Welfare Italia :: Dal Mondo :: Tocca ai grandi partiti disegnare il futuro della nuova Europa Invia ad un amico Statistiche FAQ
5 Maggio 2024 Dom                 WelfareItalia: Punto laico di informazione e di impegno sociale
Cerca in W.I Foto Gallery Links Documenti Forum Iscritti Online
www.welfareeuropa.it www.welfarecremona.it www.welfarelombardia.it www.welfarenetwork.it

Welfare Italia
Home Page
Notizie
Brevi
Il punto
Lettere a Welfare
Cronaca
Politica
Dal Mondo
Dalle Regioni
Dall'Europa
Economia
Giovani
Lavoro
Cultura
Sociale
Ambiente
Welfare
Indian Time
Buone notizie
Radio Londra
Volontariato
Dai Partiti
Dal Parlamento Europeo
Area Iscritti
Username:
Password:
Ricordami!
Recupero password
Registrazione nuovo utente
Brevi

 Foto Gallery
Ultima immagine dal Foto Gallery di Welfare Italia

Ultimi Links







Tocca ai grandi partiti disegnare il futuro della nuova Europa
3.01.2004

Intervista a Giuliano Amato a cura di Pasquale Cascella - da l'Unità - 30 dicembre 2003

Il corposo volume del «Progetto di trattato che istituisce una Costituzione europea» è in bella vista sul tavolo di lavoro. Giuliano Amato, di tanto in tanto, lo sfoglia, con cura, per cercare un riferimento preciso o uno spunto di riflessione sull’incerto destino di quella bozza faticosamente elaborata dalla Convenzione europea di cui è stato vice presidente. All’inizio del 2003 la grande speranza di Amato era di riuscire ad assolvere il mandato, ricevuto dodici mesi prima, in tempo utile per dare istituzioni, norme e principi costitutivi, alla nuova Unione europea, integrata dall’economia alla politica, e allargata fin quasi a raggiungere i suoi confini storici e naturali. Ora, purtroppo è la delusione a segnare il consultivo del 2003. Ma non al punto da indurre Amato a gettare quel libro dalla severa copertina bianca con le cose brutte, vecchie e inutili dell’anno che se ne va. Anzi.

Il 2003 doveva essere l’anno del compimento dell’Europa sognata dai padri fondatori. Non lo è stato. E nemmeno sappiamo se nell’anno che viene si riuscirà a sbloccare il lavoro compiuto dalla Convenzione. Che fare, allora, di questa ipotesi di Costituzione?

«È l’Europa a rimanere sospesa sulle due sfide che ha avuto davanti nel 2003: quella istituzionale e quella della crescita. Sfide, e rischi, che si cumulano. I padri fondatori, fautori com’erano di un’Europa politica, colsero già nella prospettiva del mercato comune un fattore unificante. Si piegarono a passare attraverso il piano economico nella convinzione che avesse dentro di se i prodromi dell’unificazione politica. Fu un’intuizione felice...»

Ma così non si è lasciato che l’economia avesse il sopravvento sulla politica?

«Eppure attraverso l’Europa economica si è andato formando un vissuto politico e il senso condiviso che la costruzione di un unico mercato servisse ad accrescere e diffondere un maggior benessere ma anche un futuro comune. A questo bisogno corrisponde l’approdo della Convenzione. Nessuno di noi ha mai pensato che la bozza di Costituzione consegnata ai capi di Stato e di governo fosse perfetta, anzi. Ma configurava l’architettura essenziale di un’Europa all’altezza dei tempi».

Questi, però, sono tempi grami. Ragione sufficiente per tenere le due sfide separate?

