Redazione1 |
22.07.2006 23:18
OGGI LE CITTA'
La realtà non la si studia più: si dà per scontato di sapere, di intuire, di rappresentare. Ma studiare è un'altra cosa. Le città , come ogni altro organismo vivente, sorgono, costituiscono gradualmente un'identità propria, si ammalano, possono essere curate o distrutte o abbandonate, morire con la civiltà che le ha espresse, o morire ammazzate dai bombardamenti oppure, nella città moderna, possono essere soffocate dalla congestione del traffico, lacerate da assurdi interventi urbanistici, disintegrate da un moltiplicarsi di circoscrizioni, di città -strada. Ne è un esempio la via Emilia.
Le città , per i vorticosi cambiamenti che le attraversano, stanno tutte lentamente cambiando faccia: ad esse qualcuno vorrebbe rubare l'anima. Per Mike Davis, le città muoiono quando le comunità che le animano sono ridotte a comunità passive, incapaci di iniziativa, in balia di forze esterne che non sono più in grado di contrastare o condizionare.
Studiare la realtà , applicarsi con pazienza ad essa -nelle sue dimensioni locali o internazionali, economiche o culturali, al fondo non fa differenza- significa percepire innanzitutto la dimensione dei nodi ai quali i decisori si applicano. I problemi non si risolvono da soli, la maggioranza di essi non si risolve affatto, ma non per questo sopportano la pubblica indifferenza. Tutti richiedono un'applicazione umile e tenace, per essere circoscritti, limati, accompagnati nel loro evolvere: richiedono -sit venia verbis- della politica. La politica che si fa dentro istituzioni limitate e con principi di democrazia: questo ordito è tutto da ricostruire (A. Melloni).
Se le città come tutte le organizzazioni sono costituite per la felicità dell'uomo e per il raggiungimento di obiettivi comuni, oggi ci si trova di fronte alla sclelorotizzazione e all'incapacità di risposta della politica rispetto alla trasformazione sociale e all'innovazione tecnologica. Una politica incapace di innovare, ma che protegge posizioni conservatrici. Il neo liberismo senza responsabilità sociale o minima, porta a rivedere, purtroppo, le finalità delle organizzazioni e del ruolo delle città . Città rese invivibili, non partecipate politicamente, preda dell'affarismo. Un esempio? Lo sviluppo urbanistico. Si è arrivati ad assembramenti di case senza un vero progetto urbanistico, se non quello della speculazione immobiliare. Città senza spazi di dimensione collettiva dove l'unico luogo di aggregazione è il supermercato.
Le città han poi mutato identità intrinseca, la propria anima. I cambi di destinazione d'uso hanno trasformato residenze civili in residenze commerciali; il centro storico è divenuto city: banche uffici, luoghi di consumo, negozi. Nel contempo si è dimenticato il significato di casa e la difficoltà di possederla; solo l' usufruirne ha assunto costi proibitivi. Le aree sono divenute oggetto di speculazione immobiliare crescente e lottizzate dalla prepotenza economica. Speculazione d'area e immobiliare sono divenute merce di scambio col potere politico. I bilanci dei comuni trovano risorse ingenti proprio nelle concessioni edilizie. Fino ad arrivare a dire in consessi pubblici che il piano urbanistico non lo fa la Pubblica Amministrazione, ma è dominio delle grandi imprese di costruzione.
E' percezione comune che la città vive oggi un periodo critico, celato dalle piccole dimensioni demografiche: frammentata in quartieri, periferie spesso anonime, mal collegate (il trasporto pubblico voluto inefficiente), senza vita, dove la socializzazione avviene nel supermarket. I parchi verdi considerati un complemento. Un inferno urbanistico progettato dai professionisti dell'architettura, voluto dalle lobbies e dagli amministratori pubblici, realizzato dalla speculazione immobiliare affaristica. In questo contesto inospitale all'individuo e alla collettività , funzionale alle pratiche economiche, si manifestano le difficoltà della convivenza e di espressione delle singolarità .
Bauman: la modernizzazione è la più prolifica e meno controllata linea di produzione di rifiuti di esseri umani di scarto. La sua diffusine globale ha sprigionato e messo in moto quantità enormi e sempre crescenti di persone private dei loro modi e mezzi di sopravvivenza. I reietti, i rifugiati, gli sfollati, i richiedenti asilo sono i rifiuti della globalizzazione. Ma non sono i soli rifiuti: vi sono anche le scorie che hanno accompagnato fin dall'inizio la produzione.
(Parma, 10 luglio 2006)
Luigi Boschi
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