Welfare Italia :: Lavoro :: Immigrazione,tra le nostre diffidenze e l'integrazione Invia ad un amico Statistiche FAQ
28 Aprile 2024 Dom                 WelfareItalia: Punto laico di informazione e di impegno sociale
Cerca in W.I Foto Gallery Links Documenti Forum Iscritti Online
www.welfareeuropa.it www.welfarecremona.it www.welfarelombardia.it www.welfarenetwork.it

Welfare Italia
Home Page
Notizie
Brevi
Il punto
Lettere a Welfare
Cronaca
Politica
Dal Mondo
Dalle Regioni
Dall'Europa
Economia
Giovani
Lavoro
Cultura
Sociale
Ambiente
Welfare
Indian Time
Buone notizie
Radio Londra
Volontariato
Dai Partiti
Dal Parlamento Europeo
Area Iscritti
Username:
Password:
Ricordami!
Recupero password
Registrazione nuovo utente
Brevi

 Foto Gallery
Ultima immagine dal Foto Gallery di Welfare Italia

Ultimi Links







Immigrazione,tra le nostre diffidenze e l'integrazione
11.01.2004

LEGGE BOSSI-FINI, UN ANNO DOPO "IMMIGRATI: TRA NOSTRE DIFFIDENZE, BISOGNO D'INTEGRAZIONE E VOGLIA DI PARTECIPAZIONE

SEMINARIO UIL

INTRODUZIONE DI GUGLIELMO LOY,
SEGRETARIO CONFEDERALE UIL

In quest’ultimo anno la UIL ha inteso organizzare una serie di appuntamenti, di approfondimento e di riflessione, sulla tematica dell’immigrazione convinta che, sempre più, la questione della presenza di milioni di cittadini non italiani pone a tutti, compreso il sindacato, l’obbligo di aggiornare ed adeguare la propria elaborazione, la propria strategia, la propria capacità di organizzare le persone, di promuoverne in maniera realistica ed originale l’integrazione. Non vogliamo celebrare con quest’iniziativa una stanca, retorica e rituale cerimonia sulla solidarietà e la fratellanza, non perché non crediamo in questi valori, ma perché si tratta a nostro avviso di costruire, nel concreto, vere e proprie politiche che rispondano alle novità che sono presenti nella nostra società. Una società complessa, piena di contraddizioni, ma anche bisognosa di risposte e progetti originali e attuali.

La migrazione, inoltre, è un processo in costante evoluzione che continuerà a giocare un ruolo essenziale nelle società di tutto il mondo, con implicazioni politiche, economiche, sociali e culturali.

Oggi nel mondo – sono dati dell’ONU – 175 milioni di persone risiedono in un Paese differente da quello di nascita, cifra che è raddoppiata negli ultimi 25 anni. Di questi, quasi un terzo (56 milioni) vivono in Europa: cifra destinata ad aumentare anche per ragioni demografiche.

Secondo recenti dati (sempre di fonte ONU), il differenziale demografico tra Africa ed Europa è di oltre 5 punti percentuali, un gap storicamente tra i più grandi. In termini numerici questo significa che tra il 2000 ed il 2020 sono stati ipotizzati 50 milioni di persone in piú (in etá tra i 20 ed i 40 anni) nell’Africa del Nord e ben 120 milioni in piú nell’Africa Subsahariana.

Anche in Italia il fenomeno comincia ad essere consistente dato che, già oggi, vi è un immigrato ogni 20 persone. D’altro canto il nostro Paese e tutta l’Europa hanno un bisogno vitale di migranti per arginare il declino demografico ed economico altrimenti irreversibile.

Come vedete dal programma, chiederemo ai nostri ospiti di aiutarci a comprendere e capire cosa si sta muovendo nel mondo istituzionale, e non solo, riguardo ad un fenomeno che ormai comprende caratteristiche diverse e complesse. Convivono gli aspetti dell’emergenza, degli sbarchi, con quelli di tantissimi cittadini che ormai nel nostro paese vivono da decine di anni, che hanno figli nati in Italia, che parlano la loro lingua ma anche un italiano corretto, a volte, con un forte accento (gergale) tipico di dove vivono. Convivono laureati in Italia con persone appena arrivate o appena regolarizzate. Convivono nuclei familiari stabili con donne e uomini ancora non integrati che “girano” per il nostro paese in cerca di migliore condizione di vita. Convivono i legittimi sentimenti di coloro che pensano e sperano di tornare al più presto al loro paese con quelli, altrettanto legittimi, di coloro che considerano a pieno titolo l’Italia come il loro paese.

