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«La destra non ce la fa più. Il voto favorirà la sua caduta»
3.01.2004

Un periodo critico per l’Italia, «un grande Paese, guidato da un piccolo governo». Il 2003 riletto da Piero Fassino è il calendario dei fallimenti «della destra che non ce la fa». Il 2004, al contrario, nasce sotto il segno «della speranza». «I sondaggi danno il centrosinistra in vantaggio - ricorda il leader Ds - E Berlusconi, se verrà sconfitto alle amministrative e alle europee della prossima primavera, non potrà non trarne le conseguenze»

Dovrebbe dimettersi, nella sostanza?

Se nel 2004 si ripetesse per il centrosinistra lo stesso risultato del 2003, o un risultato addirittura migliore, e se, in ogni caso, si registrasse l’acuirsi del deficit di consensi e di credibilità della maggioranza, Berlusconi non potrebbe far finta di niente. In ogni caso, la crisi del centrodestra si accelererebbe. Non bisogna dimenticare che nel 2005 ci saranno le regionali che precederanno di un anno le politiche, sempre che queste non maturino prima della scadenza naturale.

Berlusconi e Tremonti sono convinti che il vento favorevole della ripresa economica Usa darà nuovo ossigeno al governo. Attese giustificate?

Sarei più prudente. Tutti gli analisti rilevano che la crescita americana è in gran parte sostenuta dalla domanda pubblica e non da un rilancio dei consumi familiari interni. Quello Usa è uno sviluppo collegato sia alla sottovalutazione del dollaro, sia a un forte deficit del bilancio federale. Continuerà così fino alle elezioni presidenziali. All’indomani del 4 novembre del 2004, però, il presidente Usa, chiunque esso sia, dovrà mettere mano a una politica di austerità e di rigore severissima. La prospettiva di una ripresa italiana trascinata da quella Usa, quindi, è quanto mai aleatoria. In ogni caso, fin qui, il governo non è stato in grado di mettere in campo nessuna politica capace di permettere al nostro Paese di agganciare, eventualmente, la ripresa negli Stati Uniti. Tremonti ha presentato ormai tre Finanziarie, nessuna di queste è stata pensata in funzione dello sviluppo. Non ha previsto risorse per gli investimenti nella ricerca, né sostegni alla produzione, né aiuti alle esportazioni, né risorse per la modernizzazione delle infrastrutture.

Il suo bilancio di metà legislatura è molto critico. Lei pensa impossibile uno scatto di reni? Un centrodestra che cambi rotta per non soccombere?

Non vedo segnali di correzione. Siamo a metà legislatura, appunto. Oggi gli italiani possono misurare la distanza tra le aspettative suscitate dal centrodestra e l’azione concreta di governo. Berlusconi aveva vinto perché aveva convinto la maggioranza degli italiani che con la destra al governo tutti avrebbero avuto più opportunità. Due anni e mezzo dopo le cose sono diverse. Molti rischiano di avere meno di quello che avevano prima. L’economia è ferma, anche il 2003 è stato un anno di crescita zero. Nessuna Finanziaria è stata in grado di sostenere lo sviluppo e la crescita, di offrire alle imprese gli strumenti e le politiche necessarie per affrontare la competizione. Al contrario, siamo in presenza di una riduzione della produzione, dei consumi, delle esportazioni. L’economia è segnata da un tasso di stagnazione e di precarietà molto più alto di altri paesi europei ed extraeuropei.

Anche la vicenda Parmalat va inserita dentro questo bilancio in rosso?

La vicenda Parmalat, e prima il caso Cirio, sono la metafora di un sistema industriale e produttivo che manifesta una crescente difficoltà a misurarsi con il mercato. A un sistema economico che ha bisogno di essere sostenuto, questo governo non è stato in grado di offrire né una politica industriale di sostegno, né una politica fiscale adeguata, meno che meno una politica di modernizzazione. Se si guarda alle politiche sociali, poi, si vede che in ogni settore - dalla sanità, alle pensioni, dalla scuola. all’assistenza - si è operata una riduzione di risorse, di servizi e di prestazioni. Si sono introdotti nella vita delle famiglie fattori di incertezza, di insicurezza e di precarietà crescenti che si saldano con una drastica riduzione del potere reale d’acquisto. Effetto di un’inflazione che è molto più alta dell’adeguamento della dinamica dei redditi e in particolare di quelli fissi. Il 75% delle famiglie italiane dichiara di non essere più in grado di risparmiare perché l’intero reddito che ha viene speso per vivere.

Berlusconi attribuisce la colpa all’introduzione dell’Euro...