«Certo, le difficoltà della congiuntura rendono gli europei più sensibili alle ragioni economiche che a quelle istituzionali: non sarà un costituzionalista come me a offendersi per questa ovvia realtà. Da costituzionalista posso rilevare, per citare un solo esempio, che oggi 12 paesi su 15 (mancano il Regno Unito, la Danimarca e la Svezia) sono nell’Eurogruppo della moneta unica, e quindi costituiscono la maggioranza dell’Ecofin (il Consiglio dei ministri economici e finanziari) che adotta decisioni anche per l’area dell’Euro, ma a partire da maggio con l’allargamento a 25 paesi, e in assenza del rafforzamento previsto dalla Costituzione, i paesi dell’Euro saranno minoranza nell’Ecofin: 12 su 25. E da politico posso notare che la stessa sfida della crescita resta irrisolta. Cominciamo, quantomeno, a domandarci cosa serve alla crescita...»

Il costituzionalista Amato s’intende anche di economia. Allora?

«Allora l’allargamento dell’Europa a 25 paesi, anche se formalmente avverrà il primo maggio del nuovo anno, è da intendersi come un fatto compiuto. E per essere proficuo deve rappresentare un investimento: dell’Europa di 400 milioni di cittadini politicamente parlando, o dell’Europa che si offre a un mercato di 400 milioni di abitanti, se la si vuole vedere sul mero piano economico. Comunque, se è un investimento, dovremmo convogliare risorse verso i paesi a reddito più basso. Già questo implica dei sacrifici da parte dei paesi fondatori. E ancor più ne richiede l’altra esigenza, decisiva ai fini della ripresa: lo spostamento di risorse verso gli obiettivi prioritari individuati a Lisbona della ricerca, dell’innovazione, della formazione, delle infrastrutture. Se si vuole la crescita è essenziale compiere scelte necessariamente politiche».

Volendo, anche con il sistema attuale si possono compiere scelte politiche, sia pure coi tempi lunghi delle necessarie mediazioni.

«Guardi che non sto dicendo: ma come, vi avevamo costruito la Ferrari e voi vi tenete la vecchia Cinquecento! Lascio parlare uno studio europeo che ha calcolato come il sistema di voto della doppia maggioranza individuato dalla Convenzione, pur limitato rispetto a quanto molti – ed io stesso – avrebbero voluto, consente un tasso di decisione dieci volte superiore a quello dell’attuale sistema di voto del Consiglio europeo».

A vantaggio dell’efficienza, sicuramente. Ma non anche a danno dei paesi eventualmente dissenzienti, magari del calibro della Spagna e della Polonia, per citare i due paesi che hanno respinto la soluzione della convenzione?

«Al contrario, la riduzione della possibilità di formare minoranze di blocco induce alla ricerca di un accordo, ne accresce i margini di successo e valorizza il significato politico dell’Europa allargata a 25 paesi. Che, non dimentichiamolo, hanno condizioni ed esigenze diverse e, quindi, hanno bisogno di muoversi su binari entrambi rafforzati. Se, invece, si mette in discussione il valore politico dell’Unione, temo sarà sempre più facile innescare divaricazioni e divisioni. E sempre più difficile, se non impossibile, avere per l’investimento nell’allargamento quel rendimento minimo che serve a dare agli europei, tutti i 400 milioni di europei, la consapevolezza dell’utilità dell’Europa unita. Sarà sempre più un’Europa a rischio, ma proprio a rischio, su entrambi i fronti».

La conferenza intergovernativa non è sembrata avvertita, visto che sono prevalse le contrapposte rigidità. Deluso dalla presidenza italiana?

«Mi aspettavo che facesse di più. Non si è spesa tantissimo, neanche nel tempo: come non restare sorpresi che nella mattinata di sabato si fosse già chiuso e rinviato il capitolo Costituzione? A rendere il giudizio meno aspro è l’acquisizione che l’accordo non lo voleva nessuno. In un clima del genere qualunque presidenza si sarebbe trovata in difficoltà. Sarebbe stato grave se vi fosse stata una possibilità più elevata d’accordo e la presidenza italiana non l’avesse raccolta. È mancato un richiamo forte alle ragioni dell’Europa, questo sì. E se a qualcuno toccava iniettarlo, di sicuro avrebbe dovuto essere la presidenza: non dico che ce l’avrebbe fatta, ma almeno ci avrebbe provato. È che l’Italia era più interessata all’evento in sé che non al valore del suo oggetto, e questo ha finito per incidere sul risultato».