Anche per questo invitiamo ad andare oltre la discussione sulla legge Bossi–Fini, non perché essa non meriti una riflessione ed, in particolare, come si sviluppa la sua applicazione, ma perché crediamo che la problematicità del tema c’imponga di volare alto.

Ci aspettiamo di sentire dai nostri relatori spaccati importanti su vari aspetti del tema in modo tale da permettere, alla fine di questa giornata di approfondimento, di tirare le conclusioni più ricche dal punto di vista teorico e pratico.

Siamo convinti che il Sindacato, in Italia, debba focalizzare la propria attenzione su due grandi questioni che potremmo riassumere nella “glocalizzazione” dell’immigrazione. Perché glocalizzazione? Perché il fronte su cui si misura la capacità di un sistema paese e della sua comunità di governare tali processi, sono quello internazionale e quello del territorio.

Avrete notato che oggi sono con noi due alti responsabili delle politiche migratorie dei ministeri maggiormente interessati: il Ministero degli Interni e quello del Welfare.

Partecipano anche quattro rappresentanti di importanti istituzioni locali quali la Regione Veneto, l’Emilia Romagna, il Lazio e un Comune che ha avviato un’importante esperienza sul piano dei diritti di cittadinanza: Ravenna. Perché conferiamo grande importanza alle istituzioni locali, è presto detto e ci torneremo successivamente: politiche sociali e dell’assistenza, politiche del lavoro e della formazione, sono i cardini su cui si svilupperà, o meno, una buona politica di integrazione. E queste politiche sono, già oggi, in maniera rilevante (se non in via esclusiva) in mano alle Istituzioni locali.

Quindi, con la giornata odierna, consolidiamo un processo di elaborazione e di analisi sulla tematica dell’immigrazione aprendo più finestre, fuori dal nostro paese e nel piccolo della realtà territoriale, disomogenea e articolata.

Abbiamo con noi, come detto, due autorevoli rappresentanti dei Ministeri più fortemente impegnati sul fronte dell’immigrazione. Il Ministero dell’interno ha gestito la fase più complessa della nuova legge (la Bossi-Fini): la regolarizzazione. Le cifre sono note (oltre 700.000) ed è nota la complessità di tale operazione. Non rinunciamo a questa occasione per sottolineare i ritardi nelle procedure e i tanti, tantissimi, problemi che la stessa procedura ha fatto emergere. Siamo anche coscienti come la macchina in corsa abbia avuto bisogno di numerose ed urgenti revisioni e di come siamo riusciti, come sindacato (sia a livello nazionale, che a livello territoriale) a far modificare, in sede amministrativa e di attuazione pratica della legge, alcuni aspetti oggettivamente lacunosi e contraddittori.

Di fondo, oltre al giudizio critico alla legge che abbiamo espresso, riscontriamo ed abbiamo verificato l’esistenza di una sorta di autismo politico ed istituzionale da parte degli organi istituzionali interessati e coinvolti. Molti dei problemi riscontrati, e solo in parte risolti, sono figli del “non confronto” con chi tutti i giorni è a contatto con gli immigrati: i sindacati ma non solo. Citiamo la questione dei licenziamenti “preventivi” (con i tanti abusi compiuti da aziende spregiudicate), che sono stati successivamente normati con le circolari ministeriali, e denunciamo la rigidità normativa che ha escluso dalla regolarizzazione decine di migliaia di lavoratori, al confine tra la dipendenza ed il lavoro autonomo, e che contribuirà a ledere troppi cittadini esclusi da questa opportunità. E’ bene ricordare anche gli aspetti positivi come il confronto con il Ministero degli interni, ed in particolare con il Sottosegretario On.le Mantovano, teso a produrre realistiche e razionali interpretazioni alla legge per evitare beffe e danni ai cittadini ed alle imprese coinvolte nella regolarizzazione stessa.

