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Parmalat... la produzione continua
24.01.2004

Un'azienda che deve continuare a produrre
di Mayda Guerzoni


Un vero piano industriale e non solo un piano di salvataggio per il gruppo Parmalat: è di questo che vogliono discutere con il commissario straordinario Bondi i sindacati di categoria nazionali e delle realtà produttive interessate, dall’Emilia Romagna alla Sicilia, dalla Lombardia alla Basilicata e ancora Piemonte, Friuli, Veneto, Campania, Lazio, Liguria, Basilicata. In tutto venti stabilimenti in dieci regioni e 4.000 dipendenti, sui quali la gigantesca truffa di Tanzi e company è arrivata come un uragano che spazza con violenza il paesaggio e non lascia niente come prima. Superato lo shock iniziale, la sorpresa e lo sgomento si sono trasformati in attivismo nervoso ma lucido. Una caterva le cose da fare per gestire l’emergenza e guardare avanti: assemblee con i lavoratori, strategie da mettere in campo per il gruppo e le singole aziende, rapporti con le istituzioni, reti da tessere con le altre categorie coinvolte, ponti da costruire con le realtà produttive sparse per il mondo, quei 126 siti di cinque continenti con circa 37.000 occupati che rischiano di lasciarci le penne.


Settimane di fuoco a Parma e Collecchio
A Parma e Collecchio – fulcro oggettivo di tutta la vicenda perché è lì il cervello dell’azienda insieme al grosso del gruppo – il sindacato e i lavoratori si sono fatti carico di tamponare le falle che ostacolavano l’attività produttiva di tutti i giorni per garantirne la continuità, facendo pressione perfino nei confronti degli allevatori e delle banche, assumendo ruoli che sono andati ben oltre il senso di responsabilità e l’interesse particolare. Il tutto sotto una esposizione mediatica fortissima e l’affanno di un distillato quotidiano di notizie sempre più incredibili di voragini finanziarie senza fondo, che chiamano in causa, insieme alla proprietà e al management, gli organi di controllo e il sistema bancario italiano e internazionale, lasciando trapelare un intreccio di interessi e di comportamenti collusivi che lascia allibiti. .

Ma limitiamoci agli aspetti industriali e del lavoro, mentre sul fronte giudiziario la magistratura ha il suo bel da fare e Fai, Flai, Uila annunciano la costituzione parte civile nel processo. “Sono state settimane di fuoco – racconta Antonio Mattioli, segretario generale Flai Parma – e siamo esausti, ma il clima in fabbrica è migliorato: siamo passati da uno stato di fibrillazione, amarezza e senso di impotenza, a una maggiore fiducia, tutti uniti attorno agli stessi obiettivi. Il sindacato ha detto le cose come stanno, con trasparenza e crudezza, consapevole della gravità della situazione. Quando contestammo l’emissione di bond a Tonna e Parmalat, nel 2001 e 2002, fummo considerati una voce fuori dal coro, un elemento di disturbo. Ci guardava male anche una parte degli stessi lavoratori, in particolare gli impiegati, che oggi non perdono un’assemblea e stanno compatti con noi”.

“La nostra forza– continua Mattioli – è sapere che l’azienda è sana, in un sistema industriale vivo e solido, capace di autofinanziarsi. Su questa base è realistico porsi l’obiettivo di garantire la continuità del sistema produttivo, il consolidamento del core business e dell’occupazione, unica risorsa da cui partire per dare risposta in positivo all’intera filiera, dagli allevatori alla distribuzione, comprese le aziende dell’indotto e dei servizi”.

Questo significa scommettere su un rapporto positivo con il territorio, tanto più se si chiama Parma, distretto di eccellenza dell’agroalimentare e sede della neonata Authority alimentare e tanto più dopo lo scotto dell’affare Cirio. La Regione Emilia-Romagna conforta e sostiene le posizioni sindacali, come ribadito nell’ultima seduta del Consiglio Regionale e negli incontri con il presidente Errani. A sua volta il presidente di Confindustria regionale Massimo Bucci si è differenziato palesemente dai presidenti nazionale e parmense, rimarcando gli aspetti etici e il clima di sfiducia che derivano dalla vicenda, sollecitando gli imprenditori all’autocritica.


