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Un giorno la mafia può essere vinta...di Pier Luigi Vigna
10.11.2003

Un giorno la mafia potrà essere vinta....Intervista al Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna.

"In termini concreti -si può dire che la mafia è un particolare tipo di associazione per delinquere che, a differenza delle normali associazioni criminali, ha un peculiare modo di agire che consiste nell'uso della violenza, della minaccia o dell'intimidazione per garantire l'assoggettamento e l'omertà sia di coloro che ne fanno parte, sia dei cittadini che vivono nel territorio dove il gruppo opera.

Questo far paura deriva dall'esistenza stessa del gruppo mafioso: anche se il singolo non usa esplicitamente la violenza o la minaccia, il semplice fatto che sia nota la sua appartenenza al gruppo mafioso fa si che si determini una situazione di totale soggezione delle vittime che si spinge sino a non denunciare, a mantenere nascosti, i reati subiti. Vi è poi da dire che l'organizzazione mafiosa è caratterizzata da una marcata invasività: essa comprende infatti nel suo seno non solo i propri adepti ma anche appartenenti a vari strati della società - quali professionisti o, in qualche caso, persino singoli appartenenti alle forze di polizia o magistrati - e a settori della pubblica amministrazione o della politica."

- Tutto ciò, per quali scopi?

"Nel 1992, il legislatore ha indicato tra i fini delle organizzazioni mafiose non solo quelli di commettere reati di vario tipo, di impossessarsi di attività economiche, di vincere concessioni e autorizzazioni da parte dello Stato ma anche quello di impedire o ostacolare il libero esercizio del voto. Si è insomma ritenuto che l'organizzazione mafiosa abbia influenza anche nelle competizioni elettorali. Questa, per quanto attiene alla natura e ai fini, è la descrizione di mafia che si ricava dal tessuto del nostro Codice. Va poi osservato che, nel corso del tempo, a connotare le organizzazioni mafiose si sono aggiunte ulteriori caratteristiche. La prima è l'espansività: tali associazioni sono nate infatti in territori specifici - Cosa Nostra in Sicilia, la Ndrangheta in Calabria, la Sacra Corona Unita in Puglia, la Camorra in Campania - ma si sono poi estese in altre regioni del nostro Paese e non solo. Con i commerci illeciti che sempre più hanno per oggetto cose che devono essere spostate da un paese all'altro del mondo - pensi agli stupefacenti, alle armi, ai rifiuti tossico-nocivi, alle stesse persone oggetto di immigrazione clandestina o di tratta - le varie mafie hanno infatti subito un fenomeno di transnazionalità. Ciò vuol dire che gruppi mafiosi di diversi paesi operano in sinergia per poter meglio gestire questi mercati illeciti e, naturalmente, anche il denaro provento dei traffici, che spesso viene reinvestito in paesi diversi da quelli dove è prodotto."

- Dottor Vigna, parliamo del rapporto tra mafia e stato. Comunemente, lo si considera un fenomeno marginale, da addebitare a frange deviate o colluse dell'apparato statuale ma basta guardare al passato con attenzione per comprendere che - dall'epopea del Risorgimento sino allo sbarco degli Alleati in Sicilia nella seconda guerra mondiale - la mafia ha avuto voce in capitolo in eventi essenziali della nostra storia. Quel rapporto non rischia dunque di rivelarsi, per così dire, qualcosa di più "istituzionale"?

