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L'amica di famiglia di Livia Turco
22.12.2003

“L’amica di famiglia:
una legge quadro a sostegno delle responsabilità familiari”
Relazione di Livia Turco

Vogliamo prenderci cura della vita delle famiglie italiane. Esse sono una priorità della nostra agenda politica.
La famiglia non è una bandiera da sventolare gli uni contro gli altri per convenienze politiche. Questo è il messaggio fondamentale che proponiamo. Le famiglie sono luoghi di costruzione di legami sociali, di assunzioni di responsabilità tra generazioni, luoghi di formazione e di crescita delle persone. Hanno bisogno di politiche concrete e non di scontri ideologici. Hanno bisogno di attenzione, di rispetto e non di una cinica e strumentale speculazione populista.
Con il Governo Berlusconi siamo tornati al familismo amorale, quello, che blandisce le famiglie, carica su di loro molte responsabilità ma non riconosce diritti e risorse. Per il nostro governo non esistono famiglie normali ma solo famiglie giganti capaci di assumersi tanti onori ed oneri da espletare in perfetta solitudine.
Famiglie riverite, ma che meritano, per il nostro governo, solo il luccichìo di qualche spot pubblicitario.
La proposta contenuta nel decreto connesso alla finanziaria 2004 di prevedere un bonus bimbo, al 2° figlio, di 1000 euro, a prescindere dal reddito, per le italiane e le comunitarie, ma non per le extracomunitarie (escluse quest’ultime perché fanno già molti figli) è un concentrato di cinismo, di valori regressivi, di inefficacia. Per il Governo, i bambini che meritano aiuto sono solo quelli nati dal 1° dicembre 2003 e fino al 31 dicembre 2004. E così, apprendiamo dall’Istat che beneficeranno di questo provvedimento e dello sgravio del 36% sulle ristrutturazioni edilizie poco più di un milione di famiglie (su oltre 21 milione di famiglie italiane) con un guadagno medio di 415 euro. In questa proposta non contano i padri, le madri, i bambini; non conta l’equità e l’efficacia redistributiva. Conta solo il messaggio simbolico. In questo caso il valore del nascere. Un valore deturpato, perché accompagnato non da una presa in carico reale del bambino che nasce ma dall’illusione del potere magico di un misero incentivo economico. Viene monetizzato, a basso costo, il desiderio di maternità e la fatica di crescere un figlio.
Che si tratti di questo, del presupposto potere miracolistico dell’incentivo monetario per fare figli, e non del sostegno ai figli che nascono, lo conferma la cinica e disumana esclusione delle donne extracomunitarie con la motivazione che tanto già mettono al mondo molti figli. Stabilendo così che ci sono maternità e figli più dignitosi di altre e di altri. Evidentemente il Vicepresidente del Consiglio, on. Fini, che si è detto disponibile a parlare di diritto di voto agli stranieri non sa che il potenziale elettorato è costituito per metà da donne, con due o tre figli a carico! Denunciamo la miseria e la disumanità contenute in questo messaggio culturale. Ne denunciamo anche l’inefficacia ed il cattivo uso delle risorse. Sappiamo bene quanto siano rilevanti i costi che una coppia deve affrontare quando nascono dei figli. Per questo con i governi dell’Ulivo avevamo promosso un sostegno universalistico alla maternità per attribuire ad essa piena cittadinanza.
Le coppie, le famiglie hanno bisogno non del regalo della cicogna, che fa sempre piacere, ma di una vera, seppur graduale e coerente politica delle famiglie. Ho detto graduale, perché sappiamo che le risorse sono scarse. Anche se, le risorse, sono frutto di scelte politiche. E il nostro Paese deve compierla in modo energico visto che esso dedica alle famiglie il 3,8% della spesa sociale contro l’8,2% della spesa europea. Proprio a fronte di risorse scarse non si capisce perché una famiglia benestante debba avere lo stesso sostegno di una coppia di operai, di co.co.co, di impiegati. L’intensità di un valore – i figli – si esprime tanto più guardando agli effetti che essa sortisce. Una redistribuzione iniqua è un effetto perverso che offusca quel valore medesimo. Vale la pena ricordare don Milani “Parti eguali tra diseguali”. L’iniquità risulta ancora più clamorosa a fronte del fatto che i 308 milioni di euro ad essa dedicati, sono recuperati dal Fondo di accantonamento per aumentare l’indennità di disoccupazione così come previsto dal Patto per l’Italia.