Prodotti da forno: l’anello debole
In giro per l’Italia sono tutti convinti che non ci siano alternative all’obiettivo di mantenere l’integrità del gruppo nazionale e internazionale. Dalla ricognizione delle realtà regionali emerge che tra le varie attività di Parmalat, ovvero latte, yogurt, succhi, conserve vegetali, prodotti da forno, quest’ultimo rappresenta l’anello più debole.

Lo confermano i timori per lo stabilimento di Atella di Potenza, che secondo il segretario generale della Flai territoriale Antonio Di Bari è uno dei primi che rischia di essere tagliato fuori. “I prodotti da forno perdono terreno da tempo sul mercato e lo stabilimento è in pericolo, anche se è nuovo e solido, con tecnologie avanzate e dipendenti giovani. E se perdi il posto di lavoro in Basilicata non hai molte altre occasioni”.

Risalendo al Nord, anche lo stabilimento di Lurate (sempre prodotti da forno) corre rischi analoghi. “Ma siamo in tensione anche per Eurolat di Lodi – denuncia Giovanni Sartini, segretario generale della Flai Lombardia – già depotenziato da Parmalat che l’ha acquisito nel 2001 cedendo però a Newlat marchi importanti per aggirare l’antitrust. Siamo nettamente contrari all’abbandono della fabbrica: quei cinquanta lavoratori in mobilità devono rientrare, l’azienda deve essere salvata e rilanciata”.


In Sicilia duemila famiglie a rischio
Dalla Sicilia la voce di Salvatore Lo Balbo, della segreteria regionale Flai, tradisce una forte apprensione. “La crisi Parmalat nella nostra regione mette in gioco la vita di almeno duemila famiglie tra dipendenti, indotto, conferenti di latte e agrumi. In questi dodici anni la presenza del gruppo ha innescato un circuito virtuoso, rilanciando il settore agrumicolo, che oggi costituisce un pezzo importante dell’economia regionale. La Sicilia non può fare a meno della Parmalat e del lavoro che ruota attorno al gruppo, sarebbe un danno enorme. Stiamo premendo sulla Regione perché si faccia carico del problema e nel contempo vigiliamo contro eventuali giochi politico-affaristici, che già si profilano nelle indiscrezioni su acquirenti possibili di questo o quel pezzo produttivo, creando solo danni”.

Lo Balbo segnala che oltre ai tre stabilimenti di Catania, Ragusa e Termini Imerese, targati Parmalat, anche la Cosal-ex Ciappazzi (acque minerali, 47 dipendenti ) deve rientrare nel conto delle aziende siciliane del gruppo e nel piano industriale di Bondi. Paradossale la vicenda di questa società, che fa capo alla famiglia Tanzi ed è salita agli onori delle cronache quando lo stesso Tanzi ha dichiarato di averla acquisita da Ciarrapico per fare un piacere a Geronzi. Peccato però che sia mancata la concessione necessaria per produrre acque minerali, cosa che ha impedito di riprendere l’attività. Così da un anno i dipendenti vanno in una fabbrica ferma e sono in lotta per avere il lavoro. In dicembre è arrivata la concessione ma pare che il destino di Cosal sia la vendita, mentre il sindacato sollecita innanzitutto la ripresa della produzione.


Gioco al ribasso sulla Centrale del latte di Roma
Il tema delle manovre di pura speculazione finanziaria ricorre anche a Roma, come spiega Luigi Cocumazzo, della segreteria Flai Roma-Lazio. “Circolano voci di interessamento alla Centrale del Latte, che è florida, ha un buon marchio ed è appetibile sul mercato. Voci che potrebbero puntare al ribasso del valore dell’azienda e che vanno stoppate subito perché non c’entrano niente col processo industriale”

Per concludere, il commento di Giancarlo Battistelli della segreteria nazionale Flai. “La Parmalat non è solo una montagna di debiti, non ci sono solo imbroglioni, ci sono soprattutto migliaia di lavoratori, di tecnici, che hanno costruito con il loro lavoro realtà produttive di qualità: questa è oggi l’unica certezza, il punto vero da cui partire, senza retorica, anche se è difficile immaginare il futuro possibile. È indispensabile definire una politica industriale che favorisca e sostenga correttamente la crescita di imprese nazionali a dimensione mondiale, perché limitarsi alle nicchie produttive non offre prospettive alla capacità di competizione. Prima di parlare di spezzatino, per Parmalat bisogna parlare di questo”.



(Rassegna sindacale, n. 3, 22-28 gennaio 2004)

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