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La questione dei bond argentini richiede una politica estera ita
10.01.2004

La questione dei bond argentini richiede una politica estera italiana ed europea.
di Giovanni Santini

Le vicende delle obbligazioni Cirio, e oggi quelle del crack Parmalat ci fanno tornare alla mente il problema, ancora irrisolto, dei detentori dei bond argentini. Tra le diverse vicende c’è un denominatore comune: la scarsa tutela che ricevono i risparmiatori dall’attuale sistema finanziario e dagli istituti di credito, tuttavia sono vicende assai diverse nelle loro implicazioni politiche.

Ricapitoliamo, innanzitutto, i termini del problema.

Gli italiani hanno sempre avuto e continuano ad avere un rapporto privilegiato con l’Argentina, questo lo si sa Ma mentre in passato questo legame è stato essenzialmente di natura affettiva – quale famiglia non ha almeno un antenato lì emigrato - negli ultimi anni ciò che ha attratto l’interesse di una parte degli italiani è stata l’alta remunerazione dei titoli emessi dal governo e da altri enti pubblici argentini.

Il debito argentino con creditori privati italiani ammonta a circa 14 miliardi di euro e riguarda oltre 450 mila piccoli e grandi risparmiatori. A seguito della grave crisi che ha colpito il Paese ed alle dimissioni del Presidente De la Rùa, determinate dalle drammatiche condizioni economiche del paese e dalle manifestazioni popolari del dicembre 2001, il Presidente Rodriguez Saà, rimasto peraltro in carica solo una settimana, dichiarò ufficialmente il “default” (lo stato di dissesto del bilancio statale) e quindi l’impossibilità di continuare ad onorare i debiti, ammontanti globalmente a più di 150 miliardi di dollari.

Il Presidente successivo, Eduardo Duhalde, alle prese con la svalutazione del peso e con un’economia in recessione, non affrontò mai seriamente il problema del debito con i privati, riuscendo solamente a raggiungere un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per rinviare il pagamento dei debiti con le Istituzioni Finanziarie Internazionali, evitando così di essere dichiarati insolventi da parte di queste ultime.

L’attuale Governo Kirchner, invece, forte di un notevole consenso popolare e di una timida ripresa economica, ha affrontato il problema, proponendo alle associazioni rappresentative degli investitori privati un rimborso del 25% del capitale nominale dei bond, come punto di partenza. Tale proposta non è stata finora presa in considerazione.
In realtà, allo stato attuale, il problema è di difficile soluzione.

Il Governo argentino, interrompendo il pagamento dei propri debiti, si è comportato come un padre di famiglia che, con pochissimi soldi in tasca, preferisce dare qualcosa da mangiare ai propri figli, invece di pagare gli interessi sul debito accumulato restando intrappolato in una spirale senza fine.

Il paragone non è azzardato. Si pensi che nel pieno della crisi economica, l’anno passato, il 57,5 % della popolazione argentina – cioè 21 milioni di persone – viveva al di sotto della linea della povertà, determinata da un reddito mensile per una famiglia tipo di 4 membri di appena 716 pesos, equivalenti a circa 230 Euro. Il 27,5 % di questi inoltre - 10 milioni di persone – era indigente, cioè viveva (o meglio non viveva), con l’equivalente di 100 euro al mese, sempre per una famiglia di 4 persone! Oggi la situazione sta solo leggermente migliorando.

E’ sicuramente più azzardato credere che a chi ha governato gli argentini negli anni precedenti, ed in particolare nella decade del Presidente Menem, stessero a cuore le condizioni di vita della propria gente come possono stare a cuore a un padre quelle dei propri figli. Le molteplici indagini aperte, in un clima politico ostile, su casi di corruzione, di arricchimento illecito e di tenuta di conti all’estero, stanno infatti dimostrando il contrario.

Per quanto riguarda il debitore, non c’è dubbio, quindi, che è veramente povero e che la cessazione dei pagamenti è stata determinata da un reale stato di necessità.