E adesso, con le elezioni alle porte prima in Spagna, poi in Polonia e infine in tutta Europa per il nuovo Parlamento, come credere che la presidenza irlandese, nel suo semestre, possa riuscire là dove ha fallito quella italiana?

«Io, però, non lo escludo affatto. Se vuole: non mi rassegno. So bene che la previsione più plausibile è che non si possa fare niente tranne che rinviare ancora. È però una previsione che espone la Costituzione a un rischio in più, perché nel secondo semestre non ci saranno solo nuovi governi in Spagna e Polonia ma anche un nuovo Parlamento e una nuova Commissione a Bruxelles, e questi nuovi rappresentanti europei potrebbero ritenersi non vincolati da un testo predisposto dai predecessori. Certo un bel giorno arriveranno alla convinzione che la Costituzione è ineludibile, ma nel frattempo chissà quanti guasti saranno intervenuti. Perché, allora, escludere a priori, e in qualche modo passivamente, che un risultato possa essere determinato prima da una scelta politica attiva e consapevole?»

Attivamente cosa si può fare?

«Si sottovaluta, forse perché non ci si rende conto delle possibili connessioni, che ad aprile, passate le elezioni in Spagna, la Commissione di Bruxelles dovrebbe portare a compimento il lavoro istruttorio sulle prospettive finanziarie (che è poi il bilancio pluriennale dell’Unione europea) relative al periodo 2007-2012 da presentare formalmente a luglio. Ora è evidente che c’è una correlazione tra le esigenze che i più diversi paesi, compresi Spagna e Polonia, vorrebbero veder appagare attraverso le prospettive finanziarie e gli atteggiamenti di ciascun paese nei confronti del futuro dell’Unione. Perché, allora, non provare a riprendere il lavoro sulla Costituzione delicatamente di conserva con il lavoro sulle prospettive finanziarie per verificare se è possibile voltare pagina?»

E se fossero la Francia, la Germania e i paesi fondatori dell’Europa ad avviarsi velocemente verso una cooperazione rafforzata, così da indurre i paesi più titubanti ad alzare il passo per non rimanere indietro?

«È certo responsabilità primaria dei paesi fondatori, non fosse che per ragioni storiche, favorire le azioni necessarie a riprendere il cammino, ma sinceramente dubito che i grandi paesi da soli siano in grado di alimentare questa spinta nella misura necessaria. Francamente l’idea di un’Europa a doppia velocità non riesce a convincermi: se il percorso è lo stesso è importante sapere dove si va, ma se ci dividiamo senza aver prima costruito un solido tessuto comune rischiamo di arrivare non all’Europa unita ma a due Europe, ciascuna indebolita dall’altra, ed entrambe incapaci di assolvere al ruolo che all’Europa spetta nel mondo».

Perché tanto scetticismo?

«Come dimenticare che Francia e Germania sono i paesi che, recentemente, hanno messo davanti le ragioni del proprio disavanzo interno e si sono divisi dalla Commissione che pure è l’istituzione che tutti riconosciamo essere il motore dell’integrazione europea? Siamo realisti: aspettiamo che i paesi fondatori, da soli, abbiano la forza e la capacità di riorientare in chiave europea politiche che richiedono in primo luogo a loro dei sacrifici? Certo, senza i paesi fondatori non potrà mai accadere, ma è sicuro che andando avanti da soli sarà questo che faranno? Vorrei che si rispondesse a queste domande, non che si proclami una visione ideologica dell’Europa. So di dire cose che possono destare reazioni anche nella nostra famiglia politica, ma a volte ho la sensazione che chi ha voluto l’allargamento se lo sia dimenticato e ne sia infastidito. Magari perché sulla vicenda irachena diversi paesi nuovi hanno avuto una posizione diversa e sgradita ai paesi fondatori».

Dice niente: non è stata la divisione sulla guerra in Iraq la cartina di tornasole dei ritardi e dei limiti dell’integrazione europea?

