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Forum :: Politica :: Forum delle e per le formichine :: Ancora sulla scuola islamica
Autore Ancora sulla scuola islamica
Redazione1
15.07.2004 20:43
compresa una risposta di Umberto Eco a Magris.

dal Corriere - 12 luglio 2004
ISTITUTO AGNESI
Preside controcorrente, dal volontariato alle merendine bio

Il messaggio più bello, quello che lo ha fatto commuovere, gli è arrivato ieri pomeriggio da un suo studente, «una testa calda che voleva sempre occupare la scuola». Un sms sul cellulare: «Sono con te!». Il preside dell'istituto Agnesi, Giovanni Gaglio, famoso a Milano fin dal 1977, quando i suoi studenti occuparono il Parini per difendere la sua cattedra, non ha più un filo di voce. «Sono stanco», confessa. «Sabato ho finito con la maturità, nel frattempo si è scatenato questo putiferio sulla classe islamica. Ma non cambiamo idea, andiamo avanti con il nostro progetto». Il suo studio è pieno di giornali, di ritagli. «Ecco - dice sfogliando le pagine - mi accusano tutti. Sono pronti a scagliare la pietra, ma cosa hanno fatto per questi ragazzi? Hanno trovato un'alternativa valida per evitare che smettano di studiare? No, hanno solo mosso critiche nei confronti dell'Agnesi». Un'offesa, per lui che dell'Agnesi, da quando è arrivato nel 1997, ha voluto fare una scuola laboratorio. Perché Gaglio è il preside dello sportello regionale del volontariato, del «non interroghiamo di lunedì: i ragazzi la domenica si devono rilassare», delle merendine biologiche per una corretta educazione alimentare, dell'indirizzo di scienze delle comunicazioni, unico in Italia, dell'«ora di legalità» per chi ha occupato la scuola. Progetti che hanno sempre fatto discutere, dividendo insegnanti, genitor
i, intellettuali. Scherza Gaglio: «Un mio amico mi ha chiesto: "te li cerchi con il lanternino i guai?". «Ma io non cerco guai, ho solo voluto affrontare un problema reale». Ne sono arrivati tanti di messaggi, gli Avanti così», i «Giovanni, sei impazzito?», i consigli e le obiezioni. Ma c'è una critica che fa più male delle altre: «Quella degli esponenti regionali di Rifondazione, piena di pregiudizio. Dalla Lega mi aspettavo certe reazioni, ma da loro no». Eppure, per uno che è abituato a essere nel centro del mirino, le polemiche di questi giorni non sono troppo feroci. «I momenti difficili sono stati altri», ricorda. Come quel lontano novembre del '77 quando gli studenti chiesero con un'occupazione la fine «del carosello dei professori», difendendo il professore di italiano e latino, il giovane siciliano di Patti, Giovanni Gaglio. O anche il marzo 2001, quando i cartelloni usati durante la lezione di educazione sessuale finirono in onda su Tele Lombardia: c'erano attaccate le domande sul sesso fatte dai ragazzini di seconda. «Quelli sì che sono stati brutti momenti», sorride. E si prepara per la prossima battaglia.
Ananchiara Sacchi


IL PROVVEDITORE
"Il ministro sta con me, mi sentirei sotto accusa se non mi fossi mosso in questa direzione"
Dutto: io non farò dietrofront
Il ghetto vero era in via Quaranta
la Moratti Con lei c´è sempre grande collaborazione, è stata informata di ogni nostro passo
il buonismo Non nego che ci sia, ma c´è anche molta serietà. Arriveremo all´integrazione
FABIO ZANCHI

Non fa marcia indietro Mauro Dutto, il direttore scolastico regionale. Lo scandalo, per lui e per il preside dell´Agnesi, non sta nella classe islamica che infuoca il dibattito in città. «Il vero ghetto è in quell´isola di incomunicabilità che sta in via Quaranta. Una realtà che andava consegnata al dialogo. A tutti i costi. Può darsi che noi non siamo riusciti a trovare la soluzione migliore in assoluto - replica Dutto ai suoi critici - ma si può sempre migliorare, se tutti si impegnano a dialogare e ragionare con disponibilità». Tutto intorno a lui, e all´Agnesi, l´istituto dello scandalo, il mondo pare marciare al contrario. La Lega, da sempre contraria all´integrazione, organizza balletti con veli davanti a Palazzo Marino. I cattolici, da sempre aperti al dialogo, sfoderano ragionamenti da laici e insistono perché quella classe venga smantellata prima ancora dell´apertura dell´anno scolastico. Lui, Dutto, prende tutto quanto sta accadendo con calma estrema. E più il dibattito si affolla di protagonisti chiassosi, più il direttore abbassa i toni: «Noi abbiamo la coscienza di aver lavorato a lungo con serietà. Pronti a cambiare, se qualcuno ci indicherà soluzioni più valide».