"In alcuni momenti, è vero, c'è stato un tale accordo. Basti pensare che, nell'Ottocento, gli stessi organi di pubblica sicurezza, per poter contrastare certe forme delinquenziali che si verificavano in Sicilia, ricorrevano all'aiuto di gruppi che non potevano ritenersi legali. In certi momenti la mafia è dunque servita, per così dire, come mano dello stato e qui si colloca l'esempio stesso che lei faceva in merito all'ingresso in Sicilia delle forze armate statunitensi che dalla mafia fu agevolato: nell'occasione, don Calogero Vizzini, uno dei più grandi mafiosi dell'epoca, fu nominato sindaco. Questa sinergia non ha però avuto uno sviluppo costante nel tempo. Un tale livello di accordo si è verificato in momenti determinati mentre successivamente ci può essere stato semmai un apporto di voti, soprattutto in conseguenza alle decisioni assunte dalle grandi potenze a Yalta, quando il mondo fu diviso in due distinte sfere di influenza e particolarmente avvertito, in Italia, fu il pericolo dell'affermazione del comunismo, giacché il Partito Comunista vantava numerosissimi elettori. In quell'occasione, le forze politiche ad esso contrapposte hanno probabilmente usufruito anche dei voti delle organizzazioni mafiose, il cui potere orientativo del voto, anche nei confronti di coloro che non appartengono a tali organizzazioni, è garantito da varie forme di pressione. E tutto, ovviamente, il mafioso può essere fuorché comunista, visto che, sotto il profilo sociologico, esso appartiene essenzialmente al cosiddetto ceto capitalista."

- E poi, nella storia più recente?

"Poi, queste forme di sinergia sono venute meno e ci sono stati, piuttosto, singoli accordi con questo o quell'amministratore, con questo o quel politico, per gestire gli interessi mafiosi. Con gli eccidi eccellenti - mi riferisco a Falcone e Borsellino, nel '92 - e la stagione delle stragi, nel '93, abbiamo invece assistito ad una strategia di attacco frontale allo Stato poiché quelle azioni furono portate a termine non solo come vendetta verso magistrati che avevano represso efficacemente la mafia ma anche come tentativo - soprattutto attraverso le stragi di Firenze, Roma e Milano - di indurre appunto lo Stato a cambiare le leggi antimafia: la legge sui collaboratori di giustizia, quella sul sequestro e la confisca dei beni mafiosi, la legge attinente al regime speciale 41 bis dell'ordinamento penitenziario, per isolare i mafiosi detenuti. Lo Stato non ha però ceduto a un tale ricatto e la mafia, a sua volta, ha rinunziato a quella strategia e si è, per così dire, inabissata, sommersa. Il ché non vuol dire che sia scomparsa ma semplicemente che agisce su fronti più occulti che continuano tuttavia ad offrirle grossi profitti economici. In primo luogo, gli appalti di opere pubbliche: quindi, l'insinuarsi tra le imprese legali per ottenere, anche attraverso le minacce o la corruzione, l'aggiudicazione di appalti. Poi, il traffico di stupefacenti e tutte quelle attività similari che sono meno evidenti delle stragi e degli omicidi. Se omicidi vengono commessi - come recentemente è accaduto a Favara, in provincia di Agrigento - vittime ne sono essenzialmente i soggetti mafiosi stessi: nel caso citato, un uomo che aveva il controllo di un certo settore di appalti, eliminato da un gruppo più potente."

- Quali sono, invece, le principali debolezze dello Stato e della società civile nella lotta alla mafia?

"L'elemento più dolente è rappresentato a mio avviso dalla difficoltà che incontriamo nello scoprire fenomeni di economia distorta o di riciclaggio e cioè nell'appurare quei fatti di tipo economico sui quali è indirizzato l'interesse delle organizzazioni criminali. Un'altra debolezza, da parte dello Stato, è costituita dalla mancanza di mezzi economici: in questo momento di ristrettezze, i tagli si sono abbattuti anche sulle forze di polizia e sulla magistratura, le cui indagini vengono condotte attraverso tecnologie che richiederebbero invece grosse spese. Pensi, ad esempio, alle tecnologie per intercettare conversazioni satellitari o all'immensa mole di dati che alla Direzione Nazionale Antimafia dobbiamo analizzare per trovare i collegamenti tra le indagini stesse. Un terzo aspetto riguarda, come lei dice, la società civile. Il magistrato e le forze di polizia non hanno bisogno di applausi ma di un sostegno da parte della società civile si ed essa è capace di mobilitarsi prontamente quando si verifica un fatto eclatante come la strage o l'omicidio di un magistrato, di un poliziotto, di un funzionario di prestigio ma ciò che, diversamente, resta in sordina determina una sorta di distacco da quell'impegno. Distacco anche dei media, degli organi di informazione. Si produce così un circolo vizioso: i giornali scrivono ciò che la gente vuol leggere, la gente non ha attenzione per i fatti sommersi, che stanno sotto la linea d'ombra, dunque i giornali non ne parlano e la motivazione a combattere la criminalità viene meno."