Le famiglie sono le più colpite dal declino economico e dal processo di impoverimento del nostro Paese. Ci devono fare riflettere i dati Istat sulla povertà relativi al 2003. Come ha acutamente scritto Chiara Saraceno l’aumento di 1 punto della povertà assoluta e relativa al Nord segnala che la vulnerabilità sociale colpisce le zone di maggior benessere. Tante famiglie normalissime, tante singole persone fanno fatica a far quadrare i conti del bilancio familiare a fronte dell’aumento del costo della vita e della perdita del potere d’acquisto di salari e stipendi. Per questo abbiamo investito il Parlamento con una mozione e saremo impegnati in una forte mobilitazione contro il caro vita.
C’è un legame tra declino economico ed impoverimento del nostro Paese con il conseguente aumento delle disuguaglianze. Questo legame risiede in una politica economica che affida la crescita e la competitività del Paese alla semplice riduzione dei costi, del costo del lavoro innanzitutto, alle sanatorie, alle “una tantum”, ed alla crescita dell’evasione fiscale. Meno burocrazia, meno vincoli, meno tasse, meno welfare: questa è la ricetta del centrodestra che sta dimostrando il suo fallimento.
Una politica per le famiglie non è settoriale ma è data dalla convergenza della politica fiscale, del lavoro, dell’istruzione, della salute, dei servizi sociali.
Ed allora, se prendiamo in considerazione gli effetti della politica del governo Berlusconi, in questi settori cruciali, avremo la conferma di come essa si sia riversata in modo negativo sulle famiglie: su quelle dei giovani, su quelle anziane, su quelle del lavoro dipendente, ma anche su quelle del ceto medio.
Penso in particolare alle 200.000 famiglie che cominciavano ad uscire dalla condizione di povertà grazie al Reddito Minimo di Inserimento e che ora si trovano abbandonate a se stesse perché quella misura è stata cancellata in nome di un funereo reddito di ultima istanza, previsto nella finanziaria, ma il cui finanziamento è messo a carico delle Regioni.
Penso alle famiglie disabili, soprattutto a quelle con ragazzi portatori di disabilità intellettiva grave. Nessuna promessa è stata mantenuta. In compenso non è più stato finanziato il progetto “Dopo di noi”; sono stati tolti 700 insegnanti di sostegno, non è stata applicata la legge 328/2000 che prevede un progetto personalizzato per le persone disabili ed il riordino delle indennità di invalidità. Il decreto attuativo della legge 68 sull’inserimento lavorativo, nel 7% di persone che le aziende devono assumere, calcola anche le vedove e gli orfani. La legge sull’amministratore di sostegno è bloccata in Commissione giustizia perché manca il parere del governo.
Questo quadro si aggraverà con la legge finanziaria che taglia il Fondo Sociale di 270 milioni di euro.
Questo taglio si aggiunge al taglio ordinario di 1.800 milioni di euro a Comuni e Regioni. Si assottiglia ulteriormente il contributo per le locazioni, l’integrazione per il costo dell’affitto per le persone deboli, previsto dalla legge 431. Scompaiono i 10 milioni di euro per il Terzo Settore e l’associazionismo. Mentre, la tanto esaltata misura a favore del volontariato - la defiscalizzazione per l’acquisto delle ambulanze - era già prevista dalla legge 342, art. 91 del 200 sotto forma di credito di imposta. Anziché stanziare risorse per gli asili nido si dà la possibilità ai comuni di “mutare” la destinazione d’uso di un immobile da civile abitazione ad “asilo” con la semplice dichiarazione di inizio attività senza l’assenso degli uffici tecnici del comune di competenza. Un ulteriore passo verso la trasformazione degli asili nido da servizi socio educativi a semplici “parcheggi” per bambini. Tanto più a fronte della cancellazione di 150 milioni di vecchie lire che erano stati stanziati dalla finanziaria 2002. Prosegue, inoltre, il drastico processo d’impoverimento della scuola pubblica, mentre, il Fondo sanitario nazionale continua ad essere sottostimato, come ben indicato nella nota di Saveria Sechi.

