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Bill Clinton: delineare la missione del XXI secolo
11.11.2003

Discorso tenuto a New Haven, Connecticut, Giovedì 6 novembre 2003, sul tema 'Una comunità globale'

Cari Amici,

molte persone oggi parlano dell'epoca in cui viviamo come dell'era della globalizzazione, e per molti Americani ciò ha portato enormi vantaggi.

Negli otto anni in cui sono stato presidente, un terzo circa della crescita statunitense è scaturita dal commercio. Il fortissimo aumento della produttività del nostro paese è stato in buona parte alimentato dall'applicazione delle tecnologie dell'informazione in tutti i settori dell'economia, dalla possibilità di entrare in contatto con sempre più persone in tutto il mondo e dall'apertura delle nostre frontiere agli immigrati, che hanno continuato a portare energie al nostro sistema imprenditoriale. Tutto questo ha funzionato positivamente per noi. Ma l'interdipendenza non è per definizione buona o cattiva. Può essere l'una o l'altra cosa, o ambedue.

L'11 settembre 2001 i terroristi di Al Qaeda si sono serviti dei fattori positivi dell'interdipendenza - frontiere aperte, facilità di lavoro e di immigrazione, facile accesso all'informazione ed alla tecnologia - per trasformare degli aerei carichi di carburante in armi di distruzione di massa, uccidendo 3100 persone, di cui centinaia provenienti da 70 paesi stranieri e che si trovavano in America proprio per quei fattori positivi dell'interdipendenza. Più di 200 di quelle persone erano musulmane, a conferma della diversità razziale e religiosa del lato positivo di questa equazione.

La mia premessa di base è questa: il mondo interdipendente, con tutte le sue promesse, è inevitabilmente insostenibile perché è instabile. Non possiamo continuare a vivere in un mondo nel quale siamo sempre più dipendenti gli uni dagli altri senza disporre di una struttura che renda gli elementi positivi dell'interdipendenza preponderanti rispetto a quelli negativi.

Perciò ritengo che tutte le persone in grado di riflettere, ed in particolare gli Americani, debbano porsi e rispondere a tre domande: Come vedo il mondo del XXI secolo? Cosa dobbiamo fare per realizzarlo? E cosa deve fare l'America?

Penso che la grande missione del XXI secolo sia quella di creare un'autentica comunità globale, di passare dalla semplice interdipendenza all'integrazione e quindi ad una comunità che condivida responsabilità, vantaggi e valori. Come muoverci per costruire questo tipo di mondo?

Una delle responsabilità più importanti da condividere è la lotta per la sicurezza contro la logica del terrore, le armi di distruzione di massa, il crimine organizzato ed i narcotrafficanti. Ciò significa condividere la responsabilità di distruggere Al Qaeda e le reti terroristiche, riprendere il processo di pace in Medio Oriente, risolvere la questione delle armi nucleari della Corea del Nord, incoraggiare un nuovo dialogo tra India e Pakistan, operare per una transizione concreta verso l'autogoverno democratico in Iraq, aiutare paesi come la Colombia e le Filippine a sconfiggere la spirale del terrore. E significa anche fare uno sforzo globale per ridurre gli stock di materiali chimici, biologici e nucleari esistenti.

La seconda responsabilità da condividere è quella di costruire istituzioni di cooperazione globale in modo che per tutte le popolazioni diventi una consuetudine risolvere le reciproche differenze pacificamente, sulla base di regole e procedure ritenute giuste da tutti. Se non esiste una tale istituzione, sarà difficile promuovere la mentalità necessaria alla condivisione di responsabilità.

Ma dobbiamo anche condividere i vantaggi di un mondo interdipendente. Perché? Per esempio, se vieni da un paese ricco e con le frontiere aperte, a meno che tu non ritenga seriamente di poter uccidere, imprigionare o occupare tutti i tuoi nemici, devi creare un mondo ove ci siano più amici che nemici, più partner e meno terroristi.

