Redazione1 |
20.05.2008 12:54
A quarant'anni dal '68 di Alessandro Cisilin, Megachip - da Galatea
“Io sono uno splendido quarant'enne”, rivendicava Nanni Moretti nel suo Diario, protestando contro l'endemica depressione autoreferenziale degli odierni cineasti italiani di sinistra. Colpevoli di ridurre la linfa vitale di una gioventù che sognava un altro mondo in una sterile psicanalisi della propria disillusione. Non si ha niente da dire, ma anziché tacere e far parlare coloro che da dire ne hanno ancora e magari di più, ci si affretta a raccontare quel vano e narcisistico vuoto interiore. E, più o meno sottilmente, li si zittisce. Politicamente, culturalmente.
Magari il problema della memoria del maggio 1968 fosse Sarkozy, come in Italia lo è la Chiesa. Il capo dell'Eliseo lo aveva esplicitamente cancellato dalla storia francese sin da quando si candidava alla presidenza, ossia con un anno di anticipo rispetto al quarantennale. Ma la ridicolizzazione di quell'eredità non è merito suo, è un lavoro ai fianchi esercitato da generazioni di intellettuali, senza esclusione per i sessantottini.
“ Una generazione che ha vissuto la gioventù come un momento forte di trasgressione e ha poi faticato a invecchiare ”, ha detto in un'intervista a Libération Jacques Le Goff, spiegando: “ Bloccando l'immaginario sul passato, una parte di questa generazione ha saturato lo spazio pubblico delle immagini e della riflessione ”. Più pesante ancora “ la generazione successiva, gli ‘eredi impossibili', che non hanno conosciuto direttamente l'evento, hanno un'immagine mitizzata e si ergono a custodi del tempo ”. Il principe degli storici francesi ha naturalmente ragione, così come nel riconoscere al contempo che “ c'è il campo dei reazionari, dei revisionisti, che fanno del sessantotto il capro espiatorio di tutti i problemi odierni. Entrambe le tendenze hanno largamente strutturato quarant'anni di dibattito pubblico sulla base di un ricatto implicito: scegliete il vostro campo! ”
L'egocentrismo degli umani, del resto, è un fatto pressoché inevitabile, antico quanto l'umanità. Ognuno tende a considerare se stesso e il proprio tempo come il culmine della storia, un vertice che si identifica alternativamente nella conquista del paradiso terrestre, nelle epoche positivistiche, oppure in una sorta apocalisse, nei tempi e nei luoghi del pessimismo, a meno che quest'ultimo non sconfini nell'assoluta negazione della storia. In tutti i casi, e in particolare nelle filosofie occidentali, è una mentalità che riconosce la centralità dell'evento storico, anziché della struttura. Quell'evento è a tutt'oggi riconosciuto nel maggio francese, con i suoi paralleli oltre le Alpi e l'Oceano. Ma, paradossalmente, si ritiene al contempo che il presente sia già di un'altra epoca. “ Il sessantotto è finito ”, ama ripetere il suo leader riconosciuto Daniel Cohn-Bendit, consegnando le sue istanze ideali ai verdetti degli intellettuali e degli altri ex militanti. “ La rivoluzione sessantottina ha spalancato le coscienze, ma ha fallito in economia e in politica ”, sentenzia nel suo ultimo scritto un portabandiera italiano quale Mario Capanna. Su una linea analoga il testo appena pubblicato dal docente universitario Massimo Bontempelli, che valuta il movimento nei termini della conclusione epocale, più che dell'inizio di una “ nuova sinistra ”, data la scarsa capacità sessantottina di analisi delle problematiche della società dei consumi.
In mezzo a tante sentenze, quel che si finisce col perdere di vista è che il sessantotto fu una mobilitazione ideologicamente variopinta, non strutturata, anzi anti-strutturale. E tra le strutture bersagliate c'era anche la politica dei partiti, coi loro “padri”, i loro ritardi e le loro rigide chiusure, ideologiche e organizzative. E sono proprio i partiti a ergersi oggi a giudici supremi del movimento (pro o contro) dimenticando di esserne il bersaglio. E quell'oblio ne conduce a un altro, ovvero a non accorgersi che la storia è ancora la stessa, dalle guerre in Asia alle chiusure ecclesiastiche, dalla corsa al riarmo delle superpotenze all'ingiustizia economica. Quell'epoca è strutturalmente immutata nelle ragioni di coloro che protestano e muovono il loro attivismo civico e politico lontano dall'oligarchia partitica e mediatica dei loro censori.
acisilin@yahoo.it
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