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La sentenza Previti ed un articolo di Marco Travaglio
29.04.2003

da www.unita.it

Undici anni di reclusione a Cesare Previti e a Attilio Pacifico, 13 anni a Vittorio Metta, l'ex capo dei gip romani Renato Squillante condannato a otto anni e sei mesi, 5 anni e 6 mesi all'avvocato Giovanni Acampora, a 6 anni di reclusione condannato Felice Rovelli mentre la madre, mentre Primarosa Battistella, vedova di Rovelli, ha avuto 4 anni e 6 mesi. Un solo assolto: l'ex giudice Filippo Verde. Con questa pesantissima sentenza, che accoglie in gran parte le richieste della pubblica accusa, si è chiuso sabato sera dopo otto ore di camera di consiglio e tre anni di dibattimenti.


**********

Vendute e comprate, la lunga storia delle sentenze Imi-Sir
di Marco Travaglio

Un foglietto con gli estremi di un bonifico bancario: 240 milioni girati nel 1994 da Felice Rovelli all'avvocato romano Attilio Pacifico, braccio destro di Cesare Previti. Il giallo dell'Imi-Sir parte di lì, da quel bigliettino rinvenuto quasi per caso dagli agenti del Servizio centrale operativo della polizia, il 12 marzo 1996, nell'ufficio di Pacifico appena arrestato.

O meglio: riparte di lì, perchè era cominciato 15 anni prima. Nei primi anni ‘80, quando Nino Rovelli - petroliere andreottiano, quello degli «assegni del Presidente» di cui parlò Mino Pecorelli poco prima di morire ammazzato - fece bancarotta con il suo impero, la Sir.

E se la prese con l'Imi, la banca pubblica che a suo dire l'aveva mandato in rovina promettendogli finanziamenti e poi negandogli. Iniziò così una lunga e tortuosa partita giudiziaria che si sarebbe conclusa provvisoriamente nel 1994 per riaprirsi nel 1996, grazie a quel bigliettino. Una via crucis dalle infinite stazioni ricostruita, quasi minuto per minuto, da Ilda Boccassini in base ai documenti e alle deposizioni processuali.

Primo grado.

La prima sentenza l’emette il tribunale civile di Roma, nel 1986, e dà ragione alla Sir: l'Imi le deve un risarcimento, da quantificare separatamente. Presiede il collegio il giudice Filippo Verde, amico di Previti e socio di Pacifico, che gli regala telefonini, gli mette a disposizione una stanza d'albergo per le trasferte al tavolo verde, e soprattutto gli gestisce un conto in Svizzera (Master 811) dove ogni tanto versa qualche centinaio di milioni. Giudici a latere, Aida Campolongo, fedelissima di Verde; Paolo Zucchini, iscritto alla loggia P2, titolare di un conto a Montecarlo dove risulta almeno un versamento di Pacifico per 200 milioni (slegati però dalle cause). Del risarcimento si occupa nel 1989 un altro collegio, presieduto da un giudice al di sopra di ogni sospetto: Carlo Minniti. Studia le carte, ne conclude che i colleghi hanno sbagliato: medita di ribaltare il primo verdetto, intanto disporrà una perizia per vederci più chiaro.

Alla vigilia dell'udienza decisiva, il 4 aprile, lo convoca il presidente della Corte d'appello, Carlo Sammarco, per sondare le sue intenzioni. Strana curiosità, visto che non è lui il capo di Minniti. Ma questi, ingenuamente, gli confida quel che farà. Il 4 aprile mattina tutto è pronto per l'udienza, senonchè il presidente Minniti riceve una telefonata dal ministero della Giustizia. Lo vogliono subito lì per una riunione, urgente e improrogabile, sull'edilizia carceraria, e da Via Arenula non sentono ragioni. Deve andare. Si fa sostituire da una collega, pregandola di prendere tempo in attesa del suo ritorno.

