Non è certo un caso che Patto di stabilità venga attaccato durante il periodo elettorale in Germania. Accusare Bruxelles per coprire i problemi politici interni è diventata una consuetudine dei governi della UE.
Il dibattito offre comunque l’opportunità di discutere gli eventuali limiti del Patto di Stabilità .
Due punti principali
Il primo riguarda l’esigenza di distinguere la componente ciclica da quella strutturale del deficit ed eventualmente indicare un tetto (oggi del 3%) soltanto per la parte strutturale.
Il secondo concerne la cosiddetta "golden rule", ovvero l’idea secondo la quale gli investimenti pubblici dovrebbero essere scorporati dal computo del deficit. Questi punti hanno implicazioni sia economiche che politiche.
Gli aspetti puramente economici
Una volta stabilito che la filosofia generale del Patto di stabilità sia giusta, cosa si può dire delle regole specifiche che esso impone? Alla Germania è stato chiesto un aggiustamento fiscale nel periodo di rallentamento dell’economia. Secondo le stime della Commissione Europea, per la Germania e per molti altri paesi europei il peggioramento del deficit è dovuto ad una crescita nettamente inferiore a quella prevista nei programmi di stabilità .
In realtà , la politica discrezionale tedesca è stata restrittiva poichè il peggioramento effettivo del deficit è stato inferiore a quello spiegato dalla minore crescita del PIL, ovvero dalla componente ciclica. Da qui vengono le critiche che sostengono che la componente ciclica andrebbe scorporata dal tetto sul deficit.
Va ricordato che la logica del Parola del Patto di stabilità prevedeva tali problemi, ma assumeva che partendo da deficit vicino a zero, le fasi recessive non avrebbero comportato problemi nel soddisfare il tetto del 3%. Ma è stato sufficiente un rallentamento dell’economia e non una recessione per portare il deficit tedesco vicino alla soglia del 3%. Il tetto del 3% ex post ha dei limiti fondamentali. Oggi vediamo i suoi problemi in una fase di rallentamento, ma lo stesso accadrebbe anche in fase di crescita. Quando le economie sono in espansione, infatti, non vi è alcuna garanzia che vengano generati dei surplus di bilancio.
Il problema è che le regole di politica fiscale dovrebbero essere applicate ai programmi di spesa nominali e gli obiettivi di deficit dovrebbero valere soltanto ex ante.
Questo è quanto accade già in molti paesi, ad esempio nel Regno Unito. Per costruzione, la regola di spesa sarebbe anti-ciclica e coerente con gli obiettivi di inflazione della BCE. Ogni paese dovrebbe dichiarare nel proprio programma di stabilità l’ammontare di spesa coerente con la crescita di medio periodo dell’economia (la cosiddetta crescita potenziale già calcolata per determinare il deficit ciclico) e con l’inflazione attesa dalla BCE. Se l’economia dovesse crescere al di sotto della crescita potenziale la spesa pubblica crescerebbe ex post, in relazione al PIL, dando origine ad un deficit. L’opposto si verificherebbe in caso di espansione. Le entrate dovrebbero muoversi proporzionalmente al PIL e modifiche di aliquote o sgravi fiscali dovrebbero essere compensati da riduzioni della spesa. La regola sarebbe omogenea per ogni paese, ma terrebbe conto della diversa dinamica del PIL potenziale. Inoltre, i diversi livelli iniziali del rapporto debito- PIL dovrebbero essere incorporati nella regola. La verifica della realizzazione dei piani sarebbe semplice e senza possibilità di diverse interpretazioni. L’organo di controllo verificherebbe che il paese abbia speso l’ammontare di Euro programmato.
Gli aspetti politici: il nuovo ruolo di Bruxelles e l’esempio inglese
L’adozione di tale regola modificherebbe il ruolo di Bruxelles. L’organo di verifica dovrebbe essere costituito da auditors indipendenti. I paesi della UE dovrebbero approvare l’auditor scelto da ogni paese. La Commissione Europea verificherebbe soltanto la coerenza dei piani di spesa e le relazioni degli auditors. Scostamenti significativi dai piani programmati dovrebbero far scattare automaticamente le penalizzazioni. In sostanza, la regola renderebbe responsabili i paesi della loro politica fiscale e il ruolo di Bruxelles sarebbe del tutto marginale. Oggi, invece, esiste un ampio margine di discrezionalità nel Consiglio dei Ministri.
Il secondo punto sollevato è quello della "golden rule". Anche in questo caso sarebbe sufficiente guardare all’esempio inglese. In Inghilterra la "golden rule" è stata uno strumento importante per il recupero delle infrastrutture che nel periodo thatcheriano erano cadute a livelli da paese del Terzo Mondo. La "golden rule", però, non va vista come una scusa per allentare il vincolo totale sulla spesa, ma deve essere coerente con un deficit complessivo compatibile con gli obiettivi di medio periodo di stabilità e crescita. Ad esempio, per un paese come l’Italia che dovrebbe ridurre il rapporto fra debito e PIL, il bilancio pubblico totale dovrebbe essere tendenzialmente in avanzo. La "golden rule" garantirebbe che l’aggiustamento di medio periodo venga effettuato attraverso una riduzione delle spese correnti. L’applicazione della "golden rule" nel Regno Unito negli ultimi anni è avvenuta mantenendo un bilancio pubblico totale vicino al pareggio.
L’allargamento della UE
Infine, il problema dell’allargamento della UE, questione totalmente assente nel dibattito sulle modifiche del Patto di Stabilità . Le attuali regole non sembrano compatibili con l’ingresso dei paesi candidati, previsto all’inizio del 2004. Per molte nazioni dell’Europa centro-orientale rispettare il vincolo del 3% è praticamente impossibile, a meno di dannosi aggiustamenti dell’ultimo momento. Tali paesi hanno registrato deficit pubblici dell’ordine del 4-5% del PIL in un periodo di crescita. L’ingresso nella UE comporterebbe spese stimate dalla Banca Mondiale attorno al 2% all’anno per il prossimo decennio. Il livello degli investimenti pubblici è in molti casi triplo di quello dei paesi della UE e ciò si giustifica con le esigenze di ammodernamento delle infrastrutture. E’ dunque probabile che i nuovi aderenti alla UE si troveranno al momento del loro ingresso con deficit strutturali nettamente superiori al 3%. In caso di recessione tali deficit potrebbero raggiungere livelli impensabili.
In conclusione, la posizione di chi suggerisce di mantenere lo status quo è solo apparentemente di buon senso. Non modificare le regole, accettando eventualmente di interpretarle in maniera più flessibile, un po’ all’italiana, è una ricetta per destabilizzare l’Unione Europea.
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Sul Patto di Stabilità e Crescita vedi anche:
Francesco Giavazzi, Un patto per far crescere l'Europa
Che cos'è e come funziona il Patto di StabilitÃ
Le proposte di riforma
All'indirizzo http://ue.eu.int/emu/it/index.htm, sotto la voce "L'euro e la politica economica", è possibile consultare la risoluzione del Consiglio Europeo di Amsterdam del 17 giugno 1997 e i regolamenti del 7 luglio 1997, relativi al Patto di Stabilità e Crescita.
di Fabrizio Coricelli e Valerio Ercolani
da www.lavoce.info