Ma una valutazione sulla Bossi-Fini trascina una riflessione più ampia sulle grandi politiche migratorie. Non a caso è da alcuni mesi (ma a livello Europeo è da più tempo) che il “tema” centrale, al di là di qualche cinica e inopportuna affermazione, è quello del “governo” dei grandi flussi migratori. Convinti, non solo noi, che non c’è muro che tenga di fronte alle spinte del bisogno ma anche alla richiesta di energie nuove che viene dall’economia nazionale e, in generale, dalle società “anziane”, come quella europea ed italiana. Certamente nessuno, tantomeno la UIL, può ragionevolmente pensare al “tana libera tutti”, e cioè entri chi vuole o chi può, pena una crisi di rigetto che provocherebbe più danni che benefici agli stessi cittadini non comunitari. Però rimane aperto il problema, appunto, del come regolare i flussi. Certamente una politica europea è inevitabile e obbligatoria. Partiamo quindi dai dati europei per dire che è presumibile che lo stesso dato italiano (4 % della popolazione non comunitaria) e tenderà a crescere.

Trovare la quadra tra la rigidità di chi sostiene “entra solo chi ha già un lavoro” – cosa che fa a pugni con il convivere con la mobilità che le nuove economie impongono (e di cui si esalta la modernità) - e la controrigidità di chi è fautore del “entra chi vuole” a prescindere dal grado di assorbibilità sociale ed economica, NON E’ FACILE. Uno degli aspetti più contraddittori della legge è proprio quello della rigidità dell’ancoraggio ad un lavoro stabile e duraturo del permesso di soggiorno e della possibilità (scarse) d’ingresso. Contraddittorio per la forte discrepanza tra alcune normative sul lavoro, riformate con la recente legge 30 (Biagi), e la tipologia di lavoro imposta al lavoratore immigrato considerato, a torto o ragione, più disponibile a forme di flessibilità regolata. Viene da pensare, ad esempio, al lavoro a chiamata, al di là del giudizio critico che si vuol dare a tale strumento, e come tale tipologia sia sostanzialmente inapplicabile ad un cittadino non comunitario che voglia, o abbia la necessità, di entrare nel nostro paese e come questa normativa sia, di fatto, inutilizzabile da imprese che intendono avviare lavoratori in base a questa modalità.

Due, a nostro avviso, i più significativi terreni da approfondire dal punto di vista generale: il rapporto bilaterale, ma non solo, con il paese di provenienza, e vi sono esperienze interessanti su questo terreno, e le politiche di sviluppo verso i paesi stessi. Cosa intendiamo per politiche di sviluppo non è facilmente riassumibile: sostegni alla creazione di imprese, sostegno a politiche formative adeguate e grandi interventi infrastrutturali. Si deve tener conto, però, che rispetto ad anni fa molte sono le condizioni sociali, culturali ed economiche cambiate: le risorse da utilizzare al meglio, le sinergie sovranazionali ed europee, lo stato del livello di libertà e democrazia nei paese destinatari degli aiuti e, non ultimo, il fatto che in Europa, e quindi anche in Italia, vi sono decine di migliaia di cittadini di quei paesi, che hanno ottenuto soddisfazioni e successo anche come piccoli e medi imprenditori e che potrebbero essere un veicolo straordinario di accompagnamento allo sviluppo nel loro paese d’origine, veri e propri “testimonial” che potrebbero svolgere un ruolo molto più efficace di aiuti diretti ai governi, la cui “produttività” e “redditività” non sempre è dimostrabile. Anche il Sindacato è impegnato su questa sfida ed infatti la UIL, a novembre, terrà una iniziativa in Tunisia per lanciare un progetto pilota di cooperazione. Lo farà confrontandosi anche con le nostre istituzioni, oltre che con le forze sociali tunisine, con lo scopo di contribuire a dare concretezza a queste politiche di particolare rilievo per l’Area Mediterranea. Dall’Onorevole Mantovano, cui abbiamo riconosciuto sensibilità e attenzione alle nostre idee, ci attendiamo un contributo costruttivo su queste complesse tematiche così come ci attendiamo un parere su il Regolamento di attuazione della legislazione della materia e se esso sia uno strumento adeguato a rispondere alle molte delle problematicità del fenomeno. A tal fine, oggi pomeriggio, approfondiremo alcuni aspetti dello stesso Regolamento con una visione tecnico-legale necessaria per comprenderne limiti e difetti. Tra l’altro abbiamo aperto, nei mesi scorsi, un confronto con la Presidenza del Consiglio per proporre delle modifiche per noi significative. Anche se formalmente non ancora varato (attualmente dovrebbe essere all’esame della Conferenza Stato-Regioni), il Regolamento della Legge 189/92, che modifica ed integra il DPR del 31 agosto 1999, sembra ricalcare un approccio sul tema dell’immigrazione basato, non sul riconoscimento e rispetto dei diritti della persona, ma su di una logica meramente funzionale alle esigenze del mercato del lavoro nostrano. Una visione dei flussi migratori come un esercito di disperati di cui diffidare “a priori”, da utilizzare il meno possibile e nel più breve tempo possibile.

