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Una proposta per l’Istituto Italiano di Tecnologia
20.11.2003

La proposta di creare anche in Italia un istituto di ricerca di eccellenza, l’Istituto italiano di tecnologia (Iit), ha suscitato finora soprattutto polemiche. Salvo poche eccezioni, la comunità scientifica nazionale ha ritenuto l’iniziativa inutile e velleitaria, oltre che una sottrazione di risorse agli istituti di ricerca già esistenti e alle università.

Il premio Nobel Carlo Rubbia, presidente dell’Enea, intervistato dal Corriere della Sera, ha detto: "Nei discorsi che si ascoltano negli ultimi tempi ci si dimentica degli uomini e delle donne che fanno ricerca. Inseguiamo modelli stranieri ma intanto da tre anni sono bloccate le assunzioni e oggi l'età media di chi lavora è intorno ai cinquanta anni, quindi fuori gioco. Nel frattempo ci sfuggono le nuove generazioni dalle quali nascono i risultati". Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori, ha dichiarato che l’Iit è un oltraggio all’università. Adriano De Maio, commissario del Cnr, ha accusato Tremonti di non avere stima e considerazione per il sistema di ricerca pubblico. E Giorgio Squinzi, vicepresidente della Confindustria con delega a innovazione e ricerca, ritiene semplicemente che sarà un altro carrozzone.

Molti avevano sperato che l’Iit sarebbe caduto nel corso della discussione sull’approvazione della Finanziaria e che i fondi previsti sarebbero stati dirottati altrove. Così non è stato: sembra che l’Iit si farà. Cerchiamo dunque di formulare alcune proposte, visto che le caratteristiche del nuovo istituto non sono affatto definite. Lo sblocco delle assunzioni dei ricercatori e l’aumento degli stanziamenti per l’università consentono di parlarne in modo più pacato.

Promuovere l’eccellenza nella ricerca

Il decreto indica come obiettivo della nuova istituzione: "lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico del paese e l’alta formazione tecnologica, favorendo così lo sviluppo del sistema produttivo nazionale. A tal fine la fondazione instaura rapporti con organismi omologhi in Italia e assicura l’apporto di ricercatori italiani e stranieri operanti presso istituti esteri di eccellenza". Allo scopo vengono destinati cinquanta milioni di euro nel 2004, e cento per ciascuno dei dieci anni successivi, cioè una dotazione complessiva di oltre un miliardo di euro.

Non si può non condividere l’obiettivo di "promuovere lo sviluppo tecnologico del paese e l’alta formazione tecnologica". Ed è chiaro che, per raggiungerlo, occorre destinare risorse specifiche per promuovere l’eccellenza e l’internazionalizzazione, evitando la dispersione dei fondi, l’elefantiasi burocratica e la drammatica chiusura nei confronti dei ricercatori esterni. È inevitabile, oltre che auspicabile, che premiando in modo significativo i migliori scienziati, emergerà un sistema a due velocità. I centri di ricerca e i dipartimenti di eccellenza avranno più risorse. A essi si affiancheranno sedi universitarie in cui non verrà prodotta ricerca di frontiera e che avranno quindi pochi fondi. Non vediamo in ciò nulla di scandaloso. Premiare il merito e la capacità di produrre risultati scientifici di rilievo è l’unico modo per uniformarsi a quanto già avviene in altri paesi, superare i ritardi e competere internazionalmente.

L’Iit deve essere valutato rispetto a questi obiettivi. La vera domanda da porsi è se sarà in grado di perseguirli.

Un progetto nebuloso

Il decreto non indica i settori di intervento, i dipartimenti da creare, i laboratori da attivare. Non vi sono esplicite adesioni di scienziati di fama disposti a lavorarvi. Non è definito se l’Iit ospiterà nuovi laboratori e strutture di ricerca, se sarà una rete di istituti e laboratori di eccellenza, o se invece finanzierà centri già esistenti. Il testo è talmente vago che ogni ipotesi è legittima. Non è nemmeno stabilita la sede del nuovo istituto. E infatti è già iniziata la gara per ospitarlo: Pisa, Genova e altre città se lo contendono. Se non sono chiari gli indirizzi del nuovo istituto, come è possibile scegliere o persino proporre una sede?

Un progetto così vago è una delega in bianco al ministro del Tesoro e a quello della Ricerca.

Il nuovo ente, sostenuto con fondi pubblici, avrebbe meritato ben altra istruttoria: un comitato scientifico internazionale, un progetto di fattibilità, una stima dei costi, l’annuncio di obiettivi credibili, un gruppo di scienziati disposti a sostenerlo. Poi una gara tra le città interessate a ospitarlo. La trasparenza degli obiettivi, delle procedure e dei criteri non è solo un dovere del processo democratico di formazione delle leggi. In casi come questo, contribuisce a dare il tono della serietà e della credibilità della proposta e della sua stessa probabilità di successo nella comunità scientifica internazionale.