Il sostegno alle responsabilità familiari è una priorità della battaglia in corso sulla legge finanziaria 2004. Anziché il bonus bimbo proponiamo:
1. un’imposta negativa per le persone incapienti cioè quelle la cui soglia di reddito è così bassa da essere sotto il minimo imponibile;
2. un “piano nazionale per gli asili nido” che porti nei prossimi 5 anni ad un aumento dei servizi che possa soddisfare almeno il 10% della domanda attuale;
3. l’aumento dell’assegno di maternità per le lavoratici atipiche, precarie, discontinue, la cui presenza coincide sempre più con le giovani donne e la cui crescita è costante. Attualmente l’assegno è di 1500 euro. Proponiamo di elevarlo a 2500 euro;
4. l’approvazione della legge istitutiva del Fondo per la non autosufficienza che, per merito del centro sinistra e della mobilitazione dei sindacati, approderà in aula il 20 ottobre prossimo. Colgo l’occasione per ringraziare del suo paziente e prezioso lavoro Katia Zanotti, relatrice del provvedimento. Il Fondo applica l’articolo 15 della legge 328/00 per incrementare la rete dei servizi domiciliari e territoriali e per integrare il costo delle rette sostenute dalle famiglie per gli anziani che si trovano nelle residenze protette.
Prevenire, rallentare, accompagnare la non autosufficienza delle persone anziane è un programma di presa in carica multidimensionale, interdipendente che offre non solo prestazioni sociali, sanitarie, abitative ma riconosce una specifica funzione ai fattori relazionali, psicologici, ambientali.
5. Un programma per le persone e le famiglie disabili che prevede: il rifinanziamento del progetto “dopo di noi”; il pensionamento anticipato di 5 anni per i genitori di ragazzi con disabilità intellettiva grave; il potenziamento e la qualificazione degli insegnati di sostegno.
In tre anni di governo, Berlusconi, ha speso per le famiglie 3,8 miliardi di euro (1,65 miliardi di euro per le pensioni minime, 1,65 miliardi di euro per l’aumento delle detrazioni dei carichi familiari, 0,57 miliardi di euro per il bonus bimbo). Questi incrementi però sono stati in gran parte vanificati dai tagli agli enti locali, alla sanità, alla scuola. L’Ulivo, nei anni difficili del risanamento economico, ed in un contesto di incremento delle risorse per la sanità e la scuola aumentò di 11 miliardi di euro (21 mila miliardi) le risorse finalizzate alle politiche per la famiglia (detrazioni fiscali, assegni maternità, assegno terzo figlio, assegno nucleo familiare, servi all’infanzia, servizi alla persona, interventi per le persone disabili).
È dunque realistico e prudente chiedere al governo attuale di fare altrettanto e di destinare alle politiche per le famiglie almeno 11 miliardi di euro a partire dalla legge finanziaria 2004.
Mettere le famiglie al centro delle politiche del welfare significa scegliere indirizzi e priorità delle politiche sociali. Significa scegliere politiche sociali orientate al sostegno della normalità e della quotidianità della vita delle persone; che valorizzino i legami e le relazioni tra le persone; che promuovano il sostegno alle capacità delle persone. Una politica sociale che, in modo particolare, metta al centro la solidarietà tra le generazioni.
Ciò comporta anzitutto la promozione di uno sviluppo economico che punti sulla valorizzazione del fattore umano attraverso buone politiche pubbliche che diventano così motore della crescita economica e non solo lo strumento per ottenere interventi redistributivi. Il problema è aumentare la spesa sociale e rivedere la sua composizione. Il Patto di reciprocità tra le generazioni e tra nativi e migranti è la cifra vera non solo del welfare ma della società che dobbiamo costruire. E’ la vera sfida di una politica riformista.
Patto di reciprocità che sintetizzo così: noi adulti, figlie e figli di una generazione che ha avuto molto e che ha potuto contare sulle conquiste dei nostri padri e delle nostre madri, dobbiamo essere consapevoli che la nostra qualità della vita dipende dalla qualità della vita dei nostri figli e dei nostri vecchi e dalla convivenza tra nativi e migranti.
Investire per loro significa investire per noi. Per la sostenibilità sociale, per il futuro. Noi siamo disponibili a fare la nostra parte. Che vuol dire concretamente: a fronte di un assegno universalistico per i figli, di una indennità di disoccupazione decente, di una scuola adeguata, di una rete di servizi socioeducativi per l’infanzia, di un adeguato finanziamento della sanità pubblica, di un Fondo per aiutare le persone non autosufficienti, saremmo anche disponibili a lavorare più a lungo. L’opposto della politica del governo che rompe questa solidarietà o meglio costruisce una solidarietà tra perdenti: i bambini totalmente dimenticati; i giovani con un po’ di lavoro precario ed il futuro di una pensione da fame; le famiglie stressate dal sovraccarico di responsabilità; gli anziani abbandonati.
Perché, dei presunti risparmi prodotti dalla controriforma della previdenza, non c’è traccia di destinazione per un welfare delle famiglie, dei bambini, dei giovani, degli anziani non autosufficienti.

