11.01.2004
Il dibattito sulla grazia ad Adriano Sofri E' UN UOMO PROFONDAMENTE CAMBIATO Al momento dei fatti che hanno portato in carcere Adriano Sofri con una condanna a 22 anni per l’omicidio del commissario Calabresi (1972) mi trovavo sull’altra parte della barricata. Ero già sindaco di Vedano Olona e mi sentivo avversario fiero e convinto di Lotta Continua, della sua ideologia e di tutto ciò che essa rappresentava. La circostanza di aver appena terminato il corso di laurea in sociologia all’Università di Trento (covo dei movimenti più estremisti) e di avere dunque una certa dimestichezza con le prassi “rivoluzionarie” dell’epoca, non era fattore di attenuazione, semmai di rafforzamento della mia opposizione a teorie che ritenevo pericolose per la società italiana. Ebbene, non da pochi giorni ma da un bel po’ di tempo, ho maturato un’opinione favorevole alla grazia per Adriano Sofri. Ho riflettuto molto sull’esperienza in parte drammatica di Lotta Continua. Mi è accaduto di provare un certo sbigottimento nel vedere rapide e importanti fortune professionali, sociali e politiche, sorridere a ex militanti di questo movimento che avevano compiuto repentini e spericolati “salti della quaglia”. Ma il punto vero è che Lotta Continua, certamente eversiva, non era però forza criminale; ne lo erano, in generale, i suoi leaders. Ho letto alcuni scritti di Adriano Sofri dal carcere di Pisa che parlano di pace e di guerra, di cittadini e di istituzioni, di diritti e doveri civili, di emancipazione dei popoli sottomessi. È un uomo profondamente cambiato che difende i tratti essenziali (a suo dire) di Lotta Continua ma che rifiuta la violenza come fattore di cambiamento e di giustizia sociale. Ha ancora senso il carcere, praticamente a vita, per una persona con la sua storia? Il fatto che sia favorevole alla grazia per lui non mi fa però sottovalutare le difficoltà e i punti interrogativi che un tale provvedimento pone al Presidente della Repubblica e a tutti noi. La grazia non è un diritto ma un atto di clemenza che di norma viene richiesto come ha fatto Ovidio Bompressi condannato per il medesimo reato. Perché Sofri si è sempre rifiutato di farne domanda? Perché ciò significherebbe ammettere il benché minimo ravvedimento? Lui spiega che sarebbe come dichiararsi colpevole di un assassinio che non ha commesso. C’è in questo atteggiamento l’estrema autodifesa del condannato senza macchia oppure la volontà di trasformare l’eventuale grazia in una sorta di quarto processo di assoluzione, dopo i primi tre gradi di giudizio che lo hanno definitivamente condannato? È chiaro che anche per me sarebbe inaccettabile questa seconda interpretazione dell’atto di clemenza, che non dovrà mai diventare una sconfessione politica di una sentenza passata in giudicato. Altri dubbi, immagino, tormentano la coscienza del Presidente Ciampi che si è già tuttavia manifestato disponibile alla concessione della grazia. In carcere vi sono altre persone, meno famose, condannate per reati simili e alcuni di loro stanno attendendo una clemenza che hanno ripetutamente richiesto. Quale sarà il loro destino? Anche da questo punto di vista assume rilevanza decisiva la discussione intorno alla proposta di legge Boato che tende ad eliminare la controfirma del Ministro di Grazia e Giustizia, vista la sua contrarietà alla concessione della grazia. Un punto deve restare fermo. L’atto di clemenza, che anch’io auspico, non può suonare delegittimazione dell’operato della magistratura, durato anni e anni in un contesto difficile e rischioso.
Giuseppe Adamoli Consigliere Regionale della Margherita
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