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.... E' il volto dei bambini annegati a Lampedusa
29.10.2003
"E' il volto dei bambini annegati a Lampedusa" VENEZIA «Ma insomma, cosa penso della sentenza? Non penso niente».
Niente niente?
Esplosione, improvvisa e progressiva, di indignazione: «Penso che se c'è un momento in cui bisognerebbe appendere il crocefisso in ogni aula, in ogni tribunale, in ogni ufficio pubblico, in ogni stanza, e - grande come un transatlantico - nel transatlantico di Montecitorio, beh, il momento è questo!».
Non che Massimo Cacciari non lo stia ripetendo da anni.
Perché, professore?
«Perché in un paese che assiste caritatevole alla morte quotidiana di donne e bambini nel canale di Sicilia, che si scandalizza per una normale proposta di dare il voto agli immigrati, cioè a gente che lavora e paga le tasse come noi, che ha deciso di aiutare donne e bambini dell'Iraq per un quinto delle loro necessità, che fa pagare le medicine contro l'Aids tanto care che nessuno possa adoperarle... in un paese così è utile avere un crocefisso davanti agli occhi da mattina a sera. Come sarebbe utile che la Chiesa gridasse forte questo: che Gesù è quel bambino che muore quotidianamente nel Canale di Sicilia. E chi non fa questo ragionamento, a me fa proprio schifo. Altro che barzellette sulle radici cristiane... ».
Ma chi si comporta così, chi assiste alla morte degli immigrati, chi si scandalizza, chi non aiuta, non è proprio chi il crocefisso davanti agli occhi ce l'ha già?
«Appunto! Il punto è che il crocefisso già non c'è più: quello che significa, non c'è più. E allora vogliamo anche toglierlo? Equivale ad andare dal notaio e sancire: il crocefisso non ci dice più niente. Invece quel simbolo dovremmo piantarcelo negli occhi».
C'è già. Dappertutto.
«Ma dove? Esiste? Io dico che dobbiamo ricordarlo: rimetterlo nel cuore. Se c'è un'epoca in cui c'è bisogno di averlo dappertutto, è questa».
Lei ce l'ha, in casa?
«No. No perché non sono credente nel senso pacifico del termine. Ma è qualcosa, la fede, che mi manca. Il laicista ritiene che sia un tratto alto e nobile della sua razionalità, non avere il crocefisso. Io no».
E in aula, all'università, ce l'ha?
«Al San Raffaele? No. È una università a-confessionale. Se ci fosse stato, non mi sarei mai sognato di toglierlo».
Allora dovrebbe metterlo, per coerenza.
«Perché? Io devo mettere il crocefisso perché sia presente il problema. Io ho chiamato Enzo Bianchi e Bruno Forte a insegnare teologia vetero e neotestamentaria: è stato il mio modo di mettere il crocefisso. Appendere il crocefisso non significa appendere un simbolo: significa riattivare i valori che rappresenta».
Tante proteste di vescovi e cattolici, oggi, per la sentenza dell'Aquila, non hanno esattamente questo orientamento.
«I vescovi dovrebbero fare questo mio stesso discorso. Dovrebbero dire: amici, guardiamoci negli occhi. Significa, questo, la rimozione di ogni cristianesimo? Ebbene, per i valori che questo simbolo rappresenta, dovrebbe essere appeso dappertutto. E sappiate, Bossi and company, che per noi chiesa il volto di questo crocefisso è quello del bimbo che annega in Sicilia».
Invece pare che buona parte del dibattito ruoti attorni al dubbio se quel simbolo sia più negativo appenderlo per circolare ministeriale o toglierlo per sentenza.
«Ma questo è del tutto ininfluente. Lo ripeto: il fatto è che quel simbolo non è più da nessuna parte. E so che toglierlo è solo sciocco, stupido e controproducente. Il problema non è crocefisso appeso o non appeso. Il problema è che la cosa dia fastidio. Ma chi può averne paura? A me, ragazzo che veniva da una famiglia laica, vedere il crocefisso in aula, è solo servito da stimolo. Ne discutevo col prete... ».
Naturalmente litigando, immagino.
«Naturalmente: come sempre. Come faccio coi miei amici teologi». Senta, però. Un conto è il crocefisso in chiesa, dove va chi crede. Un altro è il crocefisso in un'aula scolastica. O no? «Perché, dove sono le chiese? Sono nelle città, sono negli spazi pubblici, sono dove io cammino. E non vedo le chiese, i campanili, le croci, come altrove vedrei le moschee, i minareti? Non sono simboli di una civiltà?».
In aula potrebbero dar fastidio a chi appartiene ad altre fedi.
«Solo una fede dogmatica può avere problemi. Una fede che cerca se stessa, che si confronta, perché mai dovrebbe? Il crocefisso mi ha fatto interrogare, leggere, studiare, confrontarmi. Questo è il ruolo di un simbolo! Certo che se sono un asino chiuso in me stesso... Ci sono tanti asini laici! Se sono Bossi e giro in Tunisia, certo che mi dà fastidio vedere una lettera del Corano. Ma se sono intelligente, mi interrogo. C'è il cretino che si difende perché ha paura del diverso, del confronto, e vuole solo i suoi simboli. E c'è chi non ha paura, si confronta, si mette in discussione. In tutte le culture ci sono simboli. Lasciamo perdere le balle laicistico-illuministe».
Quali?
«Insomma: questo paese ha avuto una storia, e la storia non è acqua. È naturale che io ne veda i simboli. Solo un deficiente può scandalizzarsi. Ogni popolo ha simboli, sono la sua carne, la sua storia».
A proposito: lei metterebbe il controverso accenno alle «radici cristiane» nella costituzione europea?
«No. Mettere una cappelletta con due parole a vanvera su un testo che di cristiano non ha niente, è esattamente come appendere in un'aula un crocefisso che non dice niente. Meglio lasciar perdere. Il vangelo dice che le radici si vedono dai frutti, e se i frutti non sono buoni l'albero va spiantato. Queste parole sono buone, sono buone per tutti, credenti e no. Però insisto: se c'è un momento per ritrovare le radici cristiane, è proprio questo».

da www.unita.it
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