La riunione ministeriale si rivela poi una bufala: dura un'oretta, non viene verbalizzata: aria fritta. Minniti si precipita in tribunale, e qui scopre che la collega non solo non ha rinviato, ma ha chiuso l'udienza sentenziando sul risarcimento: 670 miliardi, denaro pubblico. Chi è la collega sostituta che ha firmato l'incredibile sentenza? La Campolongo, fedelissima di Verde. E chi è il funzionario che ha convocato Minniti al ministero, per quella riunione-fantasma? Filippo Verde, nel frattempo promosso capo di gabinetto del ministro Giuliano Vassalli.

Il primo ricorso dell’Imi

Secondo grado. L'Imi ricorre in appello e in Cassazione, e questa le dà ragione, annullando la prima sentenza Verde con toni piuttosto categorici. Ma nel novembre 1990 la Corte d'appello di Roma, ignorando la Cassazione, torna a dare ragione alla Sir: 1000 miliardi alla Sir. Chi scrive la sentenza? Il giudice Vittorio Metta, amico di Acampora, autore della sentenza che annullava il lodo Mondadori (consegnando la casa editrice a Berlusconi), che di lì a poco andrà in pensione e subito otterrà una consulenza da 100 milioni all'anno come avvocato nello studio di un altro amico: Cesare Previti.

Terzo grado. L'Imi ricorre in Cassazione. E qui accade di tutto. Gli avvocati della Sir, pur possedendo tutte le carte della causa, chiedono alla cancelleria del Palazzaccio copia di ogni foglio. Migliaia e migliaia di pagine. Poi presentano una strana richiesta: controllare se, dal fascicolo, non sia per caso scomparsa la «procura speciale ad litem» della controparte. Cioè quel foglietto che gli avvocati allegano ai ricorsi, con la delega rilasciata dal cliente per rappresentarlo in giudizio.

I giudici controllano così, pro forma, e invece scoprono che quegli avvocati hanno doti divinatorie: la procura è sparita. Partita chiusa, sostiene la Sir: niente procura, niente ricorso Imi. Definitiva la sentenza d'appello, quella firmata da Metta, con relativo risarcimento. L'Imi presenta due denunce per la sottrazione del documento, entrambe vengono archiviate dall'ufficio Gip, diretto da Renato Squillante (che per la prima denuncia si batte per un'archiviazione «per insussistenza del fatto», e non solo perchè ne erano rimasti ignoti gli autori). In Cassazione si tenta di salvare il salvabile. L'udienza davanti alla I sezione civile è fissata per il 29 gennaio 1992. Il presidente, Giancarlo Montanari Visco, è un giudice all'antica, tutto d'un pezzo: viene subito eliminato con una lettera anonima, che lo accusa falsamente di frequentare amici dei Rovelli. Si astiene e nomina un collega altrettanto perbene: Giuseppe Scanzano. Il quale manda gli atti alla Consulta, sollevando eccezione di incostituzionalità sulla norma che vieta di esaminare i ricorsi sprovvisti di procura ad litem; siamo nel febbraio del '90. In novembre, la Corte costituzionale risponde picche: niente procura, niente ricorso. Chi firma la sentenza che chiude la partita a favore dei Rovelli? Il giudice costituzionale Antonio Baldassarre, altro amico di Previti.

La palla torna dunque alla Cassazione, dove un terzo presidente, Mario Corda, tenta un'ultima carta: modificare la giurisprudenza in punta di diritto e tentare di esaminare ugualmente il ricorso dell'Imi. Studia il fascicolo nei dettagli, e prepara per gli altri quattro giudici del collegio un appunto manoscritto. L'appunto, segretissimo, viene fotocopiato in quattro esemplari e recapitato in buste sigillate nelle caselle postali dei colleghi. Qualcuno, però, lo passa all'esterno: al solito corvo, che torna a farsi vivo con un altro anonimo, che infatti scrive subito a Corda e al primo presidente della Cassazione per avvertirli di possedere una copia del manoscritto. Corda potrebbe essere accusato di aver anticipato la sua decisione, e venire ricusato. Ma ormai la puzza di complotto intorno al caso Imi-Sir è tale che il presidente tiene duro, e prospetta al primo presidente una soluzione: scriverà una lettera di dimissioni, che il capo gli respingerà. Il capo dice di procedere. Poi, anzichè respingere le sue dimissioni, le accoglie. Chi è il primo presidente? Antonio Brancaccio, altro buon amico di Previti.

