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Ciampi rinvia la Gasparri alle Camere - Il testo della lettera
15.12.2003

Il presidente della Repubblica non firma e rinvia la legge Gasparri sulle tv alla Camera.  

Il Presidente ha deciso: la legge Gasparri non va bene, deve tornare in Parlamento. Una bocciatura attesa e auspicata da molti.

Ciampi aveva un mese di tempo per valutare l’ammissibilità della legge dopo la sua approvazione da parte della Camera, avvenuta il 2 dicembre. Prima di comunicare la sua scelta il presidente della Repubblica ha ricevuto al Quirinale Silvio Berlusconi accompagnato dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta.

Una decisione coerente quella del Presidente. Era infatti difficile chiudere gli occhi di fronte a una legge che vanifica ogni intervento sul conflitto d´interessi, sottomette degli organi dirigenti della Rai dal governo, contraddice palesemente le sentenze della Corte costituzionale sul pluralismo dell’informazione e le risoluzioni della Comunità europea sulle concentrazioni televisive, danneggia l’editoria giornalistica. Non si trattava insomma di decidere se la legge era buona o cattiva dal punto di vista politico, ma di respingere un provvedimento giuridicamente inaccettabile. Ed è quello che Ciampi ha fatto.

Sul tema del resto il presidente della Repubblica era stato chiaro fin da subito, inviando il 23 giugno 2002 un messaggio alle Camere in cui elencava le condizioni per creare un sistema dell'informazione libero e prluralista. Consigli che il governo Berlusconi ha completamente disatteso.

*******

Il testo del messaggio di Ciampi

«In data 5 dicembre 2003, mi è stata inviata per la promulgazione la legge "Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della Rai-Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione", approvata dalla Camera dei Deputati il 2 ottobre 2003 e approvata in via definitiva dal Senato il 2 dicembre 2003.

Il relativo disegno di legge era stato presentato dal Governo alla Camera dei Deputati il 25 settembre 2002. Successivamente, il 20 novembre 2002, era sopraggiunta la sentenza della Corte Costituzionale n.446, che dichiarava "la illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n.249 (Istituzione della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni radiotelevisivo), nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo.

La data del 31 dicembre era già stata indicata, come termine per la cessazione del regime transitorio di cui all'articolo 3, settimo comma, della legge 249 del 1997, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (deliberazione numero 346 del 7 agosto 2001). Detto articolo 3 rinvia ai limiti fissati dal sesto comma dell'articolo 2 della stessa legge n.249, la dove si stabilisce che ad uno stesso soggetto o a soggetti controllati o collegati "non possono essere rilasciate concessioni né autorizzazioni che consentano di irradiare più del 20% rispettivamente delle reti televisivi o radiofoniche analogiche e dei programmi televisivi o radiofonici numerici, in ambito nazionale, trasmessi su frequenze terrestri, sulla base del piano delle frequenze".

Tutto ciò detto in relazione alla compatibilità delle succitate disposizioni della legge in esame con la sentenza 466 del 20 novembre 2002, non posso esimermi dal richiamare l'attenzione del Parlamento su altre parti della legge che - per quanto attiene al rispetto del pluralismo dell'informazione - appaiono non in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Si consideri, a tale proposito, che la sentenza della Corte Costituzionale n.826 del 1988 poneva come un imperativo la necessità di garantire "il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione". E ancora, nella sentenza 420 del 1994, la stessa Corte sottolineava l'indispensabilità di "un'idonea disciplina che prevenga la formazione di posizioni domninanti".

Nell'ambito dei principi fissati dalla richiamata giurisprudenza della Corte Costituzionale, si è mosso il messaggio da me inviato alle Camere il 23 luglio 2002". "Per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi finanziari, il sistema integrato delle comunicazioni (Sic) - assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione - potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20% (articolo 15, secondo comma, della legge) di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti".

"Quanto al problema della raccolta pubblicitaria, si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 1985 che, riprendendo i principi affermati in precedenti decisioni, richiede che sia evitato il pericolo 'che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela'". "Si rende infine indispensabile espungere dal testo della legge il comma 14 dell'articolo 23, che rende applicabili alla realizzazione di reti digitali terrestri le disposizioni del decreto legislativo 4 settembre 2002, numero 198, del quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale con la sentenza 303 del 25 settembre/1 ottobre 2003.