I saperi delle famiglie per un welfare delle capacità

Le famiglie non sono soggetti passivi delle politiche sociali. Questo riconoscimento è già avvenuto nella nostra legislazione. Si tratta dell’articolo 16 della legge 328/00, che costituisce il punto più compiuto ed alto di riconoscimento della soggettività delle famiglie, della loro insostituibile funzione, nella promozione del benessere e della coesione sociale, oltre che nella formazione e nella cura delle persone.
Le famiglie sono giacimenti di saperi, di competenze, di risorse morali ed affettive. Questi giacimenti devono essere esplorati, riconosciuti e valorizzati nella loro capacità di promuovere il benessere delle persone.
Per questo le politiche pubbliche devono non solo offrire servizi e prestazioni alle famiglie ma promuovere un loro ruolo attivo nel soddisfacimento dei bisogni, nella promozione del benessere delle persone e della comunità.
Mettere al centro i saperi e le relazioni delle famiglie significa mettere al centro la costituzione di un welfare che non si limiti ad offrire prestazioni e servizi ma promuova obiettivi di benessere. Un welfare che guardi non tanto alla sanità ma alla salute, non tanto alla scuola quanto al sapere, non tanto all’assistenza quanto alla qualità della vita di relazione.
Impostare il discorso in termini di stati di benessere piuttosto che di beni e servizi è importante anche perché consente di osservare che questi, per essere efficaci, devono convertirsi in quelli. I servizi devono convertirsi e promuovere stati di benessere. Tale processo di conversione è molto affidato alle capacità di utilizzo da parte delle persone delle opportunità che sono a loro disposizione e alla capacità di trasformare opportunità e risorse in stati di benessere ed in progetti di vita.
Pertanto la promozione del benessere deve valorizzare le capacità delle persone e mobilitare le risorse dei destinatari. Per questo vanno sviluppate le attitudini del “mettersi in proprio” e del “prendersi cura”. Della imprenditività individuale e dell’apertura all’altro.
Le famiglie sono pertanto attori cruciali nella costruzione di un nuovo paradigma del welfare: quello del sostegno alle capacità.
Inoltre, investire sulle responsabilità familiari, sui diritti dei soggetti che le compongono, in particolare sulle donne e sui bambini è una condizione fondamentale per prevenire e contrastare le disuguaglianze sociali.
Ricordo a questo proposito i dati sulla povertà minorile nel nostro Paese.
Vi rinvio alla lettura di un interessante saggio di Gosta Esping Andersen comparso su “Italiani Europei” che riflette su un welfare per i nostri figli. Esso mette in risalto che per ridurre il peso dell’eredità sociale sui nostri figli e prevenire la povertà e le disuguaglianze bisogna sostenere le capacità cognitive dei bambini nelle prime fasi della loro vita. Per fare questo bisogna attivare una doppia strategia: promuovere garanzie contro la povertà minorile con misure tese a rendere omogenei gli stimoli cognitivi ricevuti dai bambini in età scolare. Ciò comporta forti investimenti nella cura dei bambini, soprattutto attraverso il sostegno del lavoro delle madri e lo sviluppo di servizi socio educativi tra 0 e 6 anni. Quello dell’infanzia è un tema centrale. Siamo l’unico partito che ha istituito una consulta per l’infanzia e l’adolescenza promossa da Anna Serafini, che si accinge a preparare per il prossimo anno a Bologna la prima conferenza per l’infanzia e l’adolescenza.