Come vediamo ogni giorno in Iraq, gli Stati Uniti dispongono del più forte apparato militare del mondo. Possiamo vincere qualsiasi conflitto militare da soli, ma non possiamo costruire la pace da soli. E tutto ciò cosa significa? Tra le altre cose, significa che dobbiamo portare opportunità economiche al 50% della popolazione mondiale che vive con 2 dollari al giorno o meno. Significa scambiare di più con i paesi in via di sviluppo. Significa dare un aiuto maggiore che funzioni concretamente. Significa alleggerire ancora il debito che vincola lo sviluppo economico, l'istruzione e l'assistenza sanitaria. Significa finanziare progetti che costruiscano un'economia efficiente e sostenibile nei paesi poveri. Significa dare gli strumenti educativi a coloro che oggi non sono in grado di partecipare all'interdipendenza positiva.

Ho parlato con il segretario generale alle Nazioni Unite del lavoro che sto facendo per combattere l'AIDS in Africa e nella regione dei Caraibi. Saremo presto in grado di comprare medicine per 140 dollari all'anno per persona, ma abbiamo bisogno di finanziare lo sviluppo delle reti sanitarie perché quelle medicine servano a qualcosa. Non si tratta di grande scienza, ma semplicemente della possibilità di costruire un mondo dove ci siano più amici e meno terroristi. Sono assolutamente favorevole ad una forte posizione nei confronti della sicurezza, ma non possiamo uccidere, imprigionare o occupare tutti i nostri avversari reali o potenziali. Invece osserviamo che si sta pesantemente sottoinvestendo nella costruzione di un mondo con più partner.

Qual è allora la responsabilità dell'America? La mia idea è che gli Stati Uniti debbano cooperare con gli altri ogni volta che sia possibile, nei più ampi settori, ed agire da soli solo se vi siamo costretti. Nell'attuale governo americano i conservatori credono di poter agire da soli ogni volta che sia possibile e cooperare solo se devono.

Prendiamo ad esempio quelli tra noi che nell'ambito della collaborazione in Iraq avevano un atteggiamento abbastanza intransigente. Io ero d'accordo con la risoluzione dell'ONU dello scorso novembre che diceva a Saddam Hussein: "O lasci tornare nuovamente gli ispettori, oppure ti deponiamo". Non sono più stato d'accordo quando si è passati dalla "collaborazione ogni volta che sia possibile e agire da soli quando vi siamo obbligati" a "adesso che abbiamo il consenso dell'ONU decideremo quando dovranno finire le ispezioni di Hans Blix". L'ispettore ONU chiedeva quattro, cinque o sei settimane di più per terminare il suo lavoro, ma coloro che volevano il conflitto non volevano che terminasse e non hanno voluto lasciarglielo finire.

Credo ancora che sia necessario vedere se le Nazioni Unite sono in grado di mantenere la sicurezza in Iraq, chiedere alla NATO di essere a disposizione per questo e coinvolgere i paesi che si sono opposti al conflitto militare ma che fanno parte della NATO. Se essi accettano sarà provato che tutti noi abbiamo cercato di costruire una democrazia pluripartitica, multietnica e multitribale in Iraq. La maggior parte dei problemi che viviamo oggi non possono essere risolti con interventi unilaterali.

Infine desidero aggiungere solo una cosa. Credo che il fondamentalismo - ossia l'idea di possedere la Verità e la titolarità di imporla agli altri - non sia idoneo a risolvere i problemi del mondo attuale, sia nell'ambito religioso che in quello politico. È molto meglio trattare questi problemi servendosi dei fatti e delle argomentazioni, ed essere disposti a fare tentativi. Chi è mosso dall'ideologia compie facilmente degli errori. Il mondo è pieno di domande difficili che non hanno risposte facili. E chiunque non sia d'accordo con te non è per questo un nemico.

L'opposizione alla globalizzazione nel mondo trova radice nella sensazione di abbandono, di emarginazione e di calpestamento che alcune popolazioni avvertono da parte di altri paesi.

Se voi come me credete in un mercato aperto e che l'America abbia il grande dovere di aprire le sue frontiere ed investire di più nello sviluppo dei paesi poveri, dobbiamo conservare il supporto politico qui in America per poterlo fare. Ed il solo modo in cui possiamo farlo è far funzionare meglio la nostra economia e rendere più coesa la nostra società. E in America dobbiamo anche costruire una comunità integrata, altrimenti non avremo qui quel supporto politico per fare quello che dobbiamo nel mondo.

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Bill Clinton, l'autore, è stato il 42° presidente degli Stati Uniti.

Questa email è l'adattamento di un discorso tenuto da B. Clinton all'Università di Yale il 31 ottobre.

da  http://www.ulivoselvatico.org/evidenza/bill.htm

 

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