Il debito di Rovelli

Così «salta» anche il quarto presidente. Minniti, Montanari Visco, Scanzano e ora Corda. Il sostituto, Vincenzo Salafia, decide di finirla lì, dichiara improcedibile il ricorso dell'Imi e il 27 maggio 1993 la condanna definitivamente a pagare 1000 miliardi alla Sir. Quattro giorni dopo, il 31 maggio, l'anonimo corvo recapita ai giudici, impegnati nella motivazione della sentenza, la procura speciale dell'Imi in originale, ma priva del margine sinistro e del lembo superiore (dove di solito si appongono i timbri di deposito). Il collegio si divide: due sono per riaprire il caso, due per lasciare le cose come stanno.

Il presidente si schiera con i secondi: è troppo tardi. Al processo di Milano, emergerà che Corda, se fosse rimasto al suo posto, si sarebbe schierato con i primi e il ricorso dell'Imi sarebbe stato accolto.

La miniera d'oro.

Il 13 gennaio '94 l'Imi liquida i 1000 miliardi alla Sir. Rovelli non c'è più: è morto il 31 dicembre 1990. Ma poco prima di spirare ha lasciato detto al figlio Felice e alla moglie Primarosa Battistella di saldare un mega-debito che ha contratto con Pacifico. Dopo il funerale, i due contattano lo sconosciuto avvocato. Da lui apprendono che anche altri due colleghi «avanzano» del denaro dal defunto: Previti 21 miliardi, Acampora 13 e lui, Pacifico, 33. Totale: 67 miliardi. Prove? Documenti scritti? Fatture? Nemmeno l'ombra. Tutto sulla parola. Ma gli eredi Rovelli pagano senza batter ciglio. Non subito: solo nel 1994, appena incassato il mega-risarcimento Imi (di cui quei 67 miliardi sono esattamente il 10%). Eppure i tre avvocati in quella causa non pare abbiano fatto nulla: i legali dell'Imi sono i professori Mario Are e Michele Giorgianni, anche loro pagati estero su estero (esentasse), ma molto meno dei tre «nullafacenti». «Abbiamo trovato i piccioli, un fiume di denaro, una miniera d'oro», dirà Ilda Boccassini nella requisitoria.

L'accusa.

Secondo il pm, quei 67 miliardi erano il prezzo della corruzione, per almeno due sentenze comprate (la prima di primo grado e quella d'appello), per la «sparizione» del giudice Minniti dal Tribunale e della procura speciale in Cassazione. Anche perchè dai tabulati telefonici risultano telefonate fra Previti, Pacifico, gli eredi Rovelli e il giudice Squillante (che avrebbe dovuto occuparsi solo di penale, non di cause civili) nel biennio più caldo del caso Imi-Sir. E varie prove di un loro attivo e informale interessamento all'affare. Pacifico chiama un cancelliere per conoscere in diretta la composizione dei collegi e le loro variazioni (il cancelliere sarà premiato con qualche biglietto omaggio per la «Corrida» negli studi di Canale5).

Squillante contatta l'avvocato Francesco Berlinguer per farlo incontrare con Felice Rovelli. Questi, poi, lo vede un paio di volte e gli offre 500 milioni in cambio di una missione segretissima: dovrà avvicinare una giudice del collegio di Cassazione, sardo come lui, e farsi anticipare il giudizio. Nello stesso periodo, Berlinguer parla spesso con lo studio Previti.