Quali garanzie per la gestione?

Considerate le propensioni di molti politici italiani, la domanda se l’Iit sarà l’ennesimo carrozzone è legittima.

L’Iit è di fatto sottoposto ai politici che nomineranno il commissario unico e il comitato di indirizzo. Gli stessi politici poi stenderanno lo statuto. A disegnare la struttura e le modalità di funzionamento dell’Iit, dunque, non sono stati chiamati gli scienziati che pure dovrebbero assicurarne il successo. Né è un bene che l’Iit sia percepito come iniziativa di una sola parte politica, perché in futuro potrebbe essere a rischio la sua stessa sostenibilità finanziaria. Ed è un cattivo segnale per il futuro il fatto che non sia stata prevista alcuna modalità per misurare il successo dell’iniziativa e condizionare l’ulteriore erogazione di fondi al raggiungimento dei risultati. Ad esempio, si sarebbe potuto stabilire che, se nel giro di alcuni anni l’Iit non sarà fra i primi dieci istituti al mondo in almeno due o tre settori di ricerca, esso verrà chiuso. Solo un obiettivo ambizioso è in grado di creare buone regole di gestione e comportamenti virtuosi.

L’Iit si aggiunge o sostituisce il sistema pubblico di ricerca?

È probabile che se dovesse funzionare come un centro di ricerca autonomo, l’Iit assorbirebbe inizialmente alcuni ricercatori che già lavorano in Italia, oltre che scienziati provenienti dall’estero. Questi ricercatori saranno sottratti all’università italiana, che risulterà impoverita di alcuni dei suoi elementi migliori e più dinamici. Per il sistema della ricerca in Italia, non si tratterà quindi di un beneficio netto.

Sarà un nuovo Mit?

Inutile suscitare troppe emozioni o aspettative. Nel 2002-03 il budget del Mit è stato di oltre due miliardi di dollari, cioè di oltre venti volte superiore a quello del nuovo Iit. Dati gli attuali bilanci delle università italiane, cento milioni di euro all’anno sembrano molti, ma in confronto ai centri di eccellenza mondiali la scala dell’iniziativa è modesta. Difficile con questi mezzi attirare ricercatori di fama internazionale e costituire un polo di eccellenza. Progetti significativi e agglomerazioni di risorse nel settore della ricerca sarebbero possibili su scala europea ma, inspiegabilmente, questa strada non è stata percorsa.

Una proposta

Ma lo stesso decreto, proprio perché così vago, consentirebbe di strutturare il nuovo istituto in modo completamente diverso.

Invece di creare un nuovo polo di ricerca, l’Iit potrebbe premiare i nostri migliori centri di ricerca, stimolando la concorrenza tra loro.

Il modello potrebbe essere quello del Canada Research Chairs Program Il programma, dal costo di 900 milioni di dollari, istituisce presso le università canadesi duemila cattedre di eccellenza (di cui 926 già assegnate). Le cattedre possono essere attribuite a scienziati di qualsiasi nazionalità, già presenti in Canada o provenienti dall’estero. Le proposte delle università vengono vagliate da un comitato scientifico internazionale, e l’assegnazione è basata rigorosamente sul merito e sulla qualità del programma di ricerca presentato. Gli stipendi variano dai 100mila dollari per i giovani ricercatori (per cinque anni, con una sola possibilità di un rinnovo) ai 200mila per scienziati già affermati sul piano internazionale (per sette anni, con più possibilità di rinnovo). Fondi aggiuntivi sono previsti per la ricerca e i laboratori.

Se i fondi dell’Iit fossero spesi con queste modalità, pienamente compatibili con gli obiettivi del decreto, si riuscirebbe allo stesso tempo a valorizzare il patrimonio di talenti già presenti nelle nostre università e attrarre dall’estero altri scienziati (italiani o stranieri). Inoltre, non si dovrebbero sostenere i costi fissi di un nuovo centro di ricerca: invece si premierebbero con risorse aggiuntive i centri di eccellenza già esistenti. Infine, si aprirebbe finalmente una salutare concorrenza nel nostro sistema di ricerca, cosa di cui oggi si sente l’assoluta mancanza. Siamo certi che una proposta di questo tipo susciterebbe intorno all’Iit un più ampio consenso di quello registrato finora.

di Tullio Jappelli e Marco Pagano

da www.lavoce.info

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