È ridicolo e irresponsabile addossare all’euro una colpa che non ha, come è dimostrato dal fatto che negli altri principali paesi europei, che hanno adottato la moneta unica, il carovita e la ripresa di inflazione non ci sono. In realtà c’è una diffusa inquietudine sociale che corre sotto la pelle del Paese. La vicenda degli autoferrotranvieri ne è stata la spia. Quella lotta, che ha assunto anche forme di sciopero selvaggio sbagliate e esasperate, non ha suscitato una indignazione generale in quei cittadini che pure ne subivano le conseguenze. Questo è significativo. Una parte non piccola di italiani - che pure non era certo felice di non trovare il tram alla fermata e si chiedeva perché doveva pagare quel disagio sulla propria pelle - in qualche modo si riconosceva nello stato di malessere di chi scioperava. Ci sono milioni e milioni di lavoratori il cui reddito individuale non supera i mille euro al mese. Non parliamo soltanto delle fasce tradizionali di povertà del nostro Paese. Oggi ci sono milioni di famiglie "normali" che vivono in condizione di precarietà.

Il 2003 è stato contrassegnato anche dal lodo Schifani, dagli attacchi alla magistratura, dalla legge Gasparri. Democrazia in pericolo o cosa?

Il modo in cui questa maggioranza e questo governo hanno affrontato temi cruciali come quelli della giustizia e dell’informazione, con un atteggiamento che è stato di continui strappi istituzionali - fino al punto di costringere il Capo dello Stato a un atto eccezionale come quello di rinviare alle Camere la Gasparri - è la conferma della inadeguatezza della destra a governare l’Italia.

Questo sul piano nazionale. E sul piano internazionale?

Il 2003 ci consegna un grave offuscamento dell’immagine del nostro Paese nel mondo. Il semestre di presidenza italiana Ue è stato un’occasione perduta. Si è cominciato insultando i parlamentari europei a Strasburgo e si è finito dovendo prendere atto del fallimento del vertice di Bruxelles. E tra l’uno e l’altro c’è stata una sequela di gaffe e di occasioni perdute. Penso alla totale incapacità di fare assumere all’Unione un ruolo nel dopoguerra iracheno, lavorando per superare i problemi che avevano diviso l’Europa. Penso alla totale assenza di una iniziativa della presidenza italiana sul conflitto in Medio Oriente. Penso al delicato tema dello smantellamento degli impianti nucleari in Iran, negoziato non dal ministro degli Esteri italiano a nome dell’Unione europea, ma dai ministri francese, inglese e tedesco. Il massimo che ha saputo fare Frattini è stato quello di mandare un telegramma per affermare che era d’accordo con i colleghi degli altri Paesi europei.

Il Pontefice chiede di dire basta alle guerre e rilancia la riforma delle Nazioni Unite. Il Capo dello Stato torna a parlare di multilateralismo...

E hanno ragione. Il 2003 si chiude con uno scenario internazionale preoccupante. Lo scacchiere iracheno è caratterizzato da un dopoguerra assai più travagliato e drammatico di quanto gli americani non prevedessero. Lo dimostra il numero di vittime post guerra superiore a quelle dello stesso conflitto. Lo dimostra il drammatico attentato di Nassiriya che ha colpito direttamente l’Italia. La crisi irachena è tuttora aperta. Certo, è positivo che un dittatore come Saddam sia stato cacciato. Tuttavia non può essere ignorato il fatto che una delle ragioni per la quale si fece quella guerra, rendere possibile la sconfitta del terrorismo internazionale, non è stato ancora raggiunto. Abbiamo avuto, al contrario, un’escalation terroristica particolarmente allarmante, in Iraq e nel mondo. Tutto questo ci consegna l’urgenza di quello che ieri il Santo Padre ha sottolineato: la necessità di fondare la pace sul diritto e di lasciarsi alle spalle definitivamente l'illusione che con l’unilateralismo e le guerre preventive si possa assicurare stabilità e sicurezza al mondo. Nell’agenda politica del 2004, tra le priorità, c’è la necessità di riprendere l’iniziativa per dare forza, ruolo e funzione alle istituzioni internazionali, a partire dall’Onu.

A gennaio verrà messo all’ordine del giorno il tema del rifinanziamento della missione italiana in Iraq. Il centrosinistra chiederà il rimpatrio dei nostri militari?

Dipenderà da quale evoluzione assumerà la transizione irachena. Il 2004 dovrà essere l’anno in cui si realizza, nei tempi più rapidi possibili, il passaggio di poteri dall’attuale autorità d’occupazione militare alle autorità civili irachene. Applicando la risoluzione dell’Onu che indica nella convocazione di elezioni e nell’approvazione di una Costituzione i due passaggi essenziali per realizzare una transizione verso la democrazia che metta il futuro del loro Paese nelle mani degli iracheni. Noi ci batteremo perché l’Italia agisca in ogni sede per sostenere, favorire e accompagnare questa accelerazione della transizione. La stessa presenza del contingente italiano in Iraq dovrà essere valutata in funzione di questo obiettivo.