Non è altrettanto facile dare un giudizio sul fronte del creditore, che si presenta estremamente articolato ed in cui convivono situazioni diverse.

Molti degli investitori sono piccoli risparmiatori, convinti a “puntare” sui titoli argentini tutto o buona parte del loro risparmio. La media del valore di ogni investimento è di 25-30 mila Euro. Sui piccoli risparmiatori e sul loro tenore di vita deve ha sicuramente inciso la sospensione dei pagamenti, pur senza ridurli alle misere condizioni in cui vive più della metà delle famiglie argentine.

Anche tra questi piccoli risparmiatori è ben diversa la situazione di chi aveva investito già da qualche anno, e quindi ha lucrato per vario tempo gli altissimi tassi di interesse garantiti dai bond argentini, da quella di chi aveva deciso l’investimento solo negli ultimi tempi, registrando così una perdita secca.

Poi ci sono i grandi investitori che, pur avendo esposizioni maggiori, sicuramente risentono meno del default argentino, essendo il proprio capitale ben più consistente e gli investimenti sicuramente diversificati.

Un capitolo a parte meritano poi gli istituti di credito che hanno gestito i bond argentini e di cui in questa vicenda si è finora parlato troppo poco e le cui responsabilità sono invece molto grandi.

La magistratura ha già avviato due indagini, una penale ed una civile per l’eventuale rimborso di capitale ed interessi maturati, a seguito di una denuncia di un avvocato che rappresenta circa trecento risparmiatori.

In pratica le banche italiane, che possedevano obbligazioni argentine, potrebbero averle offerte ai risparmiatori, allettandoli con i rendimenti nettamente superiori a quelli di Btp e Cct, ma senza avvisarli adeguatamente dei relativi rischi. In tal modo avrebbero trasferito il “rischio-paese” dalle proprie casse a quelle dei clienti, secondo lo schema già utilizzato per i titoli della Cirio.

A parte, comunque, questa ulteriore possibilità che si apre per i risparmiatori, le loro legittime aspettative nei confronti dell’Argentina difficilmente potranno avere un riscontro finché quel Paese non sarà uscito dall’attuale crisi economica e non avrà riattivato i circuiti finanziari interni ed internazionali fisiologici. Pretendere che ciò avvenga prima e prescindendo da tale condizione è irrealistico.

Ciò che quindi un Paese come l’Italia, così legato all’Argentina, può e dovrebbe fare è realizzare politiche economiche, sia a livello interno che, soprattutto, in sede comunitaria, che aiutino tale ripresa, sapendo che in tal modo si sarà portato anche un contributo alla soluzione dei tanti casi individuali dei risparmiatori italiani.
Finora il Governo italiano, dopo i tanti e roboanti proclami di aiuto a favore del “popolo fratello” di Argentina, ha fatto ben poco in tal senso.

Manca una netta posizione italiana nell’UE sulla politica economica e commerciale verso il Mercosud (Il mercato integrato tra Argentina, Brasile e Uruguay). Il flusso dei finanziamenti per programmi di cooperazione a favore delle piccole e medie imprese argentine è iniziato solo ora ed in misura ridottissima. Non si sono studiate forme di aiuto che consentano al governo argentino di realizzare economie, ad esempio nelle esportazioni, da destinare alla restituzione del debito estero.

In poche parole la “questione argentina” non è più una priorità nell’agenda del Governo italiano, se mai lo è stata, e forse ne è uscita del tutto.

Sta al centro-sinistra ed all’opinione pubblica più sensibile a questo tipo di problemi far sì che l’Italia non si dimentichi, ora che l’emergenza sembra passata, del caso argentino, anche nell’interesse della sua politica estera e della tutela dei suoi risparmiatori, e che le relazioni con questo Paese non si riducano a proclami retorici, ma consistano in progetti concreti che possano favorire la ripresa economica argentina.

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