Non che la Legge sia un’altra cosa, naturalmente. Ma il Regolamento, nella sua impostazione, sembrerebbe applicare all’immigrato un trattamento “punitivo”, rispondendo al luogo comune che vede nel cittadino migrante una sorta di “bestia rara”, diversa da noi italiani e con meno diritti, contraddicendo così - nella filosofia, ma anche nella pratica- le Convenzioni internazionali in materia di diritti della persona, prima tra tutte la Convenzione Onu del 1990 sul diritto dei migranti e delle loro famiglie, entrata in vigore lo scorso luglio, e contraddicendo lo spirito delle Direttive UE che non possono essere recepite solo sulla parte, anche se importante, del controllo delle frontiere e della sicurezza, così come la Confederazione Europea dei Sindacati ha, in questi giorni, espresso al Presidente di turno dell’Unione Europea.

Una filosofia che è facilmente leggibile in molti articoli del nuovo testo, a partire da quello relativo al contratto di soggiorno che considera alla stessa stregua l’immigrato appena entrato nel nostro Paese e quello residente da più anni, ugualmente soggetto all’espulsione se – senza lavoro – non lo trova entro sei mesi. C’è poi il diritto all’unità familiare, complicato da procedure inutilmente onerose per l’immigrato, costretto a più viaggi nel Paese di origine per presentare e ritirare personalmente, al consolato italiano, la documentazione necessaria alla pratica di ricongiunzione, che la delegazione italiana deve tradurre e legalizzare; procedura i cui costi vengono totalmente imputati al richiedente. Anche il diritto alla Difesa è messo in discussione, quando si prevede che un permesso di soggiorno “per motivi di giustizia” non possa superare un totale di sei mesi e soltanto “nei casi in cui la presenza dello straniero sul territorio nazionale sia indispensabile in relazione a procedimenti penali in corso…”. In contrasto – tra l’altro – con lo stesso art. 12, comma 3-bis T.U., introdotto dalla Bossi-Fini, che assegna al magistrato la facoltà di negare l’espulsione amministrativa dello straniero, in presenza di inderogabili esigenze processuali e con l’articolo 17 T.U., modificato dalla Bossi-Fini nel quale è sancito il diritto dello straniero ad avere un soggiorno necessario all’esercizio del diritto di difesa per motivi giudiziari.

In questo modo, noi crediamo, non si dia risposta alle esigenze di accoglienza ed integrazione dei nuovi cittadini extra-comunitari, bensì si rischia di creare le condizioni, nel futuro prossimo, per più gravi ed irreparabili conflitti sociali.