Una pioggia di denaro

Poi ci sono i passaggi di denaro. Oltre ai 67 miliardi, passati dai conti svizzeri dei Rovelli a quelli di Previti, Pacifico e Acampora, ci sono i quattrini per i giudici. Anzitutto Verde: fin dal 1991, a causa in corso, Pacifico gli apre il conto Master 811 e gli versa 500 milioni provenienti da una provvista di 1.8 miliardi giratagli da Previti; nel '94, mentre i Rovelli pagano i tre avvocati, Verde riceve altri 280 milioni. Quanto a Squillante riceve da Pacifico 133 milioni nel 1991; aveva addirittura uno dei suoi conti esteri (intestato alla Iberica Development) presso la Banca commerciale di Lugano, di cui è azionista la famiglia Rovelli: lì, sempre nel '94, riceve bonifici o contanti per 920 milioni.

Le difese.

Previti, a proposito dei suoi 21 miliardi, parla inizialmente di «parcelle di una vita». Poi, interrogato dal pool nel 1997, cambia versione: «Quei soldi non erano per me, erano un mandato di pagamento che mi aveva affidato Rovelli: io trattenni soltanto 2 miliardi e girai gli altri 19 a professionisti di cui non posso fare il nome. Ma non sono magistrati nè pubblici ufficiali». Dalle rogatorie, però, risulta che i professionisti non esistono: anche quei 19 miliardi Previti li girò a se stesso, dalla Svizzera alla Bahamas. «Parlai di mandato di pagamento perchè temevo che il fisco si scatenasse nei miei confronti con effetti rovinosi», si difenderà in aula. Infatti su quei 21 miliardi, incassati estero su estero proprio nel '94, mentre giurava fedeltà alla Repubblica come ministro della Difesa (Berlusconi lo voleva alla Giustizia, ma Scalfaro sventò almeno quella minaccia), non aveva pagato una lira di tasse. Così ritornerà alla versione «vecchia parcella»: 3 miliardi promessi da Rovelli negli anni ‘70 in cambio di imprecisati servigi e consulenze e poi, con l'andar del tempo e degli interessi, lievitati fino a quella cifra iperbolica. E le telefonate con Squillante e Pacifico nel pomeriggio del 29 gennaio '92, giorno decisivo della causa Imi-Sir in Cassazione? «Erano per organizzare una partita di calcetto al circolo Canottieri Lazio».

Anche Pacifico accenna a un'antica parcella per imprecisate «consulenze valutarie» a Rovelli, quadruplicata da una indovinata speculazione sull'oro. Niente di scritto che dimostri che sia vero: tutto sulla parola. A parte una scrittura privata, affidata - anzichè a un notaio - al portiere di un hotel di Montecarlo. E andata dunque disgraziatamente perduta.

Altro mistero: come dimostrano i suoi numerosi conti, Pacifico era un investitore pignolo e oculato. Ma una sola volta in vita sua divenne improvvisamente sprecone: dopo il versamento dei Rovelli, nel '94. Invece di far fruttare subito quei 33 miliardi con rendimento del 4%, li chiuse in cassaforte lasciandoli dormire senza guadagnarci una lira per sei mesi, una perdita secca di 600 milioni. Poi, all'improvviso, ricominciò a investire oculatamente tutti i quattrini che gli capitò di versare di lì in poi. Perchè quei 180 giorni di «parcheggio» autolesionistico, e proprio per la provvista Rovelli? Perchè - risponde l'accusa - quei soldi non erano tutti per lui: una parte la doveva spartire con i giudici corrotti.

I giudici Metta, Squillante e Verde negano di aver mai compravenduto sentenze. Squillante spiega i 9 miliardi che teneva in Svizzera con la straordinaria propensione al risparmio della sua famiglia. E i soldi avuti da Pacifico durante la causa Imi-Sir? Frutto di affari e investimenti in comune, di «compensazioni» di contante che Pacifico gli portava in Italia, ricevendo il corrispettivo via bonifico in Svizzera.