«Bisogna che sia chiara una cosa. Il ghetto non lo abbiamo fabbricato noi. Se c´è un ghetto, è in via Quaranta». Direttore Dutto, la offendono le cose che sta leggendo in questi giorni sulla stampa? «E perché mai? Ho letto con molto interesse le posizioni di tutti. Il dibattito mi pare di alto profilo. Erano anni che non si discuteva tanto seriamente della convivenza tra culture diverse». Sta sostenendo che avete costruito il caso Agnesi solo per stimolare il dibattito? «No. Ma è vero che abbiamo voluto sollevare il problema, dopo esserci fatti carico della questione». La questione della classe islamica? «No, della situazione inaccettabile della scuola coranica di via Quaranta. Una comunità chiusa, non comunicante con l´esterno. Una realtà dove da sette, dieci anni c´è gente che si muove con il pullmino a vetri schermati. Essere entrati in contatto con loro è stato un passo molto importante». Adesso però si è scatenato il pandemonio. Lei è sotto accusa, il preside dell´Agnesi pure. «Le assicuro che mi sentirei molto più sotto accusa se non mi fossi mosso. Se avessi chiuso gli occhi di fronte al ghetto di via Quaranta». Parla così perché si sente spalleggiato dal ministro Moratti? A proposito, il via alla classe islamica è venuto da Roma? «Con il ministero c´è grande collaborazione. Loro sono stati informati sempre di quel che stavamo facendo. Ma la decisione l´abbiamo presa no
i, nell´intento di fare un passo avanti rispetto a una condizione di non comunicabilità». E oggi ritenete di potervi dichiarare soddisfatti, nonostante la Lega organizzi la danza dei sette veli davanti a Palazzo Marino e An, che è al governo con la Moratti, chieda che Dutto e il preside Gallo diano conto delle proprie scelte davanti alla commissione Cultura? «Io trovo che sia positivo che le forze politiche si interessino a problemi come questo. Noi abbiamo tutto l´interesse che si continui a discuterne. Non abbiamo alcuna ricetta definitiva in tasca». Vuol dire che la classe islamica non è istituita una volta per tutte?
«Proprio così. Questo è un punto al quale noi siamo arrivati dopo un lungo lavoro che ci ha permesso di rompere la barriera del silenzio con via Quaranta. Se qualcuno ci proporrà soluzioni più accettabili e percorribili, saremo felici di farle nostre». Una delle obiezioni che vi si fa è che, passata la classe islamica,qualsiasi comunità religiosa vi potrà chiedere di fare altrettanto. Stabilito il precedente, come potrete rispondere di no? «L´obiezione è del tutto ragionevole. Ma vorrei ribadire che questa risposta è stata data a un caso concreto, peculiare. Già un anno fa dissi ai responsabili di via Quaranta che quella situazione non
poteva esistere. Come si può pensare che un ragazzo possa crescere a Milano all´interno di un percorso totalmente precluso all´esterno?». Già, però avete trasferito quella fetta di realtà all´interno di una scuola. Il professor Rumi, e in genere tutto il mondo cattolico, vi accusa di aver creato un ghetto del buonismo, che non ha nulla a che vedere con la tolleranza e la laicità che dovrebbe avere la scuola statale. «Non nego che ci sia un aspetto di buonismo nell´occuparsi della sorte di questi venti ragazzi. Ma c´è anche molta serietà, gliel´assicuro. Quanto alla cosiddetta classe islamica, il nostro obiettivo è quello di portarla all´integrazione».
In che modo? «Facendo studiare a quei ragazzi, che ora sono rinchiusi in un´enclave coranica, i nostri programmi, le materie previste dalla nostra scuola, non dalla loro». Professore, ammetterà anche lei che la scuola statale per prima ha un obbligo civile e morale, quello di garantire a tutti i cittadini l´eguaglianza, senza distinzione di sesso, nazionalità o religione. E che di fronte a quella classe qualche dubbio sia legittimo. «Certo. Ma se lei ha delle persone che vivono una realtà come quella che le ho descritto, dovrà fare di tutto, anche l´impossibile per farle uscire dal ghetto dell´incomunicabilità. Questa è la ragione che ci ha mosso. Poi scopriremo che si sarebbe potuto fare meglio. Non voglio apparire né troppo flessibile, né troppo relativista, ma le assicuro che sarò ben contento se alla fine troveremo soluzioni condivise, anche se queste saranno diverse da quella cui siamo arrivati noi». Ai suoi critici cosa vorrebbe dire? «Solo due cose. Primo: studiate bene il punto di partenza. Secondo: mettetevi con noi a capire come agire. Noi siamo solo interessati a trovare la soluzione più efficace».

