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Forum :: Lettere :: Lettere aperte a.... :: ANTONIO DI PIETRO E LA POSIZIONE DI IDV IN MERITO ALLA QUESTIONE IRAQ.. |
Autore |
ANTONIO DI PIETRO E LA POSIZIONE DI IDV IN MERITO ALLA QUESTIONE IRAQ.. |
Redazione1 |
22.11.2003 19:06
Cari amici,
vorrei illustrare la posizione dell'Italia dei Valori sull'Iraq alla luce della situazione che si è venuta lì a creare.
Eravamo, siamo e restiamo contrari alla guerra come soluzione dei conflitti. Ce lo impone la Costituzione e ce lo suggerisce la nostra coscienza.
La scelta di Bush di combattere con mano militare il terrorismo, invece che con azioni mirate di polizia giudiziaria, si è rivelata fallimentare e velleitaria. Invece che spegnere il fuoco ha alimentato i tizzoni ardenti del fondamentalismo islamico.
L'assecondamento del nostro governo alla politica guerrafondaia americana è stato solo una piaggeria berlusconiana che abbiamo pagato e stiamo pagando a caro prezzo. La cara vecchia Europa aveva ed ha ben altre potenzialità per far sentire la sua voce e imporre il suo ruolo che deve essere quello di "paciere" dello scacchiere mediorientale, non di "spalla" allo strapotere militare americano.
Per fare ciò ovviamente dobbiamo come prima cosa - noi Stati europei - essere tutti uniti per avere la forza politica di imporre agli USA di fare un passo indietro e cedere il comando militare dell'azione di contrasto al terrorismo ad una forza multinazionale (l'ONU, appunto). Il tributo di sangue versato dai nostri soldati ci dà oggi la forza morale per pretenderlo.
Dobbiamo poi rivedere le ragioni profonde della nostra partecipazione alla spedizione in Iraq. Non ha alcun senso aver mandato dei soldati "fine a se stessi". Non possiamo comportarci né essere considerati come una "forza di occupazione" (certamente i nostri militari non si sentono tali, ma è anche necessario che non siano così percepiti dalla popolazione locale).
Insomma i soldati possono e devono avere solo una funzione di ausilio e di difesa di ben altre guarnigioni che dobbiamo mandare in Iraq (tutti insieme noi dal mondo occidentale europeo): medici, pontieri, genieri, assistenti umanitari, esperti di cooperazione e di ricostruzione, derrate alimentari, sostegno finanziario e così via.
Ci vuole solidarietà invece del "pugno duro", proprio per non alimentare l'irredentismo disperato di chi non ha niente per vivere e alla fine preferisce morire facendosi saltare per aria in mezzo alla folla. Questo "giro di volta" non vuol dire "abbandono della postazione" dopo aver subito la perdita di tanti soldati. Anzi, vuol dire maggiore partecipazione e impegno ma per un fine diverso: non più quello di "paggetti" agli ordini di Bush ma di protagonisti della ricostruzione e della pace.
Bisogna cioè evitare di restare imprigionati nella morsa tra l'adesione acritica alle scelte unilaterali della presidenza Bush ed il rischio dell'abbandono dell'Iraq al caos che creerebbe ulteriori condizioni ideali per il terrorismo.
Se vi è una ragione che motiva oggi la presenza dell'Italia (e dell'Europa) in Iraq, questa risiede non già e non più nelle scelte iniziali del governo (che è stata e resta una scelta sbagliata) ma, piuttosto, nel "fatto nuovo" generato dall'errore della guerra, unilateralmente e pregiudizialmente decisa dalla presidenza Bush; ora quella regione è diventata una terra di raccolta, un terreno fertile per il terrorismo che la comunità internazionale non può ignorare. Non possiamo perciò lasciare "il vuoto". La guerra ha prodotto nuovi rischi, nuovi mostri, senza aver sconfitto e cancellato quelli manifestatisi l'11 settembre.
Dobbiamo inoltre - proprio come Unione e Comunità europea - adoperarci per riconsegnare al più presto "l'Iraq agli iracheni". Nei primi giorni della effimera "vittoria sul campo" delle truppe americane non è stato un bello spettacolo vedere alcune multinazionali che già si accapigliavano per spartirsi il bottino del petrolio e per conquistare le migliori commesse per costruire ponti, strade e ferrovie.
Insomma, l'Iraq sembrava una carcassa di animale abbattuto su cui subito si accingevano ad abbuffarsi i famelici avvoltoi del "dio denaro occidentale".
Riconsegnare l'Iraq agli iracheni vuol dire ridare a quel popolo la sovranità sulla loro terra e la possibilità di autodeterminarsi. Vuol dire far tornare la democrazia in quel paese. E la democrazia non si costruisce con le bombe ma con il consenso.
Le bombe generano solo odio che a sua volta produce terrorismo e rivalsa: una spirale senza via d'uscita che rischierebbe di spingerci tutti verso la terza guerra mondiale (definitiva per l'umanità , viste le grandi armi di distruzione di massa che nel frattempo ci siamo costruiti).
Antonio Di Pietro
Presidente
Italia dei Valori
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