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Il lavoro nel pubblico impiego- Una indagine dell'Aran
2.12.2003

Il lavoro nel pubblico impiego / Un'indagine dell'Aran

Università ed enti locali puntano sulla flessibilità

di Davide Orecchio

La flessibilità entra nella grande dimora dell'amministrazione pubblica e si accasa nelle stanze dell'università e degli enti locali. Sono queste due famiglie della PA a fare la parte del leone nel ricorso a contratti di lavoro flessibile (tipici e atipici), comunque adoperati anche dagli altri comparti del pubblico impiego. E' quanto emerge da un'indagine ancora non definitiva sul conto annuale del personale delle pubbliche amministrazioni (esclusi il comparto scuola e i profili dirigenziali) per gli anni 2000 e 2001 pubblicata sul sito dell'Aran (l'agenzia negoziale del pubblico impiego).

I rapporti di forza sono evidenti. Nelle università, sul totale dei rapporti e dei contratti di lavoro, il 60% sono assunzioni a tempo indeterminato e il 40% si divide tra i vari istituti flessibili (co.co.co., tempo determinato, part time ecc.). Negli enti locali la forbice si allarga: 80% il lavoro tradizionale e 20% quello flessibile. Negli enti di ricerca il rapporto è 77% contro 23%; nella Sanità 89% contro 11% e nei ministeri 92% contro l'8% circa.

Ad ogni modo nel complesso dell'amministrazione pubblica il lavoro a tempo indeterminato resta ancora predominante con l'85% dei rapporti contro un 15% di contratti flessibili.

Nel 2001 il 21,17% dei rapporti di lavoro nelle università italiane (quasi 20 mila contratti) si è basato su contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Le co.co.co. hanno raggiunto un'alta percentuale anche nelle autonomie locali (circa l'8% dei rapporti di lavoro, 57 mila) e negli enti pubblici di ricerca (5%). Di contro, i contratti atipici non hanno sfondato nei ministeri (0,08%, circa 200 rapporti) e nel servizio sanitario (0,72%, 4 mila rapporti).

L'incidenza della flessibilità "atipica" nell'università è spiegata anche dal fatto che l'attuale normativa (che ora, con la legge 30 sul mercato del lavoro, sarà comunque modificata) consente il ricorso alle co.co.co. nel pubblico impiego solo per acquisire figure di "provata competenza" (come ad esempio ricercatori e docenti a contratto), e lo vieta invece per mansioni di livello medio-basso. Ad ogni modo - secondo quanto rilevato dall'indagine - anche le forme "tipiche" di flessibilità hanno avuto un bel peso. Sempre nel 2001 regioni e autonomie locali hanno usufruito di 35 mila lavoratori a tempo determinato (circa il 5% della forza lavoro totale) e di 32 mila part time (il 4,78%). Nelle università, invece, le assunzioni a tempo determinato sono state circa 13 mila (il 14% degli occupati complessivi) e le prestazioni a tempo parziale quasi 3.500 (il 3,82%).

Nei ministeri i contratti a termine sono stati circa 6 mila (il 2%) e i part time 14 mila (il 5%), mentre nella Sanità sono stati firmati 24 mila contratti a termine (il 4% circa) e 36 mila part time (quasi il 6%).


Male interinale e formazione lavoro
L'indagine registra invece il flop dell'interinale e della formazione lavoro. Le percentuali del ricorso a questi istituti non superano in nessun comparto lo zero e rotti per cento. Un fallimento che i curatori della ricerca addebitano soprattutto al meccanismo legato a tali contratti, che è "certamente più complesso ed anche più oneroso finanziariamente - si legge nel testo dell'indagine -: occorre avviare una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve essere sottoscritto un contratto di fornitura con relativo capitolato, occorre sopportare oneri aggiuntivi per compensare il servizio reso dall'agenzia fornitrice". La ricerca dell'Aran sottolinea inoltre la "novità" dell'interinale al cui riguardo "gioca un ruolo importante anche la maggiore lentezza delle pubbliche amministrazioni ad innovare sul piano delle procedure interne e delle routine organizzative".


Il part time il più gettonato
La forma di flessibilità in media più gettonata nell'amministrazione pubblica resta il part time, che raggiunge quasi il 5% del totale dei rapporti di lavoro (87 mila). Seguono il tempo determinato col 4,69% (quasi 83 mila) e le co.co.co. col 4,68% (82 mila circa). Limitando l'analisi solo ai rapporti di lavoro flessibile, il part time si è ricavato nel 2001 una fetta del 35%. Co.co.co. e tempo determinato si sono fermati entrambi al 32% del totale dei contratti flessibili, l'interinale non ha superato l'1% e la formazione lavoro si è fermata addirittura allo zero per cento. Il risultato del part time è dovuto - spiega l'indagine - "anche al quadro legale e contrattuale di riferimento che ha notevolmente incentivato il ricorso da parte dei lavoratori a tale tipologia di prestazione lavorativa" e anche perché il part time "assume il carattere di forma contrattuale 'scelta' dai lavoratori per conciliare le proprie esigenze familiari e personali con il lavoro".

I contratti a tempo parziale sono stati utilizzati massicciamente nei ministeri, dove hanno sfiorato il 70% del lavoro flessibile (mentre il restante 30% è andato al tempo determinato, e solo l'1% alle co.co.co.); non hanno superato il 26% nelle autonomie locali (con le co.co.co. al 45% e il tempo determinato al 27%); e si sono fermati al 10% nelle università (co.co.co. 54%, tempo determinato 36%).


Uomini e donne
Il part time è femminile. Il lavoro a tempo determinato è maschile. Questo il dato che si evince dall'indagine dell'Aran. "L'analisi sul part-time - si legge - evidenzia una netta prevalenza di lavoro femminile (più del 70%), da mettere in relazione, evidentemente, con la particolare natura di questo istituto, affermatosi soprattutto come forma flessibile utilizzata dai lavoratori per conciliare esigenze di vita e familiari ed esigenze di lavoro. Naturalmente, il dato segnala anche il maggior impegno delle donne nel farsi carico delle cosiddette esigenze familiari. Sul tempo determinato, si registra una prevalenza di lavoro maschile (55%). Mentre, tra le nuove flessibilità (formazione e lavoro, interinale) - dove, presumibilmente, pesano di più le nuove generazioni - è il lavoro femminile a prevalere (più del 60%)".


Con la legge 30 pubblico e privato tornano lontani
Queste analisi, condotte sugli anni passati, non possono trascurare un fatto fondamentale: l'introduzione della legge 30 sul mercato del lavoro, che non solo modifica il profilo delle flessibilità ed estingue (o almeno così dovrebbe) i contratti atipici, ma rinnova completamente la loro applicazione nel pubblico impiego in modi e forme che ancora devono scaturire dalla contrattazione tra le parti. A questo proposito gli autori dell'indagine sottolineano che "le pubbliche amministrazioni vivono con notevoli incertezze l'attuale fase di riforma del mercato del lavoro, poiché la nuova disciplina che ha profondamente rinnovato il quadro legale dei diversi istituti si applica solo parzialmente - e con non pochi problemi interpretativi - al settore pubblico". "Sembrerebbe dunque - conclude la ricerca - che, dopo un periodo di sostanziale equiparazione tra le regole vigenti nel pubblico e nel privato (pur con alcune differenziazioni), si avvii oggi, con il nuovo decreto di riforma, una fase in cui i due mercati del lavoro (pubblico e privato) tornano ad essere sensibilmente differenziati".

fonte : www.rassegna.it

(27 novembre 2003)








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