I fondamenti e gli strumenti per una politica a sostegno delle famiglie

Quali allora i fondamenti di una politica di sostegno alle famiglie che non presenti i rischi di vincolare le libertà individuali e di creare forme di dipendenza obbligate, ma insieme incoraggi e sostenga assunzione di responsabilità e di legami entro le famiglie e fra le generazioni?
Tali fondamenti stanno
- nella riaffermazione della titolarità dei diritti dei singoli: non si può indebolire tale titolarità a favore dei diritti di gruppo, a partire dai diritti delle bambine e dei bambini;
- nell’aumentare i gradi di libertà degli individui e delle famiglie ampliando le opzioni, ma anche le risorse per farle valere, inclusa l’opzione di avere figli o di accudire familiari non autosufficienti senza per questo dover pagare prezzi troppo alti o irreversibili;
- nel riconoscimento e sostegno del valore sociale della responsabilità che ciascuno assume liberamente nei confronti di chi non è ancora o non è più autonomo, innanzitutto il valore delle responsabilità tra generazioni.
E ancora
- nel coniugarsi della mutualità, solidarietà e lavoro di cura, soprattutto per quanto riguarda le donne, con i diritti di pari opportunità;
- nelle soluzioni al problema del tempo e della sua diversa distribuzione.
Quanto agli strumenti, continuiamo a pensare che solo un mix fatto di: servizi alle persone, interventi fiscali, trasferimenti monetari, insieme alla piena e buona occupazione, in particolare femminile, ed alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare possono garantire un reale sostegno alle responsabilità familiari.

Perché una legge quadro e non solo un pacchetto di provvedimenti concreti a sostegno delle responsabilità familiari?
Per proporre un messaggio culturale forte: ci prendiamo cura della vita quotidiana delle famiglie. Perché siamo consapevoli di quanto siano importanti i legami familiari nella formazione delle persone e nella promozione del loro benessere. Perché siamo consapevoli che investire sulle famiglie significa costruire un welfare del futuro .
Ci muoviamo in continuità con le politiche avviate durante i governi dell’Ulivo.
Quelle politiche si sono basate su un nucleo di valori condivisi; i diritti soggettivi; l’equità tra le generazioni; la parità tra i sessi e la pari responsabilità nei confronti dei figli e dei compiti di cura; il valore della maternità e della paternità; il superamento di ogni forma di discriminazione.
Abbiamo operato una distinzione tra definizione giuridica della famiglia e ruolo delle politiche sociali. Della prima non è stata messa in discussione la previsione contenuta nella Costituzione e nel Diritto di famiglia ricordando però che non si può fare solo riferimento all’articolo 29 della Costituzione ma anche all’articolo 30 che riconosce che ci sono rapporti familiari che non rientrano tra quelli “legittimi” e che tuttavia vanno socialmente riconosciuti e protetti. Si tratta dei rapporti di filiazione e rispetto alla filiazione. Abbiamo praticato le politiche sociali come politiche di cittadinanza, di inclusione, di sostegno ai legami sociali. Pertanto, esse si riferiscono a tutti i legami familiari ed hanno assunto come riferimento le famiglie anagrafiche. Ci siamo posti il superamento di quel familismo amorale che attribuisce alle famiglie un sovraccarico di responsabilità senza prevedere sostegni ed interventi; per sostenere la solidarietà dei legami e promuovere le libertà delle persone.
Abbiamo assunto come riferimento valoriale e pratico il superamento della contrapposizione tra libertà e famiglia. Se ogni individuo è portatore di relazioni e di legami familiari una politica tesa a sostenere la libertà non può ignorare quei legami specie se danno luogo a responsabilità. D’altra parte se si guarda alla famiglia occorre mettere a fuoco i vari soggetti che la compongono e cogliere le molteplicità di legami ed interdipendenze entro la rete parentale che fanno la ricchezza della vita affettiva e che costituiscono una risorsa nella vita quotidiana di molti.
Non a caso ogni misura che aiuti le donne e gli uomini a conciliare le responsabilità di cura e la partecipazione nel mercato del lavoro è una politica di ampliamento delle libertà per gli individui ed una politica per le famiglie. Ed ogni misura che offre ai bambini ed agli adolescenti opportunità educative e di esperienze è insieme una politica a sostegno delle libertà individuali ed una politica per le famiglie nella misure in cui ne accompagna ed integra i compiti di cura
Sentiamo la necessità di arricchire queste nostre proposte. E vogliamo farlo non solo nel confronto con le forze politiche, ma soprattutto, con gli attori sociali. La legge quadro, come vedete, è un cantiere aperto che vuole arricchirsi del vostro contributo.
L’arricchimento che ci prefiggiamo si propone due obiettivi:
1. implementare le leggi già esistenti e prevedere nuovi strumenti ed opportunità a sostegno delle responsabilità familiari.
2. superare ogni forma di discriminazione esistente in materia di diritti sociali e civili nei confronti delle convivenze al di fuori dal matrimonio.

Fonte: http://www.dsonline.it/allegatidef/bollettino%20welfare15320.doc

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