LE IDEE
La scuola di Milano e il negoziato tra le culture
Umberto Eco
da Repubblica - 13 luglio 2004

Il principio fondamentale che regola ? o dovrebbe regolare - gli affari umani, se si vogliono evitare conflitti e incomprensioni, o inutili utopie, è quello della Negoziazione. Il modello della negoziazione è quello del bazar orientale: il venditore chiede dieci, tu vorresti dare al massimo tre e tre proponi, e quello rilancia a nove, tu sali a quattro, quello scende a otto, tu ti spingi a offrire cinque e quello ribassa a sette. Finalmente ci si mette d´accordo su sei, tu hai l´impressione di avere vinto perché hai aumentato solo di tre e quello è sceso di quattro, ma il venditore è egualmente soddisfatto perché sapeva che la merce valeva cinque. Alla fine però, se tu eri interessato a quella merce e lui era interessato a venderla, siete abbastanza soddisfatti entrambi.
Il principio della negoziazione non governa solo l´economia di mercato, i conflitti sindacali e (quando le cose vanno bene) gli affari internazionali, ma è alla base stessa della vita culturale. Si ha negoziazione per una buona traduzione (traducendo perdi inevitabilmente qualcosa del testo originale, ma puoi elaborare soluzioni di recupero) e persino per il commercio che noi facciamo delle parole, nel senso che tu ed io possiamo assegnare a un certo termine significati difformi, ma se si deve arrivare a una comunicazione soddisfacente ci si mette d´accordo su un nucleo di significato comune sulla base del quale si può procedere ad intendersi.
Per alcuni piove solo quando l´acqua scende a catinelle, per altri già quando si avvertono alcune goccioline sulla mano ma se, quando problema è se scendere alla spiaggia o meno, ci si può accordare su quel tanto di "piovere" che fa la differenza tra andare o non andare al mare. Un principio di negoziazione vale anche per l´interpretazione di un testo (sia esso una poesia o un antico documento) perché, per tanto che ne se ne possa dire, davanti a noi abbiamo quel testo e non un altro, e anche un testo è un fatto. Così come non si può cambiare il fatto che oggi piova, non si può cambiare il fatto che I promessi sposi inizia col "quel ramo del lago di Como", e a scrivere (o intendere) Garda invece di Como si cambia romanzo. Se, come dicono alcuni, al mondo non ci fossero fatti ma solo interpretazioni, non si potrebbe negoziare, perché non ci sarebbe alcun criterio per decidere se la mia interpretazione è migliore della tua.

