Redazione1 |
20.11.2007 21:02
FUGGIRE IL DOLLARO
di Antonio V. Gelormini
Non è l’undicesimo comandamento dei mercati monetari, ma un suggerimento, non troppo sussurrato, che da qualche tempo passa con insistenza da operatore ad operatore, lungo le reti connesse delle cattedrali borsistiche e valutarie, sulle piazze più attive del nuovo mondo economico e finanziario.
Nell’agorà della globalizzazione è sempre più evidente che il “Re è nudo”. Dopo decenni di esportazione, insieme alla democrazia, di forti dosi d’inflazione da eccesso di biglietti verdi in circolazione, il dollaro comincia a diventare un problema.
La sua perdita di valore, perseguita anche per sostenere un’economia altrimenti collassata, sta sbiadendo la storica caratteristica di moneta rifugio. Sui forzieri di mezzo mondo si è accesa la lampadina d’allarme. Le riserve sviliscono. Cinque anni fa bastavano 75 centesimi per un euro, oggi ne occorrono 145.
Ben poca cosa la minaccia a suo tempo paventata dal Generale De Grulle, di chiedere la conversione in oro dei crediti in dollari posseduti dalla Francia, a fronte dello tsunami visibile all’orizzonte di paesi come Cina e Giappone. Per anni hanno finanziato il debito americano, facendo incetta di Buoni del Tesoro. Non resteranno ancora a lungo ad assistere, giorno dopo giorno, all’incessante depauperarsi del loro capitale. La fuga dal dollaro è più che prevedibile, gli effetti meno, anche se certamente disastrosi.
Nel frattempo, la ricerca di rifugio ha già trovato nuovi anfratti e darsene più accoglienti, per gli ingenti capitali vaganti. Sono gli investimenti in materie prime, che stanno prendendo il posto di quelli più tradizionali dei diversi strumenti finanziari. Grano, mais, rame, alluminio e lo stesso petrolio hanno già soppiantato biglietti verdi e certificati di credito a stelle e strisce. C’è una nuova frontiera che si delinea anche per euro, yen e yuan, ma non passa più per il meridiano di Washington.
(gelormini@katamail.com)
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