E i soldi da Pacifico a Verde? I 280 milioni del '94, spiegano concordi, erano la restituzione di un prestito che il giudice aveva concesso all'amico avvocato per saldare un improvviso debito di gioco al casinò di Montecarlo. Pacifico aveva il conto in rosso, e non sapeva dove attingere. Appena risalì, restituì. Strano: perchè nello stesso periodo anche Verde era in rosso, anzi ancora più in rosso di Pacifico. Tant'è che dovette operare in «scoperto di conto». Perchè non fece altrettanto Pacifico, in una situazione analoga?

Prima condanna, il 20 luglio 2001

Giustizia parallela. La risposta più probabile a questo groviglio di interrogativi è quella scritta il 20 luglio 2001 dal Tribunale di Milano, che ha condannato l'avvocato Giovanni Acampora a 6 anni di reclusione e a versare 1000 miliardi di provvisionale alla parte civile Imi, per corruzione in atti giudiziari. Nella motivazione, scritta dal giudice Marco Tremolada, si evidenziano «le plurime anomalie della sentenza Metta», e la straordinaria coincidenza di quei 67 miliardi che rappresentano il 10%: che non è un caso ma «il compenso dell'intermediazione per l'attività di corruzione prestata» da «tre avvocati che non hanno saputo giustificare il compenso, non avendo svolto alcun incarico lecito nella causa stessa o altro incarico in qualche modo documentato.... Gli intensi e anomali rapporti di questi tre avvocati, tra loro e con giudici e altri pubblici ufficiali che hanno partecipato alla vicenda processuale, rappresentano un ulteriore fortissimo indizio dell'attività di corruzione prestata, soprattutto se si tiene conto che questi giudici hanno ingentissimi patrimoni all'estero che non hanno saputo giustificare in modo esauriente e completo... Gli accertati episodi di condizionamento della causa a favore di Rovelli (ivi comprese le reiterate sostituzioni di giudici "sgraditi") rappresentano un ulteriore grave indizio della attività di corruzione sottostante... In quest'ottica il mondo descritto dalla teste Ariosto si è rivelato del tutto verosimile... e le sue dichiarazioni sono direttamente confermate da numerosi elementi obiettivi... Se Previti infatti garantiva rapporti sociali di elevato livello (viaggi, conoscenze con il potere politico, Pacifico gestiva una serie di rapporti personali forse meno appariscenti ma altrettanto importanti, sia con i magistrati, a loro volta con funzione di intermediari o di collettori (in particolare il giudice Squillante), sia con dipendenti del Palazzo di giustizia, sia infine con soggetti che garantivano canali di trasferimento del denaro all'estero o viceversa... Questa struttura di intermediazione aveva nel Squillante il suo "cavallo di Troia", perchè proprio grazie a Squillante, giudice influente all'interno del palazzo di giustizia di Roma, godeva di una capacità di infiltrazione tanto insospettabile quanto efficiente e in grado di espugnare qualsiasi settore di esercizio del potere giudiziario... Squillante era l'epicentro di un autentico "sistema" di gestione alternativa e illecita degli affari giudiziari. Perfino il coimputato Previti definisce l'amico Squillante come un giudice generoso, sempre pronto ad aiutare chiunque avesse un problema... Le tesi difensive degli altri due imputati (Previti e Pacifico, ndr) appaiono parimenti inverosimili (come quelle di Acampora, ndr), anche perchè entrambe contraddette da elementi documentali...

In conclusione, non vi possono essere dubbi che, pur nell'ambito di una ricostruzione indiziaria dei fatti, venne operata la corruzione di alcuni pubblici ufficiali per ottenere, nella controversia Imi-Sir, un esito favorevole a Rovelli, tanto ingente quanto ingiustificato, come pure non vi possono essere dubbi che questa attività corruttiva per conto dei Rovelli venne svolta dagli avvocati Pacifico, Previti e Acampora, tanto che agli stessi, dopo il pagamento da parte dell'Imi, venne versato un compenso astronomico, del quale tuttavia nè gli eroganti nè i riceventi hanno saputo fornire una seria giustificazione».

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