La scuola di Milano e il negoziato tra culture

Si possono confrontare e discutere interpretazioni proprio perché le si mettono di fronte ai fatti che esse vogliono interpretare. Raccontano le gazzette che un ecclesiastico disinformato mi avrebbe recentemente annoverato tra i Cattivi Maestri perché io sosterrei che non esistono fatti ma solo interpretazioni. Non fa problema il Cattivo Maestro (luciferinamente vorrei esserlo ma, crescendo in età e sapienza, mi scopro vieppiù un Pessimo Alunno), ma è che in molti miei scritti ho sostenuto esattamente il contrario, e cioè che le nostre interpretazioni sbattono continuamente la testa contro lo zoccolo duro dei fatti, e i fatti (anche se spesso sono difficili da interpretare) sono lì, solidi e invasivi, a sfidare le interpretazioni insostenibili. Mi rendo conto di avere fatto un giro troppo lungo per tornare al mio concetto di negoziazione, ma mi sembra fosse necessario farlo. Si negozia perché, se ciascuno si attenesse alla propria interpretazione dei fatti, si potrebbe discutere all´infinito. Si negozia per portare le nostre interpretazioni divergenti a un punto tale di convergenza, sia pure parziale, da potere insieme fare fronte a un Fatto, e cioè a qualcosa che è là e di cui è difficile sbarazzarsi. Tutto questo discorso (che poi porta al principio che bisogna venire ragionevolmente a patti con l´inevitabile) nasce a proposito della decisione presa da un liceo milanese di
istituire, su richiesta dei genitori immigrati, una classe di soli alunni musulmani. Il caso appare bizzarro perché ci vorrebbe poco, ad essere ragionevoli, a mettere metà alunni musulmani in una classe metà nell´altra, favorendo la loro integrazione coi loro compagni di altra cultura, e permettere a quei loro compagni di comprendere ed accettare ragazzi di una cultura diversa. Questo tutti vorremmo, se vivessimo nel migliore dei mondi possibili. E´ tuttavia un Fatto che il mondo in cui non viviamo non è il migliore di quelli che potremmo desiderare, anche se per alcuni teologi medievali Dio stesso non poteva concepirne uno migliore, e quindi dovremmo accontentarci di questo. Mi accade sempre di essere al cento per cento d´accordo su quanto scrive il mio amico Claudio Magris (via, per non compromettermi e non mettere lui nell´imbarazzo, diciamo al novantanove virgola novantanove) ma vorrei avanzare alcune obiezioni al suo articolo apparso ieri sul Corriere della Sera. Il suo ragionamento, in termini di Dover Essere, è impeccabile. Ricordando che la decisione è stata determinata dal fatto che i genitori dei ragazzi hanno posto in sostanza un aut aut, o si fa così o non li mandiamo a scuola, Magris commenta che «questa richiesta di chiudersi in un ghetto, che avrebbe potuto essere avanzata da un razzista invasato da odio antimusulmano, è un´offesa a tutti, anche e in primo luogo
all´Islam, che rischia così, ancora una volta, di essere identificato con le sue più basse degenerazioni?. Perché deve essere terribile, scandaloso, ripugnante per essi avere un compagno? o compagna? di banco cattolico, valdese, ebreo o né battezzato né circonciso?... Il pluralismo - sale della vita, della democrazia e della cultura? non consiste in una serie di mondi chiusi in se stessi e ignari l´uno dell´altro, bensì nell´incontro, nel dialogo e nel confronto?». Sono naturalmente disposto a sottoscrivere queste osservazioni, tanto che da alcuni anni insieme ad altri amici e collaboratori mi sforzo di alimentare un sito Internet dove si danno consigli agli insegnanti di ogni razza e paese per portare i loro ragazzi alla mutua comprensione e accettazione della diversità (si può trovare il sito su Kataweb oppure presso l´Academie Universelle des Cultures) - e naturalmente per comprendersi e accettarsi a vicenda bisogna vivere insieme. Questo certamente dovrebbe essere fatto comprendere anche ai genitori che hanno preteso per i loro bambini l´autosegregazione ma, non conoscendo la situazione specifica, non so sino a che punto queste persone siano permeabili alle argomentazioni di Magris, che faccio mie. L´unico punto su cui obietto a Magris è l´affermazione che questa richiesta fosse «irricevibile» e che «non avrebbe dovuta essere nemmeno presa in considerazione bensì lasciata
cadere nel cestino». Si può dare ascolto a una richiesta che in linea di principio offende le nostre convinzioni? Queste nostre convinzioni riguardano il Dover Essere (un essere che, siccome non è ancora, sta sempre al di là, e per questo suscita dibattito infinito e infinite interpretazioni). Ma il dibattito sul Dover Essere, nel caso in discussione, si scontra con un Fatto, che, come