- Maggiori risorse economiche ed un'attenzione costante degli organi di informazione consentirebbero dunque di elevare la qualità della lotta al crimine organizzato?

"Sicuramente, per quanto le debolezze che lei mi ha chiesto di enunciare non siano con ciò esaurite. Grande difficoltà, ad esempio, troviamo anche in un istituto molto importante quale la confisca dei beni mafiosi e il loro affidamento in gestione a cooperative di giovani. La legislazione in materia risale al '65 ed è stata rinnovata nel '96 ma ancora non si riesce ad agire con sufficiente rapidità e a garantire un controllo sul territorio: prima che un bene possa essere confiscato e assegnato passano anni e la stessa assegnazione non mette al riparo dalle possibili ritorsioni della mafia. Proprio di recente, un grosso vigneto nel territorio di Castelvetrano, assegnato a una cooperativa, il giorno dopo è stato dato alle fiamme. Se comunque, in conclusione, dovessi dire qual è la maggiore difficoltà, proprio in riferimento alla società civile intesa nel suo senso più largo, direi che si tratta del fatto che in certe zone del nostro Paese, anche in virtù di eventi storici, di tipi di cultura, le mafie hanno polarizzato su di loro la fiducia che le persone dovrebbero invece riporre negli organi istituzionali. Questo è il grande cammino di recupero che ancora dobbiamo compiere."

- In un intervento a Napoli, lei ha sostenuto che per battere la mafia è necessaria la solidarietà. Cosa intende dire?

"Solidarietà significa creare un legame tra la gente, a partire da tante, piccole cose. Parlando in termini semplici e concreti, vuol dire che quando qualcuno è vittima di un delitto chi passa di lì non si volti dall'altra parte ma lo aiuti. Che, ad esempio, quando una donna viene scippata della borsa dove aveva le chiavi di casa e i documenti, possa trovare qualcuno che le sostituisca immediatamente la serratura e le rifaccia subito i documenti o che il sindaco di un comune si impegni ad eliminare certi spazi bui dove si può annidare lo spaccio di sostanze stupefacenti per renderli praticabili alla gente. Solidarietà vuol dire, in sostanza, far valere questo concetto: che la sicurezza, ormai, non può più essere considerata un bene elargito dallo stato ma è un bene che tutti, insieme allo stato, dobbiamo contribuire a creare.

- Muovono in questa direzione iniziative come la creazione dellassociazione Libera, alla cui festa nazionale lei è quest'estate intervenuto?

"Libera è molto importante perché è stata capace di riunire in un'unica associazione migliaia di soggetti impegnati in un'opera di difesa della legalità. Rammento che anni fa proprio ad essa lanciai un messaggio: sono stanco, affermai, di sentire parlare di criminalità organizzata, bisogna cercare di iniziare finalmente a parlare di legalità organizzata. Tutte quelle isolette che formano un vasto arcipelago ancora diviso, però, dal mare dell'illegalità, si devono mettere insieme per creare, appunto, una organizzazione che difenda il diritto e la giustizia. E questo sta facendo Libera, grazie anche all'impegno poliedrico di una figura come don Ciotti, capace di operare in campi differenti come la scuola, la cultura, l'imprenditoria, l'editoria, facendone un intreccio di impegni solidali."

 

L'intervista, realizzata da Efisio Loi, è stata pubblicata dal sito www.writers.it

 

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