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Pensioni e welfare: quale riformismo?
12.01.2004

PENSIONI E WELFARE: QUALE RIFORMISMO?

Associazione libertàEGUALE - Direzione Nazionale

Seminario di approfondimento a Roma - 19 gennaio 2004 - ore 10:30-18

Programma -Ore 10:30-18 (pausa pranzo ore 13:30-15)

Presentazione del Position Paper di libertàEGUALE \\\"Pensioni e welfare: quale riformismo?\\\" - Intervento di TOMMASO NANNICINI

\\\"Una riforma incompiuta. Proposte per il completamento del ridisegno del sistema previdenziale\\\" - Relazione di ELSA FORNERO

\\\"Meno pensioni, più welfare. Appunti per una strategia di riforma dello stato sociale italiano\\\" - Relazione di TITO BOERI

Ne discutono:

PIERPAOLO BARETTA; MONICA BETTONI; NATALE D’AMICO; FRANCO DEBENEDETTI; GIULIO DE CAPRARIIS; OTTAVIANO DEL TURCO; MAURIZIO FERRERA; BENIAMINO LAPADULA; ADRIANO MUSI; ALESSANDRO PETRETTO; ERMINIO QUARTIANI; NICOLA ROSSI; MICHELE SALVATI; MAURIZIO SARTI; TIZIANO TREU;LANFRANCO TURCI; ROBERTO VILLETTI;

Intervento conclusivo di ENRICO MORANDO

ROMA - Ex Hotel Bologna, via S.Chiara 5.

 

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da www.libertaeguale.com / IL PUNTO

PENSIONI, QUALE RIFORMISMO?

di Tommaso Nannicini

A costo di apparire un po\\\' saccenti, i riformisti si sforzano di fondare le loro proposte su un\\\'analisi precisa della realtà, senza accontentarsi di motivazioni efficaci per la loro carica demagogica ma lontane dalla verità dei fatti. Parlando di pensioni in Italia, dobbiamo attenerci a questo metodo, se non vogliamo sbagliare intervento. Berlusconi mente quando spiega agli italiani che dobbiamo cambiare il sistema attuale perché \\\"è stato concepito più di mezzo secolo fa\\\". La riforma Dini del 1995, una volta a regime, ha il merito di garantire l’equilibrio finanziario del sistema pubblico a ripartizione, grazie all’introduzione del metodo contributivo per il calcolo della pensione. Tuttavia, la riforma Dini – per un sacrosanto rispetto dei diritti acquisiti e per un meno sacrosanto rispetto delle aspettative acquisite – andrà a regime molto lentamente. L’estensione pro rata del contributivo anche ai lavoratori esclusi dalla riforma garantirebbe una ripartizione più equa dei costi di aggiustamento.

Ma la vera priorità a cui guardare – una volta introdotta la logica del metodo contributivo – è un’altra. I giovani lavoratori di oggi formano le loro aspettative sulla base di una copertura pubblica del rischio vecchiaia meno generosa rispetto a quella delle generazioni più anziane. Non solo il tasso di sostituzione (il rapporto tra pensione e ultima retribuzione) è minore rispetto al passato anche nel caso di carriere \\\"regolari\\\" (sempre più rare), ma il rischio complessivo è aumentato a causa della prevalenza di formule a contribuzione definita.

Nonostante questa nuova realtà, stenta ad affermarsi al centro del dibattito politico la vera priorità: la costruzione di un solido pilastro a capitalizzazione. Come? Rivedendo gli incentivi fiscali per la previdenza complementare; favorendo la sostituibilità del TFR; ma anche pensando a forme di opting out che permettano una riduzione dei contributi per i neo-assunti che scelgono di investire i propri risparmi nel secondo pilastro. Per evitare falle nei conti pubblici, si dovrebbero chiamare anche le coorti escluse o toccate marginalmente dalla Dini a farsi carico dell’aggiustamento verso un sistema previdenziale equo e sostenibile. Non viene certo dalla contro-riforma del centrodestra (che nega la flessibilità implicita nel metodo contributivo e introduce insostenibili disparità) la risposta a questi problemi. Ma ciò non toglie che tutte le energie del centrosinistra dovrebbero essere rivolte al completamento delle riforme degli anni ‘90, per consentire alle generazioni giovani o future di assicurarsi in maniera adeguata contro il rischio vecchiaia

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