tutti i Fatti, non deve essere discusso. Di fronte a un fatto come un´eruzione vulcanica o una valanga non si pronunciano giudizi di merito, si cercano rimedi. Il fatto a cui siamo di fronte è che una comunità di genitori (a quanto pare egiziani) ha detto alla scuola «o così, oppure i ragazzi non vengono». Non so se l´alternativa sia mandarli a studiare in Egitto, non farli studiare affatto o fornire loro un´educazione esclusivamente musulmana in qualche forma privata. Escludendo la prima possibilità (che eventualmente potrebbe piacere alla Lega: ci sbarazziamo di questi mocciosi e li rimandiamo a casa - versione addolcita del "meglio ucciderli sino a che sono piccoli"), la seconda sarebbe deprecabile perché sottrarrebbe a questi giovani immigrati il diritto a una educazione completa (sia pure per colpa dei genitori e non dello Stato). Rimane come ovvia la terza soluzione, che ha il triplice svantaggio di essere del tutto ghettizzante, di impedire a questi ragazzi di conoscere la cultura che li ospita, e probabilmente di incrementare un isolamento fondamentalista. Inoltre non si sta parlando di educazione elementare, per fornire la quale potrebbero anche mettersi insieme dei genitori volonterosi, ma di educazione liceale, e dunque di cosa un poco più complessa. A meno che non si istituiscano scuole coraniche equiparate alla scuola pubblica, cosa possibile visto che lo è per le
scuole private cattoliche ma, almeno per me, non troppo auspicabile, se non altro perché rappresenterebbe un´altra forma di ghettizzazione. Se i fatti sono questi e queste le alternative, allora si può comprendere la decisione della scuola milanese, risultato di una ragionevole negoziazione. Visto che a rispondere di no i ragazzi andrebbero altrove, o da nessuna parte, si accetta la richiesta, anche se in linea di principio non la si condivide, e si sceglie il minor male, sperando che si tratti di soluzione transitoria. I ragazzi rimarranno in classe soli tra loro (il che è una perdita anche per loro) ma in compenso riceveranno la stessa istruzione che riceve un ragazzo italiano, si potranno familiarizzare meglio con la nostra lingua e persino con la nostra storia. Siccome non sono degli infanti ma dei liceali, potrebbero ragionare con la loro testa e fare i dovuti confronti, e persino cercare autonomamente contatto coi loro coetanei italiani (o cinesi, o filippini). Nessuno ci ha ancora detto che la pensino esattamente come i loro genitori. Inoltre, visto che si tratta di un liceo dove si studiano tante materie e tante dottrine, se gli insegnanti saranno bravi e delicati, gli studenti potranno apprendere che nel nostro paese ci sono certe credenze, certi costumi, certe opinioni condivise dai più, ma non sarebbe male anche consigliar loro di leggere alcune pagine del Corano,
per esempio quelle in cui si dice «Crediamo in Dio, e in ciò che ci ha rivelato, e in ciò che ha rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle Tribù, e a quel che è stato detto a Mosé e a Gesù, e in quel che è stato dato ai profeti del Signore: non facciamo nessuna differenza tra di loro? Quelli che praticano l´ebraismo, i cristiani, i sabei, chiunque ha creduto in Dio e nel giorno ultimo e compie opera buona, avranno la loro ricompensa presso il Signore? Gareggiate dunque nelle buone opere. Tutti ritornerete a Dio, che allora v´informerà su ciò su cui divergete? E non disputate con le genti del Libro se non nel modo più cortese, eccetto con quelli di loro che agiscono ingiustamente, e dite: "Crediamo in ciò che è stato fatto scendere a noi e in ciò che è stato fatto scendere a voi: il vostro Dio e il nostro Dio sono uno"». Come e cosa potranno pensare questi ragazzi dopo alcuni anni di vita, separata sì, ma pur sempre nel quadro della cultura ospite, non lo sappiamo, per l´ovvia ragione che l´avvenire è nel grembo di Allah. Ma probabilmente il risultato sarà più interessante che se fossero vissuti in una scuola privata e doppiamente ghettizzata. Tutti aspiriamo al meglio ma abbiamo tutti imparato che talora il meglio è nemico del bene, e dunque negoziando si deve scegliere il meno peggio. E chissà quante di queste negoziazioni non si dovranno fare in futuro per ev
itare il sangue in una società multietnica. Accettare il meno peggio, sperando che non diventi costume, non esclude che ci si debba battere per realizzare il meglio anche se, come è ovvio, il meglio non essendo un fatto, bensì un fine, rimane oggetto di molte interpretazioni.

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