L’Italia potrebbe avere ancora un ruolo anche per la pace in Medio Oriente. Ma che ruolo potrebbe esercitare un governo «che ha perso l’occasione della presidenza di turno del Consiglio europeo»?

Il 2003 è stato contrassegnato ancora da sangue, lutti, attentati, stragi in Medio Oriente. Qualche spiraglio nuovo per la pace si è intravisto con l’iniziativa di Ginevra promossa da significative personalità israeliane e palestinesi, a dimostrazione che anche nel contesto più difficile e critico il cammino della pace può essere ripreso e percorso. Ed è davvero sconcertante che alla presentazione ufficiale della piattaforma di Ginevra fossero presenti rappresentati autorevoli di tutti i principali governi del mondo e mancasse l’Italia che, essendo presidente di turno della Ue, a maggior ragione avrebbe dovuto essere presente. Il 2004 dovrà essere l’anno in cui la comunità internazionale dovrà riprendere con determinazione una iniziativa per favorire l’avvio di quei negoziati e di quegli accordi che consentano finalmente di dare a quella martoriata terra un futuro in cui israeliani e palestinesi possano vedere soddisfatte e riconosciute le loro aspirazioni. Il governo italiano, insieme agli altri paesi europei, può avere un ruolo importante, spero che non perda di nuovo l’autobus.

Quello che ha perso con il fallimento della conferenza di Bruxelles sulla Costituzione europea?

Si chiude un anno difficile per il processo d’integrazione europea. Il 2003 è stato importante perché con la Convenzione si è definita per la prima volta una Costituzione europea e una nuova architettura dell’Unione. Tuttavia, il fatto che la conferenza intergovernativa che avrebbe dovuto approvarla non abbia concluso i suoi lavori, dice quanto complesso e difficile sia il processo da portare a compimento. Il 2004 sarà un anno importantissimo. Dal primo maggio l’Ue passerà da 15 a 25 membri. Il 13 giugno si eleggerà il nuovo Parlamento europeo con i rappresentati dei popoli dei vecchi e dei nuovi paesi dell’Unione. L’allargamento, a maggior ragione, sollecita l’adozione di misure istituzionali e politiche necessarie a dare all’Europa forza, autorevolezza ed efficacia nella sua azione. Il fallimento della conferenza intergovernativa non deve indurre alla rassegnazione. Meno che mai bisogna pensare che l’Unione sia un obiettivo troppo ambizioso. l’Ue è una necessità vitale. Non c’è problema delle nazioni europee che possa essere deciso e gestito sulla base soltanto di politiche nazionali. Servono politiche europee e serve un’Europa che sia capace di pesare e di contare di più nel mondo.

Si riparla di Europa a due velocità, di nucleo storico dei Paesi fondatori. Da dove si dovrà ripartire per rilanciare il processo d’integrazione?

Credo che bisogna guardarsi dalle formule magiche e guardarsi da un’idea che può sembrare realista e che può diventare, invece, una scorciatoia pericolosa: "siccome è difficile il cammino dell’unità a 25 facciamo l’unità di un numero inferiori di paesi e le cose saranno più facili". Io penso che sia pericoloso abbracciare questa strada. L’Europa di cui c’è bisogno conta 400 milioni di cittadini. È grande, deve avere potenza economica e politica, deve essere capace di pesare parlando a nome di tutto il continente. Un nucleo più piccolo di paesi europei anche fortemente integrato rischia di non avere la stessa incidenza e lo stesso peso di un’Europa grande e unita. La strada è quella di riprendere faticosamente il percorso tracciato fin qui. Di ripartire dalle non conclusioni della Conferenza intergovernativa e, con pazienza, tessere la tela di una unità che consenta a ognuno dei 25 paesi dell’Ue di sentirsi pienamente parte del processo d’integrazione. Bisogna trovare le soluzioni per superare lo stallo dei mesi scorsi. Questo dovrà farlo soprattutto la sinistra. Perché sappiamo bene che la destra non ha mai creduto veramente nell’Europa. Ne abbiamo la riprova nel nostro Paese. Berlusconi, Tremonti, Castelli e Bossi considerano l’Europa un rischio, un impaccio. L’Ue, invece, è una gigantesca opportunità anche per l’Italia. Una opportunità che la destra italiana non riesce a cogliere. E anche il deficit d’Europa dimostra che siamo in presenza di una destra che manifesta due grandi limiti: l’assenza di un progetto per l’Italia e l’assenza di una classe dirigente capace di guidare il Paese in una fase delicata e difficile.