«Dico molto, lo so bene. Ma proprio perché non vorrei che si continuasse a vedere il futuro dell’Europa come un gioco tra cancellerie amiche e cancellerie meno amiche, penso che dovrebbe essere un tessuto politico più largo di quello dei paesi fondatori a sostenere gli sforzi necessari perché l’Europa assolva compiutamente al suo ruolo economico e politico. Per questo faccio appello ai grandi partiti europei - il mio: quello socialista, il partito popolare, quello liberale e i verdi europei - perché è il momento di dimostrare che non sono soltanto sommatorie di partiti nazionali ma intendono essere davvero partiti europei che compongono le varie spinte nazionali in una visione comune del futuro».

Dall’Europa all’Italia. C’è un legame tra il progetto di riforma delle istituzioni nel nostro paese, a cui si sta ora impegnando per l’Ulivo, e il lavoro compiuto alla Convenzione per la Costituzione europea?

«Direi che non c’è soluzione di continuità. Di riforme istituzionali mi occupo da 25 anni, a intervalli, nella duplice convinzione che abbiamo bisogno sia di un migliore sistema di governo sia di un migliore sistema di rappresentanza. A maggior ragione ora che siamo partecipi di una istituzione sovranazionale come l’Europa».

Lei, però, un tempo era per il presidenzialismo. Adesso perora il premierato ma senza il potere di scioglimento delle Camere. E per questo ha ricevuto opposte critiche, da "Il secolo d’Italia" al "Riformista". Cosa risponde?

«In un paese in cui si discute per decenni di una riforma prima di farla, come è capitato da noi, può capitare di mantenere in piedi vecchi progetti senza renderti conto che, applicandoli a una società che è venuta profondamente cambiando, si rischia non di fare esercitare sovranità ma di trasferirla. Se prima di mettere mano alla penna ci si rendesse conto dei congegni istituzionali dei quali si parla, si eviterebbero polemiche inutili. Il presidenzialismo del quale in passato sono stato fautore non ha niente a che vedere con l’elezione diretta di un primo ministro che assoggetta interamente a se il Parlamento. Il presidenzialismo, come dimostra il caso più illustre del medesimo che è quello degli Stati Uniti, si caratterizza perché dato un Presidente e dato un Parlamento, ciascuno con la propria legittimazione democratica e l’uno indipendente dall’altro, non si consente all’uno di assoggettare l’altro. Dunque, chi mi accusa per aver criticato una proposta di rafforzamento del primo ministro eletto direttamente e con il potere di sciogliere il Parlamento a volontà, non sa che cos’è né il presidenzialismo né il premierato. E, fortunatamente, non gli capita di fare un esame con me».

da www.unita.it

 

Welfare Italia
Hits: 1796
Dal Mondo >>
I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
Terza pagina

Sondaggi
E' giusto che Bersani si accordi con Berlusconi per le rifome ?

Si
No
Non so
Ultime dal Forum
La voce del padrone di Lucio Garofalo
Salotti culturali dell'Estate bolognese
Pippo Fallica querelo' Corriere della Sera e La Sicilia?
NO LEADER, NO PARTY di Luigi Boschi
UN PARTITO LENINISTA (LEGA) CHE SPOSA IL VATICANO di A.De Porti
POESIA DI VITA di Luigi Boschi
La vita spericolata del premier di Silvia Terribili
Romea Commerciale di Orlando Masiero
Sondaggio, 15mila i voti finora espressi
Buon che? di Danilo D'Antonio
L'Italia è una Repubblica "antimeritocratica" fondata sul lavoro precario
LA PROTESTA DEI SANGUINARI di Luigi Boschi
L'AQUILONE STRAPPATO di Antonio V. Gelormini
Il reality scolastico su "Rai Educational"
Vuoto indietro diventa proposta di legge,





| Redazione | Contatti | Bannerkit | Pubblicità | Disclaimer |
www.welfareitalia.it , quotidiano gratuito on line, è iscritto nel registro della stampa periodica del Tribunale di Cremona al n. 393 del 24.9.2003- direttore responsabile Gian Carlo Storti