La lista unitaria - che pure corrisponde ad una larghissima domanda dell'elettorato dell'Ulivo - corre il rischio di impantanarsi. Non crediamo che ci sia il pericolo di dare vita, come è stato scritto, a due liste unitarie, data la differenza di peso tra le proposte, ma quello di avere un consenso inferiore a quelle che sono le possibilità e le aspettative. Finora è venuto avanti un processo - troppo chiuso e ristretto ai partiti (quattro su sette) e prevalentemente con la testa rivolta al passato, più che al presente e al futuro- che non favorisce l'incontro con le realtà e con le esigenze della società e dell'opinione pubblica che si sono manifestate nei mesi scorsi su vari temi: la pace, la giustizia e l'informazione, i diritti del lavoro, l'ambiente ecc. La pregiudiziale contro l'Italia dei valori di Antonio Di Pietro è diventato il collante provvisorio di questo malessere. L'errore dello SDI non sta soltanto nel fatto che si arroga il diritto di indicare a priori chi è riformista o no e conseguentemente il veto, ma di fondare l'accettazione o meno alla lista dei soggetti politici e sociali sulla base non del progetto riformista futuro, ma sulle credenziali passate. Esplicite in questo senso sono le asserzioni di Enrico Boselli quando dice che la lista unica è "la grande occasione per mettere insieme tutte le correnti riformiste e chiudere finalmente l'aspro confronto tra socialisti e comunisti".
Noi siamo convinti che il riformismo sia innanzitutto una scelta di civiltà . Infatti la storia tragica del Novecento ci ha insegnato che non si può disgiungere il fine dai mezzi usati, che i secondi, specialmente l'uso della violenza, cambiano profondamente e sostanzialmente il fine, al di là degli intenti; che la gradualità del processo riformatore di trasformazione è la strada maestra per consolidare ed estendere la democrazia , poiché
consente di farne parte anche a chi è più indietro. Ha scritto giustamente Vittorio Foa ("Il cavallo e la torre" p. 337. Einaudi 1991): " Spesso un eccesso di impazienza verso i comportamenti graduali rivela la presunzione della propria centralità nei rapporti con il mondo. La gradualità è una attenta considerazione degli altri, della necessità del loro concorso all'azione, e l'apporto degli altri, della gente richiede tempo."
Ma il riformismo non deve diventare una ideologia. Deve essere un progetto che guarda avanti puntando a riformare il capitalismo in direzione di una maggiore uguaglianza e di una maggiore giustizia sociale. E il capitalismo non in astratto, ma quello di oggi che è sempre più globale. Un progetto quindi tanto più valido ed efficace se è in grado di impegnare una generazione, di far fare ad essa quella che un tempo veniva chiamata una scelta di vita, e quindi di non limitarsi agli anni di una legislatura.
Quale ordine mondiale, quale Europa, quale società italiana, queste sono le domande a cui deve rispondere il progetto. E in modo concreto , con proposte istituzionali e strategiche, non ricorrendo come spesso tutti facciamo ad aggettivazioni generiche che lasciano il tempo che trovano, come nuovo, diverso e così via. Così, tra l'altro, si forma la nuova classe dirigente.
In questo ambito come considerare i nuovi movimenti che sono sorti in questi anni? Possono essere considerati riformisti, sia pure di tipo nuovo? Quali domande e problemi pongono ai partiti riformisti? Ai partiti nazionali, alla tradizione riformista da cui veniamo, i movimenti di questi anni - che sono ampi, vasti e diversi, e non certo riconducibili alle nomenclature dei media - hanno posto con forza le questioni decisive del mondo e della persona: come ridefinire un orizzonte riformatore su scala globale, come assumere livelli più alti di cultura, di responsabilità e di autodeterminazione delle persone, come leva decisiva per fare politica nel presente.
A queste domande non risponde in alcun modo la nuova alleanza tra Occhetto e Di Pietro, a cui si sono aggregate forze e individui di varia estrazione e con diverse aspirazioni. Infatti finora sono prevalenti in essa due no: il no a Berlusconi, in particolare sui problemi relativi alla legalità e alla giustizia, ma anche su altri terreni; il no all'ipotesi del cosiddetto triciclo riformista . Per il resto molta ambiguità ed anche confusione, quasi da circo Barnum di gramsciana memoria. Ciò non toglie che l'iniziativa colga l'esigenza reale di coprire lo spazio politico che si apre se l'ipotesi riformista rimane asfittica, tra questa e l'antagonismo massimalistico di Rifondazione comunista e dei partiti che hanno rifiutato fin dall'inizio l'idea della lista unitaria. Di qui i due rischi: quello di erodere e quindi danneggiare la proposta Prodi che, se vincente, potrebbe essere portatrice di una grande novità nel panorama politico italiano, e in secondo luogo quello di generare - quasi inevitabilmente- la frattura dei e nei movimenti, cooptandoli, lottizzandoli e rendendoli subalterni nell'una e nell'altra lista senza dare ad essi una prospettiva politica.
Per tutti questi motivi riteniamo che la via del confronto sia obbligata.
Un confronto a tutto campo e senza pregiudiziali. Che abbia come base certamente le questioni programmatiche, a partire dall'Europa. A questo proposito non mancano certamente i materiali : il manifesto Prodi che offre una ottima base di partenza , il manifesto DS elaborato dalla Commissione Trentin, ecc.
Ma insieme a queste non può mancare anche un confronto sulle regole e sui comportamenti in seno alla lista unitaria, per evitare quelle decisioni unilaterali ( come è stata l'iniziativa di Di Pietro nella raccolta delle firme per il referendum sul lodo Schifani) e quella ostentata frammentazione partitica e personale che sono state una delle cause non secondarie della sconfitta elettorale dell'Ulivo e del centrosinistra. L'obiettivo ci sembra scontato: formare - nella chiarezza dei contenuti e degli intenti - un comitato unitario di partiti, associazioni e movimenti che dia vita alla convenzione programmatica già indetta per il 13-14 febbraio.
E' stato detto che per fare questo occorre azzerare la situazione, ritornare cioè al punto di partenza. Che cosa voglia dire francamente non si capisce. La proposta Prodi ha oramai più di quattro mesi di vita, sono state prese decisioni importanti tra cui quelle dei partiti, in assemblee congressuali con centinaia e centinaia di delegati, sia di quelli a favore che quelli contrari. La proposta va discussa e tenuta aperta e allargata fino all'ultimo, ma fermarla ci sembra la decisione meno producente.
di Iginio Ariemma e Andrea Ranieri
da l'Unità del 19 dicembre 2003