Redazione1 |
28.03.2005 19:42
IL DAZIO COSTITUZIONALE
di Antonio V. GELORMINI
“Un fiorino!” continuava a chiedere un pedante gabelliere, in una esilarante gag di Massimo Troisi in panni medievali, ogni qualvolta questi oltrepassava la linea di confine, su cui si era inceppato il carretto guidato dal suo compare Roberto Benigni.
Oggi ad una Lega che si incaponisce nel richiedere dazi anacronistici sulle merci provenienti dai mercati emergenti, il governo si appresta a pagare un dazio pesantissimo col varo della riforma della Costituzione che piace ai padani, quale singolare forma di riscatto di un impegno elettorale, a suo tempo assunto personalmente dal premier, a discapito però dell’intera comunità nazionale.
La fretta con cui si mette mano a ben 53 articoli della Costituzione, evidenzia una disinvoltura sconcertante nel trattare temi così delicati e così importanti per ciascun cittadino; alla cui discussione complessiva e all’esame degli emendamenti al Senato sono state riservate “10 ore”.
Opportuno ed incisivo è arrivato il richiamo del Presidente Prodi nel mettere in guardia contro i pericoli della dittatura della maggioranza e del premier, che sono incorporati nel testo in corso di approvazione. Così come continua a far sentire la propria preoccupazione, accompagnata da allarmanti timori, un numero sempre crescente di costituzionalisti, di studiosi e di esperti del diritto.
Tutto questo avviene, dice Leopoldo Elia: “in un’Italia cloroformizzata dalla congiura del silenzio della grande stampa e distratta dall’elusiva informazione radiotelevisiva”. La corsa precipitosa, imposta dall’impazienza padana, sta partorendo una miriade di gattini ciechi. Ogni giorno se ne scopre uno nuovo. E il rischio di un pasticcio istituzionale diventa incombente e pericoloso.
Col rafforzamento dell’esecutivo, così come è concepito nell’attuale proposta governativa, ci spiega Francesco Paolo Casavola – presidente emerito della Corte Costituzionale: “Si consolida una prassi preoccupante, viene meno la separazione tra potere esecutivo e legislativo, si scivola verso il governo personale. E il parlamento fa il sarto su misura”.
E continua: Un presidente del consiglio responsabile di un indirizzo politico, non può diventare di fatto il titolare dell’azione legislativa, il cui 80-90% è del governo, che chiama poi il parlamento ad una mera azione di ratifica. Anche il Capo dello Stato, con questa riforma, viene ad avere una funzione puramente notarile, se gli si toglie la decisione sullo scioglimento delle camere, si aggrava lo stato di onnipotenza del premier”.
Un potere riservato al Capo dello Stato presente anche nelle tradizioni delle moderne monarchie, dove il re scioglieva i parlamenti che non funzionavano, ma dove il re non era un giocatore in campo. Tale potere di scioglimento se non resta tra le prerogative di una figura di garanzia, diventa in pratica potere di intimidazione.
Infine, per le stesse Camere, con questa riforma, non è affatto chiaro l’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze. Si aggiunge confusione a confusione. Due esempi pratici: sulla valorizzazione dei beni culturali sarà il Senato a metter mano, ma sulla loro protezione toccherà alla Camera. Quest’ultima, ancora, sarà competente sulla tutela del risparmio, mentre al Senato spetterà l’intervento esclusivo sulle casse di risparmio.
E’ evidente che questo testo costituzionale, frutto di una lottizzazione affrettata fra le varie anime del centrodestra, renderà ingovernabile l’Italia. Per questo, alla saggezza cisalpina del Cadore, Michele Salvati, qualche giorno fa, con ben altra “saggezza meridiana”, proponeva una tregua bipolare e un caloroso invito ad una indispensabile pausa di riflessione.
Se si sbaglia la riforma della Costituzione, si sbaglia senza rimedio la vita stessa del Paese. E questo, davvero, non ci è consentito. (gelormini@katamail.com)
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