Chiederemo un parere anche al dottor Silveri, Direttore Generale per l’immigrazione del Ministero del Welfare, che rappresenta l’altro grande versante nazionale delle politiche di indirizzo pubblico verso i processi dl integrazione: sia in materia di lavoro che in ambito sociale. Siamo coscienti che il Ministero del Welfare abbia vissuto profonde modificazioni a seguito delle recenti riforme Costituzionali, ma è ancora evidente il suo ruolo ed il suo compito. Superata la fase emergenziale della regolarizzazione, crediamo sia giunto il momento di avviare o consolidare politiche sociali coordinate ed efficienti in tutto il paese. La stessa integrazione delle politiche sociali, ed i suoi strumenti legislativi, sono a nostro avviso una grande opportunità a partire dalla rivisitazione della 286 e del necessario protagonismo delle istituzioni locali. C’è da riscrivere, in sintesi, la politica sociale dell’immigrazione alla luce dei grandi cambiamenti che il nostro paese ha vissuto. Oggi, come suddetto, non c’è una figura rigida dell’immigrato. La stessa letteratura ci descrive, in molti casi efficacemente, come siamo entrati nella fase adolescenziale dell’immigrazione. Il grosso dei cittadini non comunitari è entrato tra gli anni ‘80 e ’90; ha stabilizzato la sua posizione da anni; nascono bimbi in Italia figli di immigrati; le scuole vedono sempre più visibile e significativa la presenza di alunni provenienti da più paesi. Tutto ciò, come detto, modifica dal basso il nostro modello di società e di convivenza. Lo modifica naturalmente anche nel mondo del lavoro e questo lo vedremo più avanti.

C’è un secondo grande fronte a cui abbiamo accennato: è quello delle città, dei grandi territori e delle loro istituzioni. All’assessore dell’Emilia Romagna Borghi chiediamo di esporre le strategie (in gran parte condivise dalla nostra struttura Emiliano Romagnola) di revisione legislativa regionale sull’immigrazione, ma anche come essa si integri con la strumentazione legata alle politiche del lavoro e della formazione, in gran parte in mano, anch’esse alle Regioni. Lavoro e Formazione professionale “dedicata” ed ancorata alle esigenze dei mercati del lavoro locali (quali politiche e quale programmazione per la formazione di cittadini extracomunitari), ma anche strumento di crescita nei paesi d’origine con appositi progetti formativi e di orientamento. Ecco perché attribuiamo grande importanza all’azione ed all’attività delle Regioni su questo versante; ed oggi, con la presenza dell’Assessore Zanon del Veneto e dell’Assessore Simeoni del Lazio, verificheremo se le nostre proposizioni sono suffragate dai fatti e dall’azione delle Regioni, sia su come la programmazione formativa viene proposta, sia su come l’integrazione delle politiche attive del lavoro con la formazione stessa si concretizza. A tal fine i dati sono crudi ma significativi: per ogni dieci avviati al lavoro 1 almeno è extracomunitario. In alcune aree del paese questa percentuale arriva ad 1/3 ed in alcuni sistemi produttivi, in specie quelli stagionali (agricoltura e turismo), vi è quasi un “monopolio” e, per dirla brutale, se non vi fossero lavoratori non comunitari molte imprese entrerebbero in crisi drammatica. Crediamo sia un grave errore politico non aver avviato, nella maggioranza delle Regioni, una stagione di Riforme della legislazione sull'immigrazione.

Ma la questione dell’integrazione non può essere, ad avviso della UIL, solo legata alla questione del lavoro o strettamente assistenziale. Pensiamo, e su questo insistiamo con forza, ad altri terreni significativi come la scuola. Nel 2002 gli alunni stranieri hanno raggiunto le 182 mila unità, pari al 2,31% rispetto agli alunni italiani. Dalla tabelle che avete si nota anche la crescita costante e significativa degli ultimi anni. E la scuola, a partire dalle materne ed elementari, è il primo luogo di integrazione. Ed è importante segnalare che la nostra categoria della Scuola sta preparando su questo tema, un interessante lavoro sul come cambia il lavoro degli operatori.