Per la stessa ragione, va soppresso il riferimento al predetto decreto legislativo dichiarato incostituzionale, contenuto nell'articolo 5, primo comma lettera L e nell'artico,o 24, terzo comma". "Per i motivi innanzi illustrati - conclude Ciampi - chiedo alle Camere, a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione, una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 5 dicembre 2003".

"La sentenza della corte numero 466 del 20 novembre 2002 muove dalla considerazione della situazione di fatto allora esistente, che, a suo giudizio, non garantisce... l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli imperativi ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia. Nell'ultima delle considerazioni in diritto, la Corte precisa che "la presente decisione, concernente le trasmissioni televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili'".

"Dalla sentenza - i cui contenuti essenziali sono stati richiamati dai presidenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell'Autorità garante della concorrenze e del mercato, nelle audizioni rese alle commissioni riunite VII e IX della Camera dei Deputati il 10 settembre 2003 - discende, pertanto, che, per poter considerare maturate le condizioni del diverso futuro assetto derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre e, quindi, per poter giudicare separabile il limite temporale fissato nel dispositivo, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante da tale espansione".

"La legge a me inviata si fa carico di questo problema. Le norme che disciplinano l'assetto sopraconsiderato sono contenute nell'articolo 25, il cui primo comma stabilisce che, entro il 31 dicembre 2003, dovranno essere rese attive reti televisive digitali terrestri, ponendo in particolare, a carico della società concessionaria del servizio pubblico (secondo comma) l'obbligo di predisporre impianti (blocchi di diffusione) che consentano il raggiungimento del 50% della popolazione entro il primo gennaio 2004 e del 60% entro il primo gennaio 2005. L'articolo 25, terzo comma, stabilisce inoltre che 'l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro i dodici mesi successivi al 31 dicembre 2003, svolge un esame della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri allo scopo di accertare: a) la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri; b) la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; c) l'effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche'"

"Ciò premesso, ritengo di dover formulare alcune osservazioni in merito alla compatibilità di talune disposizioni della legge in esame con la sentenza 466/2002 della Corte Costituzionale. Una prima osservazioni riguarda il termine massimo assegnato all'Autorità per effettuare detto esame: 'Entro i 12 mesi successivi al 31 dicembre 2003' (articolo 25, terzo comma). Questo lasso di tempo - molto ampio rispetto alle presumibili occorrenze della verifica - si traduce, di fatto, in una proroga del termine finale indicato dalla Corte Costituzionale".

"Una seconda osservazione concerne i poteri riconosciuti all'Autorità: questa, entro i 30 giorni successivi al completamento dell'accertamento, invia una relazione al governo e alle competenti Commissioni parlamentari, 'nella quale verifica se sia intervenuto un effettivo ampliamento delle offerte disponibili e del pluralismo nel settore televisivo ed eventualmente formula proposte di interventi diretti a favorire l'ulteriore incremento dell'offerta di programmi televisivi digitali terrestri e dell'accesso ai medesimi' (articolo 25, terzo comma).

Ne deriva che, se l'Autorità dovesse accertare, entro il termine assegnatole, che le suesposte condizioni (raggiungimento della prestabilita quota di popolazione da parte delle nuove reti digitali terrestri; presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche) non si sono verificate, non si avrebbe alcuna conseguenza certa. La legge, infatti, non fornisce indicazioni in ordine al tipo e agli effetti dei provvedimenti che dovrebbero seguire all'eventuale esito negativo dell'accertamento".

"Si consideri inoltre che il paragrafo 11, penultimo capoverso, delle considerazioni in diritto della sentenza numero 466, recita: 'd'altro canto, la data del 31 dicembre 2003 offre margini temporali all'intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui al comma 7 dell'articolo 3 della legge 249 del 1997'. Ne consegue che il primo gennaio 2004 può essere considerato come il dies a quo non di un nuovo regime transitorio, ma dell'attuazione delle predette modalità di cessazione del regime medesimo, che devono essere determinate dal Parlamento entro il 31 dicembre 2003. Si rende inoltre necessario indicare il dies ad quam, e cioè il termine di tale fase di attuazione".


 

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