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Io dico: astensione (di G. Tamburrano)
29.04.2003
(da l’Unità del 29 aprile 2003)
Il dibattito sul referendum sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è partito male e si sta sviluppando peggio. E’ partito male: l’argomento dei proponenti secondo i quali non si possono privare milioni di dipendenti delle piccole imprese di diritti riconosciuti ai lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti è capzioso.

Le eccezioni ai diritti sono numerose nel sistema. giuridico e sono determinate da situazioni particolari. Ho partecipato alla elaborazione dello Statuto dei lavoratori, a partire dalla legge sulla giusta causa e sul giustificato motivo, attuato e ricordo che l'esclusione delle piccole imprese dalla tutela del reintegro non creò gravi lacerazioni. A parte le considerazioni di carattere economico, ve ne, è una che era ed è decisiva: in una piccola azienda, in uno studio professionale, i rapporti tra il datore di lavoro ed il dipendente sono di natura prevalentemente personale ed è difficile che dopo una rottura seguita dal licenziamento possano tornare relazioni di collaborazione in seguito al reintegro da parte del giudice.


L’argomento dei proponenti - un diritto non può essere negato a tanti lavoratori - è, in questo tipo di rapporto, un caso classico di “summum ius, summa iniuria” (che ricorda gli effetti devastanti e perversi del formalismo).


Ecco perché, portato istintivamente, per ragioni ideali ed etiche, a votare “si”, rifletto e dubito. E dubito anche perché vedo i fini politici di Bertinotti: “Il referendum è stato pensato ed attuato contro la CGIL” ha scritto Carlo Grezzi sull’Unità del 27 aprile ( ed io aggiungerei contro la maggioranza dei DS e grosso modo del centro-sinistra). Dubito, ma non riesco a decidere per il “no” perché non me la sento di negare diritti a tanti lavoratori. E vorrei, inoltre, che ci si battesse per nuove norme che introducano tutele generalizzate ed articolate per tutti i tipi di lavoro, funzionali ed efficaci nel moderno mercato.


Questo referendum è un grosso macigno sulla via maestra di un impegno unitario per la riforma del mercato del lavoro e si deve cercare di aggirarlo, di evitare di sbatterci contro dividendosi tra il “si” ed il “no”: potrebbe essere una - un’altra - lacerazione gravissima su una questione che non può essere isolta nel referendum ma solo da una nuova legge.


Insomma la vittoria del “si” o del “no” è ugualmente unfausta. La scelta della scheda bianca è, poi, una non scelta che salva la coscienza; ma, contribuendo a far scattare il quorum, fa andare il risultato verso Scilla (“si”) o cariddi (“no”). Lasciare “libertà di voto” è infine un noin senso per di più piratesco: la libertà di voto non ce la danno i partiti, i quali non si possono chiamare furoi da una contesa così rilevante.


Propongo che i partiti del centro-sinistra, a cominciare dal maggiore e più vulnerabile di essi, i DS, facciano campagna aperta ed attiva per l’astensione.


Qualcuno ha scritto: è diserzione. Non è vero.


La Costituzione stabilisce che il referendum abrogativo è valido solo se al voto partecipa la metà più uno degli aventi diritto. E’ una norma, il quorum, prevista solo per il referendum abrogativo e per nessun altro tipo di votazione e perciò ha un suo particolare valore: è una norma che dà all’astensione un effetto giuridico rilevante, ne fa un voto di pari importanza del “si” e del “no”: il “si” approva, il “no” respinge, l’astensione invalida.


La proposta va motivata, ma non è difficile farlo. Se non scatta il quorum non si avrà nessuna conseguenza infausta, né quella economica del “si”, né quella etico-politica del “no”.


Coloro che, a partire da Cofferati, sono stati, e a ragione, contro il referendum, se non sono riusciti a fermarlo alla partenza, possono fermarlo all’arrivo.


Una motivazione come quella offerta dall’astensione evita la divisione tra “si” e “no”, aggira il macigno, favorisce l’unità fra coloro - la stragrande maggioranza del centro-sinistra - che vedono il referendum come il fucmo negli occhi e si rendono conto che questa è una battaglia di retroguardia che rende più impervio il cammino verso la riforma del mercato del lavoro.


Se posso azzardare una previsione, il “no” e la scheda bianca, se contribuiscono a far scattare il quorum, fanno vincere Bertinotti. E mi chiedo: perché, invece di aggirare il macigno, dobbiamo infilare la testa nel cappio preparato da Bertinotti?

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