Ma l’integrazione, inevitabilmente pone, in una moderna attuazione del principio dei diritti e dei doveri, anche il tema della “cittadinanza”. Ci riferiamo, in particolare, alla questione del diritto di Voto, nel caso di quello amministrativo, che è ormai questione ineludibile. La poniamo, forti anche di un mandato congressuale ed anche perché ci sono elementi statutari che ci impongono queste scelte: siamo in presenza di quasi tre milioni di “contribuenti”, di cittadini che sono esclusi dalla partecipazione all’elezione del proprio rappresentante nelle istituzioni. Con spirito riformista, ma ancorati ai più avanzati modelli europei, partiamo dalle prime esperienze per verificare come arrivare ad un obiettivo che, se raggiunto, alzerà il grado di integrazione in maniera significativa. Il Comune di Ravenna è quello con una pratica tra le più avanzate su questo tema. Dalla sua recente esperienza partiamo per verificare, come UIL, come proseguire su questa strada vedendo, con piacere, che stanno crescendo scelte politico-amministrative diverse, ma significative, come a Genova e a Firenze. All’Assessore Farabegoli poniamo però un dubbio: non c’è il rischio, se queste iniziative non vengono concretizzate e non si evolvono, di costruire dei “ghetti” rallentando processi di partecipazione più completi? E non è opportuno che si apra nelle Regioni, in occasione della definizione dei nuovi Statuti, una riflessione che porti, pur nell’ambito di una cornice costituzionale incompleta, all’inserimento di veri e propri articolati tendenti ad allargare il diritto di voto nelle Regioni stesse?

Riguardo la questione della partecipazione, non possiamo esimerci dal non aprire una finestra su ciò che è più direttamente competenza del Sindacato: lo strumento contrattuale. Sentiremo a tal proposito l’esperienza della categoria dei metalmeccanici, ed avremmo potuto sentire altre esperienze come i chimici, la sanità (con la questione, ad esempio, degli infermieri non ancora ben regolamentata) gli edili (ricordando che in alcune provincie questa categoria vede tassi di lavoratori non comunitari a due cifre), o gli alimentaristi - categoria che recentemente ha siglato il proprio contratto nazionale con una innovazione riguardante i lavoratori stranieri. Partecipazione e contratto di lavoro non possono essere disgiunti, perché solo attraverso una nuova regolamentazione di rapporti di lavoro e delle norme che li regolano, si riuscirà a coniugare certezze del diritto e risposte moderne ai bisogni dei lavoratori. Tenendo conto che, così come cambiano la composizione del mercato e dell’organizzazione del lavoro, va prodotta una riflessione sull’aggiornamento degli strumenti di regolazione (i contratti in primis) di questi aspetti.

Un ventaglio, quindi, che crediamo ampio di punti di vista sull’immigrazione per consentirci di rafforzare le nostre elaborazioni e di raggiungere gli obiettivi fondamentali per il sindacato e per la UIL. C’è poi tutto il lavoro interno, che vedremo successivamente, che però dovrà avere un forte legame con il lavoro di questa giornata: a partire da una forte specializzazione legislativa, previdenziale e organizzativa. Convinti che il rapporto con questi cittadini avrà successo se costruiamo un mix di idee, attenzione, aiuto, promozione e partecipazione. Oggetto, tutto ciò, della prossima Conferenza d’Organizzazione della UIL che avrà al centro del dibattito proprio l’obiettivo di rafforzare la partecipazione, qualitativamente e quantitativamente di milioni di cittadini e lavoratori che non sempre sono rappresentati.

Welfare Italia
Hits: 1797
Lavoro >>
I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
Terza pagina

Sondaggi
E' giusto che Bersani si accordi con Berlusconi per le rifome ?

Si
No
Non so
Ultime dal Forum
La voce del padrone di Lucio Garofalo
Salotti culturali dell'Estate bolognese
Pippo Fallica querelo' Corriere della Sera e La Sicilia?
NO LEADER, NO PARTY di Luigi Boschi
UN PARTITO LENINISTA (LEGA) CHE SPOSA IL VATICANO di A.De Porti
POESIA DI VITA di Luigi Boschi
La vita spericolata del premier di Silvia Terribili
Romea Commerciale di Orlando Masiero
Sondaggio, 15mila i voti finora espressi
Buon che? di Danilo D'Antonio
L'Italia è una Repubblica "antimeritocratica" fondata sul lavoro precario
LA PROTESTA DEI SANGUINARI di Luigi Boschi
L'AQUILONE STRAPPATO di Antonio V. Gelormini
Il reality scolastico su "Rai Educational"
Vuoto indietro diventa proposta di legge,





| Redazione | Contatti | Bannerkit | Pubblicità | Disclaimer |
www.welfareitalia.it , quotidiano gratuito on line, è iscritto nel registro della stampa periodica del Tribunale di Cremona al n. 393 del 24.9.2003- direttore responsabile Gian Carlo Storti