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Legge 30 sul mercato del lavoro / Un dibattito tra sindacalisti
1.11.2003

Quale futuro per i co.co.co.?

La legge 30 sul mercato del lavoro mette la parola fine all'esperienza delle collaborazioni coordinate e continuative. Quando le nuove regole saranno andate a pieno regime, le co.co.co. saranno sostituite da nuove forme contrattuali. Ma il destino di più di due milioni di lavoratori-collaboratori italiani non è così nitido come vuol far credere il governo. Una volta esauriti i limiti temporali dei loro contratti, cosa accadrà? Saranno rinnovati sotto forma di lavoro dipendente, seppure flessibile e a tempo? Oppure molti datori di lavoro opteranno per l'interruzione del rapporto? Sullo scenario che si profila c'è una certezza: il manico del coltello non sarà certo impugnato dai co.co.co., il più delle volte soli e senza difese nella fase della contrattazione. Al riguardo riportiamo un dibattito a distanza tra due dirigenti sindacali della Cgil, Claudio Treves e Aldo Amoretti, apparso sugli ultimi numeri di «Rassegna sindacale».


Treves :Il professor Ichino e il testo nascosto

Il professor Ichino è tornato a più riprese, da ultimo sul Corriere della Sera del 9 ottobre, sulla legge 30 e relativo decreto, sostenendo che si tratta di una norma in linea con i desideri della Cgil, nella parte riferita alle collaborazioni coordinate e continuative, in quanto sarebbe obbligatorio per le imprese passare sic et simpliciter a rapporto subordinato i co.co.co. oppure trasformarli in “lavoratori a progetto cioè a termine”.
Verrebbe da commentare con un “magari!” e strappare i molti commenti negativi espressi in questo anno. Eppure i testi hanno una loro coriacea durezza. Nelle norme finali, il testo dice espressamente che le attuali collaborazioni, qualora non possano essere ricondotte a lavoro a progetto, continuano fino a scadenza, comunque per un anno dopo l’entrata in vigore della legge (e quindi fino al 24 ottobre 2004) e che ulteriori proroghe possono essere pattuite a livello aziendale, con accordo con le rappresentanze sindacali.
Non essendo profeti, ma neppure ciechi, crediamo di poter immaginare uno scenario siffatto: per coloro che non potranno essere trasformati in lavoratori a progetto il datore di lavoro dirà alla Rsa/Rsu: o mi date una proroga o sarò costretto a cacciarli via. Dopodiché potrà comparire nella bacheca un comunicato aziendale che annuncerà ai collaboratori la prossima fine dei loro rapporti a meno che la Rsa/Rsu non sottoscriva una proroga. Seguirà una processione dei collaboratori dalla Rsa/Rsu con preghiera/minaccia di sottoscrivere qualunque cosa, il singolo delegato si sentirà preso in una tenaglia e il datore di lavoro passerà alla storia come persona sensibile che si preoccupava delle sorti dei poveri collaboratori.
Dove il professor Ichino scorga una somiglianza con le tesi da noi sostenute è arduo indicare, a meno che egli non sia in possesso di un altro testo: noi basiamo i nostri giudizi su quelli pubblicati in Gazzetta Ufficiale.

Claudio Treves
Responsabile Dipartimento politiche attive del lavoro


Amoretti :Uno scenario che fa paura e la necessità di porsi alcune domande

Lo scenario che ci rappresenta Claudio Treves a proposito di ciò che potrebbe accadere nelle aziende dove ci siano dei co.co.co. ai quali applicare le norme della legge 30 è raccapricciante. Ci rappresenta uno stato delle relazioni e dei rapporti di forza che si concretizzerebbe nella quasi completa subordinazione delle Rsu al padrone.
Ovviamente il rischio esiste, ma sarebbe desiderabile una Cgil che si attrezza per fronteggiarlo chiamando i finti co.co.co a organizzarsi per rivendicare la trasformazione del loro rapporto quali dipendenti a tempo indeterminato. E che in questo senso orienta e mobilita le categorie, le strutture territoriali e le Rsu.
Vero che si è accantonata da un pezzo una condotta tendente a contestare in radice i co.co.co e perfino le associazioni in partecipazione e che abbiamo contestato perfino i titoli della legge 30, ma oggi ci si presenta uno snodo concreto della sua attuazione che può risolversi nel cedimento alle pretese dei padroni con l’avallo Rsu oppure in un’azione collettiva che tenta di reagire e negoziare. Ma la tesi secondo la quale nella contrattazione aziendale si avrebbe la sistematica prevalenza del padrone ha una rilevanza ben più generale, meriterebbe ragionamenti e scrittura di documenti.
Nasce da questo una Cgil nella quale sembra prevalere un privilegio alla contrattazione nazionale quasi in alternativa a quella decentrata? Ma come si può pensare che la solidità politica dei dirigenti nazionali possa funzionare da surrogato di una forza che non ci sarebbe in azienda e nei territori? E ancora come è possibile che due anni di lotte generali senza precedenti ci consegnino una situazione di meno capacità di esercitare potere contrattuale a livello delle aziende?
Naturalmente non dispongo di tutte le risposte; sono di parere che già sia un bene fare le domande.

Aldo Amoretti
Presidente Inca

fonte www.rassegna.it

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