E il centrosinistra è in grado oggi di mettere in campo una classe dirigente all’altezza delle sfide?

Sì e gli elettori, nel 2002 e nel 2003, ci hanno premiato anche per questo. Le amministrative e le regionali dell’anno scorso sono state contrassegnate dalla generalizzata perdita di consensi della destra e dall’aumento di quelli del centrosinistra. Da maggio a oggi tutti i sondaggi mostrano un centrosinistra che, nelle intenzioni di voto, supera il centrodestra. Si registra una crisi di credibilità del centrodestra e una crisi di credito dello stesso Berlusconi agli occhi degli italiani. Il 2004 sarà un anno molto importante nel quale spetterà al centrosinistra la responsabilità di mandare un messaggio di speranza e di fiducia. Così come ha fatto il Capo dello Stato nel suo discorso di fine anno. Ciampi ha voluto sottolineare tutte le potenzialità e le opportunità che l’Italia ha nelle sua mani. Ma ha anche lanciato un monito alla classe dirigente - e in primo luogo a chi ha responsabilità di governo - ad assumersi le responsabilità, ad essere all’altezza delle sfide che l’Italia ha di fronte. Il Paese non ce la fa se chi lo guida non è capace di mobilitare le sue energie e le sue risorse.

Cosa dovrà fare il centrosinistra per preparare le elezioni del 2004 e del 2006?

Deve accelerare la costruzione di un’alternativa che dimostri agli italiani che un altro modo di governare è possibile e che il Paese può tornare a crescere. Dovrà compiere due scelte attorno alle quali già nel 2003 abbiamo lavorato. Da un lato dovrà caratterizzarsi sempre di più attorno ad un programma di governo. Dall’altro dovrà riorganizzare il proprio campo, consolidando l’alleanza larga che va da Rifondazione al centro moderato e, nel contempo, dovrà accelerare la costruzione, dentro questo centrosinistra largo, di un motore, di un pilastro forte riformista, progressista e democratico che dia solidità e stabilità all’alleanza. Le amministrative di quest’anno dovranno essere l’occasione per ripetere e consolidare il successo che il centrosinistra unito ottenne nel 2003. Con candidati credibili e autorevoli, con un’alleanza larga e unita, con programmi che parlino ai cittadini dei loro problemi. Nel contempo dovremo lavorare per preparare le europee accelerando la costruzione della lista unitaria...

La Convenzione di febbraio sarà l’occasione per allargare anche a Di Pietro?

Quella della lista unitaria è una sfida ambiziosa e impegnativa. Comporta anche dei rischi, come tutte le innovazioni. Tuttavia può rappresentare un fattore di cambiamento dirompente nella vita politica italiana. Il 90% delle forze dell’Ulivo si presentano agli elettori unite: è questa la risposta giusta alla domanda di unità che viene dalla nostra gente. Andiamo verso la Convenzione. Lì presenteremo simbolo, denominazione e programma. E per il suo successo è essenziale che la lista unitaria sia aperta al contributo di tutti i partiti e i movimenti che condividono il progetto. Credo che tutti debbano accogliere la sollecitazione di Prodi a costruire una lista unitaria senza veti, senza pregiudizi e senza condizioni precostituite.

Il 2004 sarà anche l’anno della federazione riformista?

Intanto sarà l’anno della lista unitaria alle europee. Dal risultato che conseguirà dipenderà, naturalmente, la prospettiva politica successiva. È evidente che noi abbiamo sempre pensato la lista unitaria non come un fatto puramente elettorale, ma come il primo passo verso la costruzione di una grande forza politica riformista, progressista, capace di assolvere in Italia la stessa funzione che svolgono in Europa i grandi partiti socialdemocratici. La forza principale di un’alleanza di centrosinistra larga. Il 2004 sarà anche l’anno nel quale dovremo valutare, sulla base delle europee, come incamminarci su questa strada. Il congresso dei Ds, statutariamente previsto per la fine dell’anno, potrà essere una sede per discutere e decidere di tutto questo.

E sarà anche l’anno in cui Prodi assumerà direttamente la leadership del centrosinistra?

Il centrosinistra ha scelto Prodi per guidare la competizione elettorale contro Berlusconi. E Prodi è già in campo, tant’è che la lista unitaria nasce da una sua proposta e si basa sul manifesto europeo che lo stesso Prodi ha proposto a ottobre. Al di là dell’aspetto specifico - se sarà o no candidato alle europee, cosa che dipenderà da una sua decisione e non da altro - Prodi è già e sarà sempre di più una presenza costante e continua nella politica italiana. Ed è chiaro che la sua leadership rafforza la proposta di alternativa per la quale il centrosinistra si batte.

 

da www.unita.it

 

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