Redazione1 |
5.10.2008 21:05
Pensieri da "Torino spiritualità"
"L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."
Con questa citazione di Italo Calvino, tratta da "Le città invisibili", come fulcro per lavorare sul tema della speranza, si è svolta dal 24 al 28 Settembre, la sesta edizione di Torino spiritualità.
Il centro della città con i suoi grandi palazzi, cortili, resti romani, teatri, conservatorio, accademie e ampie piazze, ha accolto mostre, incontri, lezioni, workshop, spettacoli e visto sfilare migliaia di partecipanti. Nel 2006 trentamila persone, questi pressappoco i numeri.
Antonella Parigi, presidente del comitato organizzatore, sostiene che si tratti di una grande scommessa, quella cioè di rivolgersi ad un popolo eterogeneo e trasversale alle religioni, alle correnti di pensiero e alle filosofie ma che affronta la vita con serietà, ha voglia di capire e non segue solo personaggi televisivi ma si interessa anche a quelli che lavorano nell’ombra con rigore e dedizione. Un popolo questo che però molto spesso non ha voce e per il quale Torino Spiritualità può essere un’occasione di dialogo, ascolto e confronto di grande apertura interreligiosa e interculturale attraverso voci autorevoli di Premi Nobel, personalità religiose, filosofi/e, scrittrici/i scienziati/e e artiste/i di tutto il mondo. Un’esperienza collettiva ma nello stesso tempo intima e individuale, di forte intensità introspettiva, nella convinzione che esista uno spazio per la spiritualità anche in “chi non crede”. L’edizione di quest’anno è stata interamente dedicata al tema della speranza dal punto di vista etico, civile e spirituale e ha visto la partecipazione “molto partecipata” di Leonardo Boff (per il numeroso e inaspettato afflusso di persone ci si è dovuti spostare nel grande cortile di palazzo Carignano) su “prendersi cura del mondo”.
Ed ecco subito polemica da parte della curia torinese contro una manifestazione che non ha mai incontrato particolari opposizioni da parte cattolica. Il nemico da abbattere, lo spettro che si aggira ovviamente: il relativismo, vale a dire “il lasciarsi portare qua e la da qualsiasi vento di dottrina” (omelia del Card. Ratzinger). E’ il cristianesimo ad avere il monopolio della spiritualità e Monsignor Giuseppe Pollano, su la "Voce del popolo", con un articolo dal titolo “Attenti alle parole! Il mare spirituale”, scrive che “la parola spiritualità adottata dal festival, rischia un’interpretazione ridotta e ambigua” e che bisogna vigilare e resistere al relativismo linguistico in atto poiché la parola spiritualità “ha voluto significare fin da principio realtà ed esperienze attinenti al Pneuma della scrittura e dunque ad indicare una precisa relazione con il Dio rivelato”.
Fuori del cristianesimo non si può dunque immaginare una spiritualità.
L. Boff risponde immediatamente: “Chi sostiene che la spiritualità è di esclusiva pertinenza dei cristiani fa della malateologia. Lo spirito è nel mondo, nella storia, in tutte le religioni e anche negli atei”. Inoltre il linguaggio è vivo, aggiungerei io, e dei suoi zoppicanti tentativi di dire il nuovo facendo corrispondere verità ed esperienza alle parole non dobbiamo avere nessuna paura.
Se abbiamo la pazienza, l’attenzione e…. “chi ha orecchie per intendere intenda”, attraverso il linguaggio c’è data la possibilità di creare insieme, nel suo farsi, il quadro di un’umanità che si rinnova, pur tra grandi sofferenze e contraddizioni. Le parole sono belle, hanno sapore, sono sensibili e sensuali, coinvolgono il tatto il gusto e la vista, sono segno diretto della verità e noi ce ne nutriamo. Ma la filosofa Chiara Zamboni, nel suo libro "Il cuore sacro della lingua", sostiene che per accedere alla materia viva della lingua è necessario superare una prova. "Si tratta di attraversare il deserto del senso, di non accettare pensiero già pensato, sospendere le parole dei codici prevalenti, patire il fatto di restare nella situazione di mancare di parole, di frasi adeguate. Di stare in una condizione di povertà e, in un certo senso, di stupidità.”.
Lasciandosi portare qua e la dal vento dello spirito più che dai venti di qualsiasi dottrina, ma in questo non c’è comunque nulla di rassicurante. Doranna Lupi
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