30.04.2003
 Si è conclusa con la sentenza del Tribunale di Brescia la “saga” del processo IMI-SIR, Lodo Mondadori. Questo processo ha visto tra gli imputati anche Cesare Previti, all’epoca dei fatti avvocato dell’attuale Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e Ministro della Difesa nel primo Governo Berlusconi, al potere tra il 1994 e il 1995. Ricordo brevemente ai nostri lettori che i giudici di Brescia erano chiamati a fare luce sulla vendita di alcune importanti società operanti nell’industria e nell’editoria. Ebbene, la sentenza del 29 aprile ha accolto la tesi della pubblica accusa, secondo la quale tutta la vicenda è stata gestita in un clima di corruzione e di “mazzette”, ovvero di soldi - circa 400.000 dollari - che sono transitati, tramite Previti, dalla società FININVEST di Berlusconi ai magistrati che erano incaricati della vendita delle società. Lo stesso Previti è stato quindi condannato a 11 anni di reclusione. Per evitare che si arrivasse a questa sentenza, negli ultimi anni il governo Berlusconi ha fatto tutto il possibile e persino l’impossibile. Basti ricordare la legge sul “falso in bilancio”, la riforma del sistema giudiziario, nonché la legge sul “giusto procedimento”: quest’ultima legge è stata emanata dal Parlamento pochi mesi fa ed è stata studiata appositamente per tentare di trasferire il processo da Brescia ad un altro tribunale. Nel frattempo, da parte degli esponenti del Governo si è cercato di diffondere nella pubblica opinione il convincimento che i giudici di Brescia e di Milano avevano costruito dei processi “politici”, con l’unica finalità di colpire alcuni soggetti in quanto vicini all’attuale Presidente del Consiglio. La sentenza ha invece dimostrato che questi cittadini sono stati ritenuti colpevoli - seppure solo in primo grado ed in attesa quindi del giudizio di appello - in quanto si erano resi effettivamente responsabili di gravi reati condannati dal codice penale italiano. In altre parole, la sentenza di condanna si è basata su prove concrete e non su presunte prese di posizione o su prevenzioni di natura ideologica o politica. E, da che mondo è mondo, se è vero che nessuno può essere condannato se non in base a delle prove concrete, è pure vero che le prove concrete devono inchiodare gli imputati alle loro responsabilità. L’esito di questa sentenza apre adesso la strada a numerose domande, le cui risposte dovranno giustamente essere ricercate col tempo dai competenti organi giudiziari, ma su cui i cittadini italiani dovranno fin da adesso cominciare a riflettere. Infatti, se dovesse rimanere dimostrata la colpevolezza di Previti per una vicenda di corruzione che riguardava delle società di proprietà di Berlusconi, sembra naturale pensare che il ruolo di Previti sia stato quello di intermediario e che in realtà tutta l’operazione sia stata orchestrata e diretta dallo stesso Berlusconi. In realtà l’attuale Capo del Governo italiano era stato coinvolto in questo processo, ma successivamente è stato prosciolto non perché è stato dimostrato che egli non avesse commesso il reato a lui addebitato, ma soltanto perché erano trascorsi i termini previsti per la prescrizione. La sentenza di Brescia non sarà senza conseguenze per lo scenario politico italiano e internazionale: infatti, sul piano interno, i cittadini italiani che nelle passate elezioni politiche hanno dato la loro fiducia allo schieramento della “Casa delle Libertà” capeggiato da Berlusconi, sono chiamati adesso a fare le loro riflessioni sulla scelta fatta in quell’occasione; nello stesso tempo, sul piano internazionale, la sentenza e le responsabilità evidenziate peseranno come macigni sulla gestione delle relazioni tra l’Italia, dal prossimo giugno Presidente di turno dell’Unione Europea, e gli altri partners dell’UE. Già la stampa internazionale non manca occasione di puntare il dito sullo “strano caso italiano” in cui il Presidente del Consiglio è coinvolto in una vicenda di corruzione, e di conseguenza non risparmia sarcasmi verso l’intero Paese. In verità, negli ultimi anni Berlusconi ha cercato di mettere in piedi un sistema “invertito”, in cui i ladri dovrebbero arrestare le guardie! Ancora una volta, è affidato alla coscienza di tutti i cittadini impedire che questo sistema venga realizzato.
Antonio Di Pietro
Roma, 30 aprile 2003
Welfare Italia
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