative, promuovere la protezione dei diritti
umani in tutto il paese, favorire lo sviluppo di media indipendenti, sostenere
lo sviluppo della società civile irachena e delle sue organizzazioni
indipendenti, etc...
Queste missioni non sono meno impegnative o rischiose di quella sin qui
affidata ai soldati italiani che presidiano le strade di una provincia
meridionale dell'Iraq ma hanno il pregio di portare un sollievo concreto
alle donne, agli uomini e ai bambini che continuano a patire le
conseguenze della guerra e della dittatura e di avvicinare il giorno in
cui gli iracheni potranno governarsi da soli.
Per aiutare le Nazioni Unite a raggiungere questi obiettivi l'Italia deve
inoltre impegnarsi per aprire le porte dell'Iraq a tutte quelle
organizzazioni internazionali della società civile che hanno dimostrato
di saper intervenire con efficacia anche laddove i governi non osano
avventurarsi e alle quali ancora oggi viene sostanzialmente impedito di
agire. Queste organizzazioni sono una risorsa insostituibile della
comunità internazionale: meritano di essere sostenute, incoraggiate,
valorizzate.
Naturalmente la decisione di investire sull'Onu dovrà essere accompagnata
da una importante azione diplomatica di concertazione con tutti i paesi
della regione e le organizzazioni regionali come la Lega Araba e
l'Organizzazione della Conferenza Islamica.
Lasciare l'Onu al palo e affidare il futuro dell'Iraq ad una qualsivoglia
forza multinazionale sotto comando unificato può portare ad un solo
prevedibile tragico risultato: la continuazione della guerra e della
violenza, degli attentati, del terrorismo, del caos politico e delle
vittime innocenti. Se vogliamo discutere del contributo dell'Italia e
dell'Europa per la pace in Iraq non possiamo ignorarlo. Non ci ha
insegnato nulla l'Afganistan?
Tavola della pace, 23 ottobre 2003

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